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L’impatto ambientale delle attività estrattive e la funzione delle misure di compensazione

Nota a T.A.R. Toscana, sez. I, 19 gennaio 2017, n. 64 – Pres. Pozzi – Est. Grauso

GIORGIO MOCAVINI

1. Il caso

Nel 2010, la provincia di Pisa approva uno stralcio del piano provinciale delle attività estrattive che individua nel territorio del Comune di Pomarance un’area da destinare all’apertura di una cava di ghiaia e sabbia. Nel 2013, il Comune, che è parte dell’Unione montana Alta Val di Cecina, si conforma all’indicazione del piano provinciale con apposita variante al regolamento urbanistico.

Nel 2014, quindi, una società estrattiva propone un progetto di coltivazione di una cava di materiali inerti nell’area in questione. Inizialmente, il dirigente del settore tecnico dell’Unione montana Alta Val di Cecina esclude che il progetto debba essere assoggettato alla valutazione di impatto ambientale, in applicazione di una normativa regionale. Successivamente il Comune di Pomarance indice una conferenza di servizi per valutare la richiesta di autorizzazione alla coltivazione della cava. La conferenza conclude i lavori esprimendo un parere favorevole al progetto; il Comune rilascia dunque l’autorizzazione all’apertura della cava nel 2015[1].   

La superficie riservata alla cava, tuttavia, si inserisce in un contesto di eccezionale bellezza e rilevanza dal punto di vista naturalistico e ambientale, attestata da una serie di vincoli paesaggistici esistenti fin dal 1960. Nei pressi dell’area, inoltre, si trovano varie residenze private e alcuni poderi e case coloniche adibiti allo svolgimento di attività agrituristiche e di agricoltura biologica. 

Gli abitanti e gli imprenditori della zona, pertanto, insorgono contro la possibile apertura della cava, che finirebbe per estendersi anche a terreni coltivati e boscosi. Nel 2014 essi propongono ricorso al T.A.R. Toscana chiedendo l’annullamento dello stralcio del piano provinciale e della variante del regolamento urbanistico comunale.

I ricorrenti lamentano, in particolare, il fatto che la provincia abbia sottoposto il progetto a una valutazione ambientale strategica puramente formale, senza una ponderata istruttoria circa gli effetti della presenza di una cava in un contesto ambientale tutelato e senza prevedere eventuali misure di mitigazione e di compensazione degli impatti negativi della pianificazione.

Con successivo ricorso viene poi impugnata la determinazione con cui gli uffici dell’Unione montana avevano escluso la sottoposizione a valutazione di impatto ambientale del progetto di coltivazione della cava di inerti, cosa che aveva esonerato la società estrattiva dal presentare opere compensative per ridurre o limitare le conseguenze negative della coltivazione della cava sull’ambiente e sulle attività agrituristiche limitrofe.

Con ulteriore ricorso, infine, sono impugnati il parere conclusivo della conferenza di servizi e l’autorizzazione al progetto rilasciata dal comune di Pomarance.

2. I presupposti dell’azione: la vicinitas, l’interesse a ricorrere e la tutela di attività imprenditoriali mediante strumenti di diritto ambientale

Un primo profilo di interesse della sentenza in commento è rappresentato dalle considerazioni preliminari del giudice amministrativo in merito alla legittimazione ad agire e all’interesse a ricorrere[2].

Secondo la provincia di Pisa, infatti, i ricorrenti non avrebbero fornito prove sufficienti circa la titolarità di una posizione qualificata e di un interesse attuale e concreto all’annullamento degli atti impugnati. In proposito, il T.A.R. Toscana chiarisce che, ai fini della legittimazione, è necessario che gli attori dimostrino l’esistenza di uno stabile e significativo collegamento tra gli interessi ricompresi nella loro sfera giuridica e la zona interessata dall’azione amministrativa: si tratta del criterio di derivazione giurisprudenziale della vicinitas[3].

La contiguità fisico-spaziale tra l’area oggetto dell’intervento amministrativo e la posizione dei portatori di interessi fa sorgere in capo a questi ultimi una situazione protetta e qualificata che legittima un’eventuale azione in sede processuale tesa a scongiurare potenziali pregiudizi a quegli interessi[4].

La casistica in tema di vicinitas, invero, è molto ampia. Nel settore urbanistico-edilizio, a titolo esemplificativo, può accadere che il proprietario di un immobile ricorra per l’annullamento di una concessione edilizia rilasciata al vicino per l’ampliamento o la costruzione ex novo di uno stabile[5], un gruppo di residenti sia legittimato ad agire avverso l’autorizzazione paesaggistica rilasciata a un centro sportivo per la realizzazione di nuove strutture nei pressi delle loro abitazioni[6], un cittadino impugni la variante al piano regolatore generale e il conseguente permesso di costruire rilasciato dal comune a una società per l’insediamento di un centro produttivo vicino a un immobile di sua proprietà[7], un progetto di riqualificazione urbana in una località di mare sia impugnato dai proprietari frontisti che lamentano di non avere più un accesso diretto alla spiaggia[8].

