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UNA RIFLESSIONE SULLA PRIVATIZZAZIONE DELLE CARCERI ALLA LUCE DEL RAPPORTO “PRISONERS IN 2015” DELLO U.S. JUSTICE DEPARTMENT

di GIUSEPPINA SEPE

02/11/2017

Il Bureau of Justice Statistics del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti d’America ha pubblicato, nel dicembre del 2016, un interessante rapporto sulle carceri statunitensi[1], basato su dati aggiornati al 31 dicembre 2015.

Il documento fotografa la realtà del sistema penitenziario statunitense per come emerge dai dati statistici raccolti, tra cui quelli sugli istituti di pena privati.

Tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 si registra una diminuzione del 4% dei detenuti affidati a prigioni private, le quali continuano tuttavia ad ospitare un numero di detenuti di gran lunga superiore (126,272) a quello registrato nelle prigioni di contea (81,195).

È noto come, a partire dagli anni Ottanta, le private prisons abbiano acquisito una fetta consistente (8,7%) di una popolazione che negli Usa è giunta a oltre 2,3 milioni di detenuti, un quarto di tutti i detenuti del mondo.

Una mass incarceration effetto di un giustizialismo che dagli anni Settanta e Ottanta ha visto emergere la “lotta alla criminalità” come slogan obbligatorio di una lunga onda conservatrice.

Di conseguenza, l’incapacità dell’infrastruttura esistente a gestire il forte aumento della popolazione carceraria ha portato allo sviluppo di un processo di “esternalizzazione della reclusione”.

Le prigioni private, gestite da società quotate in borsa, sono giunte così ad ospitare 130.000 detenuti, divenendo parte integrante del “complesso penale industriale” e fonte di sviluppo economico per molte regioni deindustrializzate, dando vita ad un giro d’affari di miliardi di dollari.

Il dato più allarmante è che le prigioni private risultano ben nove volte più chiuse e violente rispetto a quelle pubbliche, usano l’isolamento disciplinare in modo improprio e fortemente lesivo dei diritti umani, negano un adeguato trattamento medico ai detenuti e non assicurano la sicurezza personale dello staff penitenziario.

Una situazione, questa, già da tempo denunciata dagli attivisti del movimento per i diritti dei detenuti e spesso al centro di scandali pubblici: nel 2012 un giudice federale definì una prigione della GEO Group “un pozzo nero di leggi e condizioni incostituzionali e disumane” [2] e nel 2014 il capo del sistema carcerario del Mississippi fu accusato di aver accettato tangenti da parte di aziende private[3].

Alla luce di questo bilancio critico, a pochi mesi dal termine del mandato di Barack Obama, il Dipartimento di Giustizia aveva dato indicazione al Federal Bureau of Prisons di rivedere e non rinnovare tutti i contratti con le multinazionali che gestiscono le carceri private, con l’obiettivo di “ridurre e alla fine terminare l’uso di carceri gestite privatamente“.

Le prigioni private, si legge nella comunicazione ufficiale[4],“non assicurano lo stesso livello di servizi e programmi per la riabilitazione; non garantiscono risparmi sui costi e adeguati livelli di sicurezza”.

Una netta presa di posizione sulla privatizzazione, che ha avuto come immediata conseguenza il crollo verticale a Wall Street delle due principali società quotate che si occupano del business penitenziario – la Corrections Corporation of America e la  GEO Group – le cui azioni hanno invece avuto un rialzo rispettivamente di 43 e 21 punti percentuali dal giorno delle elezioni di Donald Trump, sostenitore delle privatizzazioni e, in particolare, della privatizzazione delle carceri[5].

L’attorney general, Jeff Sessions, ha ordinato il ritorno all’approccio precedente, sostenendo che la direttiva diffusa durante l’amministrazione Obama intaccasse l’abilità del Bureau of Prisons di rispondere alle esigenze future nel sistema carcerario federale.

Probabilmente le politiche di Donald Trump porteranno ad aumentare il tasso di incarcerazione nel paese che già oggi ne detiene il primato, scatenando meccanismi emulatori al di là dell’oceano.

Lo stesso fenomeno della privatizzazione carceraria, nato negli Stati Uniti si è poi largamente diffuso in molti paesi, dove continua a rappresentare una questione ampiamente dibattuta a causa delle numerose e rilevanti implicazioni che comporta.

Una riflessione sul fenomeno venne offerta, nel 2009, da una sentenza della Corte suprema d’Israele[6], con la quale fu dichiarata l’incostituzionalità della legge sulla privatizzazione delle carceri per violazione dei diritti alla libertà individuale e alla dignità umana, derivante dal conferimento a privati di funzioni sovrane.

Incostituzionalità del principio della privatizzazione carceraria in sé e per sé, prescindendo quindi dalle effettive modalità attuative della novella legislativa.

Tra le questioni affrontate dalla Corte, anzitutto il problema della “legittimazione”: il mantenimento dell’ordine e della sicurezza e il controllo sull’eventuale fuga dei detenuti sono funzioni che devono rimanere nel monopolio dello Stato, unico soggetto legittimato ad attuare limitazioni della libertà, giustificate dall’interesse pubblico generale[7].

L’esistenza di potenzialità distorsive nell’uso dei poteri connessi all’uso della forza e al diritto-dovere di dare esecuzione alla legge penale, e il loro appalto in capo a soggetti che agiscono per scopo di lucro sono argomenti sufficienti ad affermare la violazione dei diritti del cittadino detenuto[8] , senza necessità di verificazioni empiriche.

