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L’evoluzione del nuovo istituto dell’accesso civico e le linee guida dell’ANAC in tema di esclusioni e limiti

di MARTINA MORETTI

2/11/2017

L‘evoluzione normativa dell’accesso civico

L’istituto esordiva per la prima volta nel nostro ordinamento con l’art. 22 della legge 241/1990 sul procedimento amministrativo: il primo comma di tale articolo configurava, infatti, come diritto degli interessati la possibilità di prendere visione ed estrarre copia dei documenti amministrativi; il secondo comma invece, occupandosi degli aventi diritto all’accesso, li individuava in tutti i soggetti privati. Veniva così costituito un vero e proprio diritto soggettivo, ma circoscritto e riconosciuto soltanto in presenza di tre requisiti: l’interesse proprio del titolare, il collegamento ad una situazione giuridica protetta e il riferimento ad uno specifico documento della pubblica amministrazione.

L’istituto dell’acceso è stato però nel tempo riformato, assumendo portata generale ed estendendo il suo oggetto alle informazioni e ai dati che le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di divulgare e pubblicare. Esso è divenuto un diritto molto più intenso, come si può notare se si procede ad una lettura attenta dell’art. 5 del decreto 133/2013: infatti la richiesta di accesso non comporta nessun costo e non è subordinata alla presentazione di una motivazione. La pubblica amministrazione destinataria dell’accesso deve procedere e rimediare alla propria omissione pubblicando i dati e le informazioni richieste, informando il richiedente della propria attività.

A causa delle persistenti esigenze di riforma il decreto 97/2016 ha arricchito il testo precedentemente formulato. Il diritto di accesso è stato esteso anche ai documenti, ai dati e alle informazioni non obbligatoriamente pubblicabili, entro alcuni limiti previsti dall’art. 5 bis. È stata poi confermata come non necessaria la presenza di una motivazione alla base dell’istanza, a patto però che l’indicazione dei dati richiesti (intesi in senso lato) sia chiara. L’introduzione di una nuova figura di accesso civico, l’accesso generalizzato, è l’elemento di maggiore novità. Il diritto viene ora riconosciuto a chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, fatti salvi i casi di segreto o di divieto di divulgazione nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi sia pubblici quanto privati.

Le linee guida adottate dall’ANAC in tema di esclusioni e limiti

Nella delibera n. 1309 del 28 dicembre del 2016, l’Autorità chiarisce la distinzione tra le eccezioni propriamente dette dell’accesso (assolute) e i limiti (eccezioni relative). Le eccezioni assolute, come intuibile, ricorrono quando una norma di legge, disposta per tutelare interessi prioritari e fondamentali, vieta l’accessibilità di documenti, dati e informazioni o le consente solo in determinati casi. Le eccezioni relative ricorrono, invece, quando spetta direttamente alle pubbliche amministrazioni operare un bilanciamento tra l’interesse collettivo alla pubblicazione e quelli contrapposti alla stessa. Questo equilibrio, qualora raggiunto, deve essere esplicitato mediante esauriente motivazione. Il documento dell’ANAC precisa l’intenzione di predisporre un monitoraggio sulla casistica delle decisioni assunte dalle amministrazioni, alle quali non manca di chiedere impegno, collaborazione, serietà e puntualità.

I limiti applicativi dell’istituto, dunque, consentono di derogare alla nuova disciplina soltanto nei casi in cui l’accesso possa compromettere interessi pubblici costituzionalmente rilevanti.

All’ANAC è demandata poi l’adozione, d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali, di linee guida per la definizione di esclusioni e limiti all’accesso civico. Viene così posto in essere un contemperamento tra il principio di trasparenza e il diritto alla riservatezza della persona, qualificato dalla giurisprudenza costituzionale come inviolabile. Lo stesso decreto legislativo precisa che la realizzazione della trasparenza pubblica, che integra una finalità di interesse pubblico, deve avvenire «nel rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali». Il criterio di stretta proporzionalità venne ribadito anche dalla decisione Data Retention dell’8 aprile 2014, in cui la Corte di Giustizia affermò che «una certa misura non può essere considerata necessaria, in una società democratica, solo perché persegue uno scopo di interesse generale, ma deve essere bilanciata con opposti interessi degni di tutela. La garanzia del diritto fondamentale al rispetto della vita privata ammette deroghe o limitazioni alla protezione dei dati personali soltanto nella misura in cui le stesse siano strettamente necessarie».

Considerazioni finali

L’affermazione del principio di trasparenza, esigenza fondamentale degli ordinamenti democratici, con le modifiche introdotte fa sì che l’ordinamento italiano possa considerarsi allineato con gli standard internazionali in materia. La nota immagine, cara a Filippo Turati, della pubblica amministrazione come una «casa di vetro», all’interno della quale, cioè, tutto è sempre costantemente visibile, tende a promuovere un controllo dell’attività amministrativa capillare e dal basso, in modo da garantire il massimo grado di correttezza ed imparzialità.

Tuttavia, la stratificazione della normativa di riferimento potrebbe rallentare gli effetti immaginati e promossi dalla riforma, oltre che creare situazioni di incertezza applicativa. È sicuramente necessario l’intervento puntuale dell’ANAC al fine di orientare gli operatori pubblici nel processo di armonizzazione e corretta applicazione delle disposizioni di legge.

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