Allo stesso modo, in campo ambientale, un comune è legittimato ad agire avverso il provvedimento di esclusione della valutazione ambientale strategica approvata dal comune confinante in relazione a un progetto che potrebbe produrre esternalità negative nel territorio circostante[9]; un privato può ricorrere contro l’installazione di una stazione radio per telefonia cellulare nei pressi della propria abitazione[10]; un gruppo di residenti può opporsi al progetto di realizzazione di un impianto destinato allo smaltimento dei rifiuti[11].  

La vicinitas, tuttavia, non è sufficiente di per sé a fondare la legittimazione ad agire, essendo richiesta la puntuale allegazione dello specifico pregiudizio arrecato dagli atti impugnati alla sfera giuridica dei ricorrenti, che può consistere nella perdita di valore dei beni di proprietà[12] o in una oggettiva compromissione della salute e dell’ambiente[13]. In questa prospettiva, per esempio, il Consiglio di Stato, proprio in relazione all’impugnazione di un’autorizzazione per l’apertura di una cava di ghiaia e sabbia, aveva giudicato insussistente la legittimazione ad agire di privati cittadini ricorrenti, «essendo (…) inadeguate generiche allegazioni afferenti alla (…) nocività (…) ovvero riferite al diritto ad una vita salubre e ad un ambiente vivibile, richiedendosi invece, ai fini dell’individuazione dell’interesse a ricorrere, l’allegazione della sussistenza di una lesione concreta, immediata ed attuale (…) derivante direttamente dall’esecuzione del provvedimento impugnato»[14].

Di conseguenza, coerentemente con il quadro giurisprudenziale descritto, il T.A.R. Toscana, dopo avere riscontrato il requisito della vicinitas nella prossimità dell’area di cava alle proprietà dei ricorrenti, passa in rassegna i profili che possono essere in concreto colpiti dall’avviamento dell’attività estrattiva. 

Innanzitutto, la coltivazione della cava provocherebbe un “disagio ambientale”, rappresentato da un aumento di emissioni inquinanti, di produzione di rifiuti, di rumorosità, che condurrebbe a una diminuzione della qualità della vita e del valore dei beni immobili dei ricorrenti. Essa, inoltre, avrebbe ripercussioni negative sulle attività imprenditoriali turistico-ricettive condotte dai ricorrenti presso i medesimi immobili, dato che la clientela che intende praticare l’agriturismo orienta le proprie scelte in funzione dell’amenità e tranquillità dei luoghi che la ospitano. La coltivazione di una cava, pertanto, si tradurrebbe in uno svantaggio competitivo e in una minore redditività delle attività agrituristiche.

Quest’ultima osservazione del giudice amministrativo merita attenzione, perché rivela come l’impatto ambientale e paesaggistico di un’attività industriale sia valutato in termini globali ed estensivi, tanto da ricomprendere la tutela di altre attività imprenditoriali il cui successo dipende in stretta misura proprio dalle caratteristiche naturali del territorio. In questo modo, è evidente che gli strumenti tipicamente concepiti per tutelare interessi ambientali e paesaggistici, come le valutazioni tecniche ambientali o i pareri resi dalle soprintendenze ai beni architettonici, storici e artistici, possono fornire utili mezzi a tutela di interessi economici privati[15]. Infatti, a differenza di altri casi analoghi, dove a ricorrere contro l’apertura di cave sono di volta in volta i proprietari di abitazioni private o le associazioni a difesa dell’ambiente[16], in questa sede sono alcuni imprenditori a fare leva sulle carenze o sulle esclusioni delle valutazioni tecniche ambientali allo scopo di proteggere le proprie attività da altre iniziative industriali interferenti[17].

3. Le analisi degli impatti e la previsione di misure di mitigazione e di compensazione come condizioni necessarie all’attività di pianificazione 

Accertati i presupposti della legittimazione ad agire e dell’interesse a ricorrere, il T.A.R. si pronuncia innanzitutto sull’impugnazione del piano provinciale delle attività estrattive. I motivi di ricorso sono numerosi e riguardano, tra l’altro, la razionalità del piano e la legittimità di una sua approvazione per stralci successivi. 

Il profilo che in questa sede interessa approfondire, tuttavia, è quello relativo alla prospettata inadeguatezza della valutazione ambientale strategica che è di corredo al piano[18]. I ricorrenti, infatti, lamentano che gli atti della procedura di valutazione, ossia il rapporto ambientale, il parere motivato e la relazione di sintesi, si limiterebbero ad affermazioni generiche e astratte, del tutto inutilizzabili ai fini della quantificazione dell’impatto ambientale. 