La gestione privata, infatti, poiché ispirata alla logica del profitto e non all’interesse pubblico, comporta inevitabilmente una irragionevole e sproporzionata compressione dei diritti individuali contrapposti[9].

Inoltre, per quanto la principale ragione della privatizzazione carceraria sia la (presunta) riduzione dei costi, il criterio della gestione economicamente più conveniente non può essere l’unico parametro, poiché l’amministrazione deve valutare anche il reinserimento del reo, il controllo sull’applicazione di misure punitive, le condizioni di vita carcerarie etc.

Il risparmio da parte dei privati è invece ottenuto con la riduzione del personale penitenziario, lo sfruttamento del lavoro carcerario, l’abbassamento degli standard qualitativi, l’assunzione di guardie non qualificate e metodi più severi di sorveglianza dei detenuti[10], con evidenti ed inevitabili ripercussioni negative.

Altra rilevante problematica affrontata dalla Corte riguarda i rapporti tra legislatore e lobbies dell’industria carceraria.

L’esigenza di privatizzare deriva spesso dall’adozione di politiche repressive, ampiamente sostenute dall’interesse economico dei gestori privati ad ospitare un numero sempre crescente di detenuti[11].

E la creazione di specifici meccanismi di vigilanza diretti ad evitare che il concessionario privato agisca in modo improprio al fine di aumentare il numero di detenuti nella prigione[12], non aiuta ad escludere il pericolo che lo stesso, al fine di aumentare i profitti, ricorra alla creazione di nuove carceri, innescando in tal modo un circolo vizioso.

Per quanto oggetto di intensa e disparata revisione critica, la conclusione raggiunta dai giudici israeliani ha sicuramente segnato una storica inversione di tendenza e rappresentato per molti una “light unto the nations”.

Le questioni portate alla luce dalla citata sentenza riflettono e riassumono l’ampio dibattito presente in tutti i paesi in cui si registra lo sviluppo di un rilevante mercato delle attività penitenziarie.

E, senza escludere l’utilità delle risorse dei privati per migliorare lo stato di detenzione dei detenuti, il bilancio critico sull’esperienza dei penitenziari privati recentemente stilato dall’amministrazione statunitense invita a riflettere sulla ragionevolezza di quella decisione.

 

[1] https://www.bjs.gov/content/pub/pdf/p15.pdf

[2] http://www.npr.org/2012/04/24/151276620/firm-leaves-miss-after-its-prison-is-called-cesspool

[3] https://www.nytimes.com/2015/02/26/us/christopher-epps-former-mississipi-prisons-chief-pleads-guilty-in-corruption-case.html

[4] https://www.justice.gov/archives/opa/blog/phasing-out-our-use-private-prisons

[5]I do think we can do a lot of privatizations, and private prisons. It seems to work a lot better”, ha dichiarato Trump durante la sua campagna elettorale.

[6] Academic Center of Law and Business and others v. Ministries of Finance and Public Security, A.L.A. Management and Operation (2005) Ltd, and Knesset, HCJ 2605/05.

L’intera sentenza consta di più di centottanta pagine. Una traduzione in lingua inglese è disponibile al sito: http://elyon1.court.gov.il/files_eng/05/050/026/n39/05026050.n39.pdf

[7] HCJ 2605/05 – Academic Center of Law and Business v. Minister of Finance, President Beinisch, par. 28: “The power of imprisonment and the other invasive powers that derive from it are therefore some of the state‘s most distinctive powers as the embodiment of government, and they reflect the constitutional principle that the state has a monopoly upon exercising organized force in order to advance the general public interest.”

[8]   HCJ 2605/05 – Academic Center of Law and Business v. Minister of Finance, Justice Arbel, par. 4: “Granting a power to employ invasive powers of these kinds to someone that is chosen by a private concessionaire, who is motivated by business concerns and is not subject to the authority and direct supervision of the government authority, its public traditions, its written and unwritten rules, the interest of the general public or the considerations that underlie the imposition of the sentence, undermines the rationale justifying the use of force as a proportionate measure for realizing public purposes. It implies arbitrariness, lessens the worth of human beings and violates their dignity”.

[9] HCJ 2605/05 – Academic Center of Law and Business v. Minister of Finance, President Beinisch, par.51: “When the power to deny the liberty of the individual is given to a private corporation, the legitimacy of the sanction of imprisonment is undermined and the extent of the violation of liberty is magnified”… “Imprisonment that is based on a private economic purpose turns the inmates, simply by imprisoning them in a private prison, into a means whereby the concessionaire or the operator of the prison can make a profit; thereby, not only is the liberty of the inmate violated, but also his human dignity”.

[10] HCJ 2605/05 – Academic Center of Law and Business v. Minister of Finance, Justice Procaccia, par.26:  “…The considerations of increasing economic efficiency and the profits of the private enterprise may lead, for example, to a reduction in the staff that operates the prison, a lowering of standards in order to reduce costs, and consequently to harsher methods of supervising the inmates”.

[11]   HCJ 2605/05 – Academic Center of Law and Business v. Minister of Finance, Justice Naor, par.16: “…Even if the payment for a certain prison will be based on the existing number of prison places, it is clear that if the prison is full an additional prison will be needed to make additional profits. The opposition to private ownership is based on the desire that industry, which operates on a profit-making basis, will not influence or encourage imprisonment”

[12] Prisons Ordinance, s. 128G(b): “The amount of the consideration for the concessionaire that will be determined in the agreement shall not be made conditional upon the number of inmates that will actually be held in a privately managed prison, but it may be determined in accordance with the availability of prison places in the number provided in the schedule or on a smaller scale as the commissioner shall determine with the approval of the comptroller-general at the Ministry of Finance”.

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