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L’effetto della sentenza ACHMEA sulle controversie arbitrali intra-UE pendenti ai sensi dell’art. 26 ect.

COSTANZA TRAPPOLINI

 

 

14/12/2018

 

 

Recentemente, con la sentenza del 6 marzo 2018, la Corte di Giustizia dell’Unione europea è intervenuta a giudicare della compatibilità con il diritto europeo di una clausola contenuta in un trattato internazionale bilaterale che prevede una procedura arbitrale di risoluzione delle controversie nascenti tra un investitore di uno Stato membro e un altro Stato membro dell’Unione.  La questione è sorta nell’ambito  di una controversia tra la Repubblica slovacca e la Achmea BV (impresa olandese operante nel settore delle assicurazioni) conclusasi con un lodo del collegio arbitrale istituito ai sensi dell’art. 8 dell’Accordo per la promozione e la tutela reciproche degli investimenti tra il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica federale ceca e slovacca (BIT). Il lodo, pronunciato da un collegio arbitrale istituito a Francoforte sul Meno, è stato impugnato dinanzi ai giudici tedeschi dalla Repubblica slovacca che ne ha chiesto l’annullamento. Nell’ambito del ricorso, la Corte federale di Cassazione tedesca ha operato un rinvio pregiudiziale chiedendo alla CGUE di formulare un parere sull’interpretazione degli articoli 267 e 344 TFUE.

Gli articoli 267 e 344 TFUE, posti a tutela delle caratteristiche specifiche, nonché dell’autonomia, dell’ordinamento giuridico europeo, istituiscono un sistema giurisdizionale volto a garantire la coerenza e l’unità nell’interpretazione del diritto europeo. In particolare, la chiave di volta del sistema così delineato è costituita dalla procedura di rinvio pregiudiziale prevista dall’art. 267 TFUE che ha lo scopo di assicurare l’unità nell’interpretazione del diritto dell’Unione, garantendone in tal modo la coerenza, la piena efficacia e l’autonomia. L’art. 344 TFUE stabilisce che un accordo internazionale non possa pregiudicare il riparto di competenze fissato dai trattati e , dunque, l’autonomia del sistema giuridico dell’Unione di cui la Corte assicura il rispetto. Secondo quest’ultimo articolo, infatti, gli Stati membri si impegnano a non sottoporre una controversia relativa all’interpretazione o l’applicazione dei trattati a un modo di composizione diverso da quelli previsti dal trattato stesso.

La questione posta dal giudice del rinvio riguarda la compatibilità di questi principi con una norma contenuta in un accordo internazionale concluso tra due Stati membri, in forza della quale un investitore di uno Stato , in caso di controversia riguardante gli investimenti nell’altro Stato, può avviare un procedimento contro quest’ultimo dinanzi a un collegio arbitrale.

Prima di entrare nel merito della decisione occorre domandarsi per quale motivo questa decisione sia così rilevante nell’ambito delle controversie relative agli investimenti diretti esteri. Nonostante la questione ruoti intorno a una norma contenuta in un accordo di protezione degli investimenti avente natura bilaterale, la portata applicativa della sentenza della Corte può essere estesa ben oltre i confini del singolo caso e ben oltre i confini di casi analoghi riguardanti accordi bilaterali sugli investimenti, coprendo anche analoghe questioni sorte nell’ambito di accordi internazionali multilaterali e, in particolar modo, il meccanismo arbitrale predisposto dall’art. 26 dell’ Energy Charter Treatyche sempre più spesso viene invocato nelle controversie Investitore-Stato.

Alla luce di quanto sopra richiamato, la Corte, al fine di vagliare la legittimità di una procedura arbitrale di risoluzione delle controversie intra-UE, ha dovuto prendere in esame due diversi aspetti: prima di tutto ha dovuto verificare se la controversia sottoposta all’esame del collegio arbitrale concernesse l’interpretazione o l’applicazione dei trattati europei, così da valutare l’applicabilità al caso di specie dell’art. 344 TFUE; ha dovuto poi verificare se il collegio arbitrale rientrasse nel sistema giurisdizionale dell’Unione e, in particolare, se esso potesse essere assimilato a una giurisdizione di uno degli Stati membri ai sensi dell’art. 267 TFUE.

Nella specie la Corte ha accertato che la controversia sottoposta al collegio arbitrale riguardava l’interpretazione e l’applicazione del diritto europeo, escludendo, poi, che il collegio arbitrale istituito dall’accordo bilaterale potesse essere assimilato a una giurisdizione di uno Stato membro dell’Unione e affermando che, proprio il carattere derogatorio della giurisdizione arbitrale rispetto alla giurisdizione dei giudici nazionali, rendeva impossibile tale assimilazione. Sulla base di queste ragioni la Corte ha statuito l’incompatibilità con il diritto europeo della norma contenuta nell’accordo bilaterale con cui si istituisce un meccanismo arbitrale di risoluzione delle controversi Investitore-Stato.

Come già richiamato in precedenza, la sentenza de qua ha avuto una risonanza di gran lunga superiore all’ambito nel quale è sorta. In particolar modo, ci si è chiesti se questi principi potessero essere estesi anche alle clausole compromissorie contenute in accordi internazionali aventi natura multilaterale. Mi riferisco, soprattutto, all’ECT che sempre più frequentemente viene invocato nelle controversie Investitore-Stato e che consente di adire uno dei meccanismi arbitrali citati nell’art. 26 per la risoluzione di controversie concernenti la presunta violazione da parte dello Stato ospite degli obblighi di protezione degli investimenti assunti nei confronti dell’investitore estero.

La Commissione europea, di fronte al rischio di incertezza relativo alle clausole arbitrali contenute nell’ECT, ha chiarito che il ragionamento della Corte per la causa Achmeasi applica in egual modo all’applicazione intra-UE della clausola ex art. 26 ECT che, proprio come le clausole dei BIT intra-UE, contempla la possibilità di sottoporre tali controversie a un organo esterno al sistema giudiziario dell’UE.

Tuttavia, in procedimenti arbitrali relativi a dispute sorte nell’ambito dell’ECT svolti innanzi all’ICSID (il Centro internazionale per la risoluzione delle controversie in materia di investimenti, con sede a Washington D.C.), gli arbitri hanno rigettato le eccezioni relative al difetto di giurisdizione presentate da alcune parti sulla base di quanto statuito dai giudici della CGUE con la sentenza Achmearibadendo la non applicabilità di tale sentenza ai procedimenti presso l’ICSID. Il Segretario generale del Centro internazionale per la risoluzione delle controversie in materia di investimenti ha ribadito, in un’intervista pubblicata sul Kluwer Arbitration Blog, l’imparzialità dell’ICSID rispetto all’Unione Europea confermando, pertanto, la legittimità dei rigetti compiuti dai giudici dell’ICSID. Il punto rimane, allo stato dei fatti, aperto.

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