In via generale, occorre premettere che la valutazione ambientale strategica si articola in una serie di fasi scandite dalla legge: l’elaborazione del rapporto ambientale, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del piano, del rapporto ambientale e dell’esito delle consultazioni, l’adozione della decisione, l’informazione e il monitoraggio della stessa[19]. Il momento centrale è sicuramente rappresentato dalla stesura del rapporto ambientale, che si perfeziona in maniera progressiva: dapprima, l’autorità procedente deve redigere un rapporto preliminare sui possibili impatti ambientali che si verificano in attuazione del piano o del programma; tale rapporto è poi inviato alle autorità ambientali competenti a formulare pareri consultivi, che è reso entro novanta giorni dall’invio; infine, l’autorità procedente, tenendo conto dei pareri espressi, rende pubblico il rapporto ambientale vero e proprio insieme con la proposta di piano o programma[20].

La valutazione è perciò funzionale a garantire uno sfruttamento equilibrato delle risorse, consentendo all’amministrazione di soppesare i costi e i benefici delle diverse alternative pianificatorie[21]. L’obiettivo è pertanto quello di conciliare le esigenze del governo dell’ambiente e del territorio con le iniziative economiche pubbliche e private[22].

In questa ottica, la valutazione ambientale strategica diviene una condizione imprescindibile per una pianificazione consapevole e integrata e per una giustificazione delle scelte discrezionali dell’amministrazione, attraverso l’enunciazione dei presupposti fattuali e delle ragioni di fondo di quelle scelte[23]. I momenti della pianificazione e della valutazione sono dunque contestuali e finalizzati all’attenta ponderazione del fascio di interessi pubblici e privati che insistono su uno specifico territorio[24].

Dal momento che la valutazione ambientale strategica si configura come procedura di carattere precauzionale e preventivo, i piani adottati in sua mancanza dalle autorità amministrative vengono sovente annullati dalla giurisprudenza[25]. Non mancano tecniche elusive dell’obbligo di valutazione, come il compimento di valutazioni ambientali inadeguate, carenti o incomplete[26]. Di conseguenza, in alcune occasioni, il giudice amministrativo ha disposto l’annullamento di piani di governo del territorio comunale preceduti da valutazioni ambientali che non fornivano alcuna prognosi o misurazione, nemmeno embrionale, degli effetti della pianificazione[27], oppure ha annullato piani regolatori generali adottati in acquisizione di valutazioni caratterizzate da eccessive omissioni circa la verifica della compatibilità delle trasformazioni pianificate con le condizioni per uno sviluppo sostenibile[28].

Il rischio che la valutazione ambientale strategica si riduca a un mero adempimento formale viene in rilievo anche nella sentenza in commento. Il T.A.R. Toscana, in particolare, ritiene necessario «disancorare la valutazione strategica da stilemi precostituiti (…) in favore di una visione d’insieme delle conseguenze in concreto attese dall’attuazione del piano»[29]. L’autorità procedente, al contrario, ha condotto una valutazione tanto astratta da non permettere una stima esauriente delle ricadute significative dell’attività estrattiva. Senza un apprezzamento di tale genere, peraltro, risulta impossibile comprendere i reali impatti negativi di quell’attività e proporre delle adeguate misure di mitigazione e di compensazione atte a limitarli[30]. Sulla scorta delle citate considerazioni, il T.A.R. accoglie il ricorso e annulla l’atto di pianificazione provinciale e il conseguente provvedimento di variante urbanistica comunale impugnati. Ad ogni modo, la decisione del Tribunale invita a svolgere alcune riflessioni ulteriori.

Innanzitutto, a livello generale, occorre distinguere le misure di “mitigazione” da quelle di “compensazione”. Con le prime, si intendono per lo più soluzioni tecniche adottate per limitare direttamente l’impatto di un intervento antropico, come la realizzazione di un’opera pubblica o l’avvio di un’attività di carattere industriale[31]: si pensi, per esempio, alle barriere anti-rumore sulle strade ad alto scorrimento per ridurre le immissioni acustiche a beneficio delle abitazioni circostanti, ai sistemi di depurazione realizzati nel caso di attività che possano pregiudicare il patrimonio idrico, all’obbligo relativo all’uso di tecnologie meno inquinanti nei cantieri quando possibile, alle tecniche impiegate per minimizzare l’uso di combustibili o di sostanze inquinanti in genere.

Con le seconde, al contrario, si fa riferimento a misure che non servono a mitigare direttamente l’impatto di un’opera o di un progetto, ma sono concepite per limitare gli svantaggi che derivano da quell’opera o da quel progetto al territorio che li ospita[32]. In questo senso, le misure compensative possono concretizzarsi in somme di denaro impiegate per indennizzare i privati o la collettività dei sacrifici imposti ai rispettivi interessi ovvero in opere compensative utilizzate per ristorare gli interessi maggiormente colpiti da un progetto o un’opera[33]: per esempio, in presenza di un progetto che preveda un sensibile consumo di suolo, al proponente può essere chiesto di impegnarsi alla realizzazione di spazi ed aree verdi. 

In alcuni casi, l’opera compensativa può essere anche del tutto disancorata dall’impatto in concreto generato da un intervento umano e tradursi in una misura che vada genericamente a vantaggio del territorio su cui insiste quell’intervento: si pensi ai casi in cui la realizzazione di grandi infrastrutture dei trasporti e della logistica è accompagnata da previsioni che impongono al proponente di contribuire alla riqualificazione urbana delle aree attraversate dalle infrastrutture medesime, con l’effetto i progetti di costruzione di strade o ferrovie finiscono per riguardare anche la ristrutturazione di scuole e ospedali.

Le misure di mitigazione e di compensazione, di conseguenza, possono essere molto varie e la loro funzione servire a molteplici scopi. La sentenza in oggetto sembra considerare la previsione di misure di mitigazione e di compensazione come una condizione imprescindibile per dare concretezza alla valutazione ambientale strategica[34]. Il problema è comprendere fin dove possa spingersi il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni strategiche che propongono delle soluzioni compensative: data l’amplissima varietà di queste ultime, se sorge una controversia, rimane da capire se e quali criteri potrebbe seguire il giudice amministrativo nel verificarne l’efficacia ai fini della limitazione delle ricadute negative sul territorio. 

Ci si può interrogare, inoltre, su quali siano gli interessi che è eventualmente necessario compensare nell’ambito specifico di un procedimento di carattere ambientale. La valutazione ambientale strategica, infatti, dovrebbe concentrarsi solo sugli interessi ambientali, ma è sempre molto difficile identificare in concreto tali interessi. L’ambiente, infatti, è tutelato come bene in sé, ma anche come bene strumentale ad altri interessi, come la salute, l’arte, la cultura, nell’ambito di un più complessivo e razionale governo del territorio[35]. L’ambiente può divenire anche strumentale a soddisfare un interesse economico pubblico o privato, come quello che, nel caso in esame, muove i ricorrenti titolari degli agriturismi[36]. In un contesto simile, di conseguenza, non è sempre agevole e chiaro comprendere, a livello di pianificazione generale, quali siano le misure compensative e mitigative da prescrivere, dato che queste potrebbero effettivamente ridurre gli impatti sull’ambiente in sé e per sé considerato, ma potrebbero non risultare altrettanto efficaci per impedire o ridurre le esternalità negative su altre attività economiche.      

4. L’esclusione della valutazione di impatto ambientale e il contenuto delle prescrizioni recanti misure di compensazione

Caducati gli atti di pianificazione a monte, è abbastanza facile per il T.A.R. pronunciarsi sull’illegittimità del provvedimento di esclusione della valutazione di impatto ambientale relativo al progetto di apertura della cava. Ciò nonostante, il giudice ha cura di evidenziare che quel provvedimento risulta affetto anche da vizi autonomi.

In via generale, è opportuno premettere che la valutazione di impatto ambientale, a differenza di quella strategica, attiene a opere e progetti singolarmente considerati, non a piani e programmi: le due forme di valutazione dovrebbero coordinarsi, in modo tale che l’una completi l’altra[37]. Se, infatti, la valutazione ambientale strategica riguarda gli effetti complessivi dell’intervento di pianificazione, la valutazione di impatto ambientale misura le conseguenze specifiche di singole azioni di trasformazione antropica astrattamente autorizzate dalla precedente pianificazione[38].

Come la valutazione strategica, anche la valutazione di impatto ambientale si articola in numerose fasi, che comprendono: l’eventuale svolgimento preliminare di una verifica di assoggettabilità dell’opera alla procedura; la definizione dei contenuti dello studio di impatto ambientale; la presentazione e pubblicazione del progetto da valutare; lo svolgimento di consultazioni; la valutazione dello studio ambientale e degli esiti della consultazione; la decisione; la pubblicazione della medesima; il monitoraggio[39].

Il momento più delicato è certamente la redazione dello studio di impatto ambientale, che è una fattispecie a formazione progressiva, alla stessa stregua del rapporto ambientale della v.a.s.: dapprima il proponente è chiamato redigere uno studio preliminare ambientale sul progetto che intende realizzare; lo studio e il progetto sono approvati solo dopo l’intervento consultivo di una serie di autorità competenti[40].

Fondamentale è la definizione di “impatto ambientale” che si ricava dalla lettura della legge, secondo cui esso deve essere interpretato come «l’alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa dell’ambiente, inteso come sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici, in conseguenza dell’attuazione sul territorio di piani o programmi o di progetti nelle diverse fasi della loro realizzazione, gestione e dismissione, nonché di eventuali malfunzionamenti»[41]. Di conseguenza, lo studio relativo a tale impatto contiene necessariamente «una descrizione delle misure previste per evitare, ridurre e possibilmente compensare gli effetti negativi rilevanti»[42].

Le compensazioni che occorre inserire nella valutazione di impatto ambientale possono perciò variare molto, caso per caso, in qualità e quantità, ma devono essere attentamente previste e definite. E così, di volta in volta, può succedere che il Consiglio di Stato annulli il provvedimento di valutazione di impatto ambientale con valenza di autorizzazione paesaggistica concernente il progetto di coltivazione di una cava, perché presentato da una ditta senza tenere conto delle compensazioni a tutela del patrimonio boschivo circostante[43], o confermi un progetto di apertura di una miniera di salgemma, quando sia dimostrato che le autorità abbiano soppesato tutte le possibilità di impatto dirette ed indirette relative a rumore, sversamenti, prosciugamento delle acque, effetti cumulativi di altri piani o progetti, uso delle risorse naturali, produzione di rifiuti e inquinamento[44].

Nel caso in questione, ad opinione del T.A.R., è mancata proprio la suddetta attenta analisi degli impatti a giustificazione del provvedimento di esclusione della valutazione di impatto ambientale. Da un lato, infatti, l’amministrazione competente esclude la sottoposizione del progetto di apertura della cava alla valutazione, ma, dall’altro, subordina l’esonero al rispetto di una serie di condizioni, fra cui l’adozione di adeguate “opere di mitigazione”. Quest’ultima formula, tuttavia, è ancora una volta talmente generica da non significare nulla e tale da rinviare di fatto «alla fase del rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione della cava valutazioni che avrebbero dovuto essere completate nella fase di screening ovvero, se del caso, in sede di valutazione di impatto ambientale»[45].  

In effetti, a norma di legge, l’esclusione della v.i.a. può essere disposta «se il progetto non ha impatti negativi e significativi sull’ambiente», ma, se giudicato utile, l’autorità procedente può comunque impartire le «necessarie prescrizioni»[46]. In questa sede, tuttavia, il problema messo in rilievo dal T.A.R. è che le prescrizioni contenenti le misure di mitigazione e compensazione sembrano essere una mera clausola di stile, dal momento che non sono specificamente individuate né descritte compiutamente dall’autorità procedente. Da tutto questo si ricava che le misure di compensazione, siano esse sancite dalla v.i.a. vera e propria o prescritte dal provvedimento di non assoggettabilità alla v.i.a., devono concretizzarsi in precise e determinate soluzioni di carattere tecnico, volte a comporre tutti gli interessi in gioco. 

Un caso del 2008, abbastanza simile a quello in esame, giunto all’attenzione del Consiglio di Stato, pare confermare la ricostruzione del T.A.R. Toscana, secondo cui le compensazioni non possono essere generiche, ma devono anzi adattarsi alle diverse situazioni[47]. Anche questo caso prendeva le mosse dall’autorizzazione all’apertura di una cava in Toscana nei pressi di un complesso agrituristico. Il proprietario di quest’ultimo impugnava l’autorizzazione, sostenendo che l’omissione della v.i.a. avrebbe dovuto condurne all’annullamento. Tuttavia, sia in primo, sia in secondo grado, il giudice amministrativo ha trovato legittima la mancata attuazione della v.i.a.: dai rapporti istruttori che avevano fondato l’esclusione della valutazione di impatto ambientale, infatti, emergeva nettamente come la pubblica amministrazione avesse tenuto in debito conto gli impatti su qualità dell’aria, clima acustico, acque superficiali, acque sotterranee, scarichi, rifiuti, pericolosità geologica, esplosioni e perforazioni, emissioni inquinanti, traffico e trasporti, e avesse conseguentemente disposto puntuali prescrizioni e misure di mitigazione.  

5. Osservazioni conclusive: le misure di compensazione nell’«arena pubblica»

Sintetizzando le conclusioni del caso in questione, il T.A.R. Toscana, ritenendo sussistente la legittimazione ad agire dei ricorrenti, tra cui vi sono i titolari di complessi di agriturismo siti nelle vicinanze della cava, fa rientrare anche interessi di natura economica all’interno del requisito della vicinitas. Il tribunale, poi, rileva l’eccessiva genericità e astrattezza della valutazione ambientale strategica, censurando, in particolare, la mancata previsione di adeguate misure di mitigazione e compensazione degli effetti negativi dell’attività estrattiva. Infine, considera il provvedimento di esclusione dall’assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale viziato in via autonoma, per il riferimento a prescrizioni recanti misure di mitigazione e compensazione non specificate, né altrimenti identificabili. 

La sentenza offre un buon esempio della complessità dell’attuale realtà amministrativa. La pluralità di interessi pubblici e la moltiplicazione di pubbliche amministrazioni portatrici di tali interessi, così come la varietà di interessi privati, individuali e collettivi, economici e non, consentono di paragonare l’azione amministrativa a un’arena in cui più soggetti si confrontano, si alleano, entrano in conflitto e mediano per fare in modo che il provvedimento rifletta la composizione di tutti gli interessi e le esigenze in gioco[48]. Per le amministrazioni diviene sempre più strategico ricercare il consenso sia dei destinatari delle proprie decisioni[49], sia delle altre amministrazioni pubbliche in qualche modo coinvolte nei procedimenti, anche solo a livello consultivo[50].

In tale contesto, le compensazioni possono costituire delle soluzioni di natura negoziale necessarie per la composizione di interessi pubblici e privati: esse diventano una sorta di prezzo della decisione amministrativa. In questa prospettiva, le misure compensative possono mettere fine a una negoziazione tra soggetti in conflitto tra loro e, al contempo, possono essere oggetto esse stesse di negoziazione. 

L’aspetto interessante è che temi e problemi tipici di procedure negoziali, come la ricerca del consenso, finiscono col penetrare in ambiti tradizionalmente afferenti alla sfera del diritto amministrativo, come è il caso degli atti di pianificazione generale di cui si è occupata la sentenza in oggetto. Se le misure compensative derivano da una negoziazione compiuta caso per caso, risulta inoltre difficile stabilire in astratto il catalogo degli interessi compensabili e predeterminare i criteri che possano orientare il giudice in un eventuale sindacato circa l’efficacia delle singole compensazioni di volte in volta adottate.  

D’altro canto, l’appena evidenziata funzione delle compensazioni sembra essere accolta dal recente schema di decreto legislativo, approvato dal Consiglio dei Ministri nel marzo 2017 e trasmesso in Parlamento per i relativi pareri, riguardante l’attuazione della direttiva 2014/52/UE sulla valutazione dell’impatto ambientale. Tale decreto dovrebbe apportare una serie di modifiche al Codice dell’ambiente, specificando ulteriormente il ruolo delle compensazioni nelle valutazioni ambientali. 

In particolare, viene riscritto l’art. 22, d.lgs. n. 152/2006, che descrive i contenuti dello studio di impatto ambientale. Si ribadisce, innanzitutto, che tale studio debba prevedere «una descrizione delle misure previste per evitare, prevenire o ridurre e, possibilmente, compensare i probabili impatti ambientali negativi». 

Al nuovo allegato VII, inoltre, si specifica che dello studio dovrà essere parte integrante «una descrizione delle misure previste per evitare, prevenire, ridurre o, se possibile, compensare gli impatti ambientali negativi identificati del progetto (…). Tale descrizione deve spiegare in che misura gli impatti ambientali negativi sono evitati, prevenuti, ridotti o compensati e deve riguardare sia le fasi di costruzione che di funzionamento». In questo modo, si chiarisce definitivamente come le compensazioni debbano riguardare tanto la realizzazione, quanto l’entrata a regime dell’opera sottoposta a valutazione. 

In riferimento ai vincoli paesaggistici, infine, il citato allegato prevede che allo studio sia annessa una «descrizione degli elementi e dei beni culturali e paesaggistici eventualmente presenti, nonché dell’impatto del progetto su di essi, delle trasformazioni proposte e delle misure di mitigazione e compensazione eventualmente necessarie».


[1] È opportuno rammentare che il rapporto tra attività estrattive e tutela ambientale è stato anche al centro del dibattito politico della Regione Toscana, che ha approvato, con delibera del Consiglio Regionale del 27 marzo 2015, n. 37, un nuovo piano di indirizzo territoriale con valenza di piano paesaggistico. Quest’ultimo si occupa delle cave specialmente all’art. 17, prevedendo che la verifica di compatibilità paesaggistica sia sempre condizione vincolante per il rilascio delle autorizzazioni relative all’esercizio di attività estrattive e stabilendo una serie di condizioni da soddisfare ai fini della riattivazione delle cave dismesse o dell’ampliamento dei volumi di quelle esistenti.

[2] In generale, sulle recenti trasformazioni e dilatazioni di entrambe le nozioni, dovute tanto a interventi legislativi quanto a indirizzi giurisprudenziali, si rinvia a V. Cerulli Irelli, Legittimazione “soggettiva” e legittimazione “oggettiva” ad agire nel processo amministrativo, in Dir. amm., 2014, 341 ss. 

[3] Tale criterio è stato elaborato a partire da Cons. St., Sez. V, 9 giugno 1970, n. 523, che negava che una licenza edilizia potesse essere impugnata da «chiunque», ricollegando la legittimazione ad agire all’esistenza di una relazione fisico-spaziale tra un determinato soggetto ed il bene della vita rispetto al quale l’amministrazione esercita il suo potere.

[4] In tal modo, la vicinitas sembra essere una variante del collegamento particolare tra l’esercizio del potere e la sfera giuridico-economica del cittadino normalmente necessario per far sorgere una situazione giuridica soggettiva da far valere tanto in sede procedimentale, quanto in quella processuale. Di recente, sulle condizioni che giustificano la nascita di una situazione soggettiva di fronte all’esercizio del potere amministrativo, si legga G. Greco, Il rapporto amministrativo e le vicende della posizione del cittadino, in Dir. amm., 2014, 4, 585 ss. Per alcuni profili irrisolti circa il nesso tra la legittimazione ad agire e l’interesse materiale che muove il ricorrente si veda F. Trimarchi Banfi, L’interesse legittimo: teoria e prassi, inDir. proc. amm., 2013, 4, 1005 ss.

[5] In questa circostanza il presupposto della vicinitas sarebbe da rinvenire nella «situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell’intervento autorizzato» e basterebbe di per sé a giustificare la legittimazione ad agire. Si vedano, ex multis: Cons. St., Sez. IV, 12 maggio 2009, n. 2908; Id., 24 gennaio 2011, n. 485; Id., 29 agosto 2012, n. 4643; Id., 1 luglio 2013, n. 3543; Id., 22 settembre 2014, n. 4764. Per una ricognizione sulla materia si legga anche P. Urbani, L’interesse a ricorrere avverso i titoli edilizi: i legittimati dalla vicinitas, in Urb. app., 2015, 1, 91 ss.

[6] Sul punto si veda Cons. St., Sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1535, che specifica che il collegamento stabile della vicinitas non richiede necessariamente una adiacenza topografica tra le case dei residenti e il centro sportivo, presupponendo una semplice prossimità.

[7] A questo proposito si rimanda a Cons. St., Sez. IV, 10 luglio 2012, n. 4088.

[8] Si leggano le motivazioni di Cons. St., Sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 361, secondo cui «la realizzazione di consistenti interventi (comportanti una rilevante e notevole alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio) deve ritenersi pregiudizievole “in re ipsa”, in quanto il nocumento è conseguente alla minore qualità panoramica, ambientale, paesaggistica; ovvero alla possibile diminuzione di valore dell’immobile».

[9] Si fa riferimento a Cons. St., Sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4926, in cui si stabilisce che la vicinitas «esprime una relazione interferenziale relativa che dipende da molteplici fattori – ampiezza dell’intervento, natura e tipologia di eventuali emissioni, potenzialità che lo stesso produca effetti anche in aree lontane», ciò che giustifica il riconoscimento di «una posizione qualificata e differenziata a tutti coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento con la zona interessata», come può essere la posizione di un ente locale che subisce gli effetti dei progetti e dei piani approvati dagli enti locali limitrofi. 

[10] In tema si veda Cons. St., Sez. IV, 20 ottobre 2010, n. 7591, che sembrerebbe estendere la legittimazione ad agire non solo ai privati limitrofi alla stazione radio, dato che «in tema di denuncia di condotte implicanti compromissione dell’ambiente, ovvero, addirittura, pericoli rilevanti per la pubblica incolumità, la giurisprudenza non ha enucleato indici restrittivi» della vicinitas.

[11] Si possono qui richiamare Cons. St., sez. V, 16 aprile 2003, n. 1948 e Id., 14 giugno 2007, n. 3191. 

[12] È quanto stabilito, ex plurimis, da Cons. St., Sez. IV, 30 novembre 2010, n. 8364, secondo cui «il mero criterio della vicinitas di un fondo o di una abitazione all’area oggetto dell’intervento urbanistico-edilizio non può ex se radicare la legittimazione al ricorso, dovendo sempre fornire il ricorrente, in casi come quello in esame, la prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, in termini, ad esempio, di deprezzamento del valore del bene». Più recentemente si veda anche Cons. St., Sez. IV, 10 giugno 2014, n. 2965. Per una ricognizione dell’evoluzione dei presupposti della vicinitas in giurisprudenza si legga, da ultimo, A. Longo, La legittimazione dei terzi ad impugnare gli atti amministrativi in materia edilizia ed urbanistica: vicinitas e ulteriori condizioni di accesso alla tutela processuale, in Riv. giur. edil., 2016, 4, 516 ss.

[13] È pertanto necessario che il pregiudizio assuma una concreta dimensione individuale e che non si risolva nell’affermazione di un nocumento generico rivendicabile anche da chi soggiorni non stabilmente nella zona interessata dall’azione amministrativa. Su questo si rinvia a Cons. St., Sez. IV, 22 febbraio 2016, n. 719 e Id. 9 maggio 2016, n. 1861. L’obiettivo è chiaramente quello di impedire che il giudizio amministrativo si apra al quivis de populo. In tema si rinvia ad A. Maestroni, La vicinitas quale condizione per l’azione; paletti interpretativi in relazione alla questione della necessità della prova di un danno attuale e concreto in capo al gruppo di cittadini ricorrente, in Riv. giur. amb., 2014, 5, 557 ss. e a M. Sollini, L’interesse all’impugnazione di strumenti di pianificazione: una questione quanto mai aperta, in Riv. giur. edil., 2012, 1, 156 ss.

[14] Si tratta di Cons. St., Sez. V, 16 aprile 2013, n. 2095. Non mancano, tuttavia, sentenze del Consiglio di Stato e dei T.A.R. che hanno ampliato i confini della vicinitas fino a ricomprendervi, nel caso di provvedimenti che possono essere fonte di rischio per l’ambiente, la legittimazione ad agire di associazioni e comitati. Sul punto si vedano F. Giglioni, La legittimazione processuale attiva per la tutela dell’ambiente alla luce del principio di sussidiarietà orizzontale, in Dir. proc. amm., 2015, 1, 413 ss. e A. Maestroni, Sussidiarietà orizzontale e vicinitas, criteri complementari o alternativi in materia di legittimazione ad agire?, in Riv. giur. amb., 2011, 528 ss.

[15] A ciò si aggiunga che non di rado le valutazioni e i pareri tecnici di carattere ambientale sono impiegati anche per ponderare e compensare interessi diversi da quelli ambientali perseguiti dalle pubbliche amministrazioni coinvolte nei procedimenti diretti all’approvazione di piani o progetti su singole opere. Sull’uso “distorto” della Via, in particolare, si rinvia a L. Torchia (a cura di), I nodi della pubblica amministrazione, Napoli, 2016, 23.

[16] Tra i casi di impugnazione di piani di attività estrattive e delle conseguenti scelte localizzative delle cave da parte di associazioni e comitati, per difetto nella valutazione ambientale strategica, tra le tante, si rinvia a: Cons. St., Sez. V, 4 agosto 2014, n. 4153; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 7 marzo 2014, n. 1452; Cons. St., Sez. VI, 19 marzo 2012, n. 1534; T.A.R. Marche, Sez. I, 4 marzo 2010, n. 100.

[17] In maniera simile, è quanto accade in campo urbanistico-edilizio, dove sempre più spesso permessi di costruire rilasciati alle imprese vengono impugnate da società terze concorrenti già presenti sul territorio. Si veda Cons. St., Sez. IV, 19 novembre 2015, n. 5278, che vede un’impresa alberghiera ricorrere avverso il permesso di costruire rilasciato ad una società concorrente per la realizzazione di strutture ricettive molto vicine alle proprie. Sul tema generale si legga anche F. Degni, Riflessioni sul concetto di “stabile collegamento” quale presupposto per la legittimazione dei soggetti portatori di interessi a carattere commercial nelle controversie relative a provvedimenti di natura urbanistica ed edilizia, in www.giustamm.it.

[18] Per effetto dell’art. 6, co. 1, 2 e 3-bis ss., d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, sono soggetti a valutazione ambientale strategica vari tipi di piani di settore, come quelli forestali, della pesca, energetici, industriali, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistici, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli. A questi si aggiungono quei piani che interessano circoscritte aree locali che possono essere oggetto di una verifica di assoggettabilità (screening) alla valutazione ambientale strategica (art. 6, co. 3, d.lgs. n. 152/2006).

[19] A queste fasi si deve aggiungere la verifica di assoggettabilità nei casi in cui è prevista (art. 12 d.lgs. n. 152/2006). Recentemente, sui rapporti tra il silenzio-assenso tra pubbliche amministrazioni introdotto dall’art. 17-bis, l. 7 agosto 1990, n. 241, e la valutazione ambientale strategica si rinvia a S. Amorosino, La valutazione ambientale strategica dei piani territoriali ed urbanistici e il silenzio assenso di cui al nuovo art. 17 bis l. n. 241/1990, in Urb. app., 2015, 12, 1245 ss.  

[20] Tutte queste fasi sono scandite all’art. 13, d.lgs. n. 152/2006.

[21] In questi termini si esprimono, a titolo esemplificativo, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 27 febbraio 2015, n. 576, Cons. St., Sez. IV, 26 febbraio 2015, n. 975 e Id., 6 maggio 2013, n. 2446. Sul punto si legga anche M. D’Orsogna – L. De Gregoriis, La valutazione ambientale strategica, in P. Dell’Anno – E. Picozza (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, vol. II, Discipline ambientali di settore, Padova, 2013, 561 ss. 

[22] In molti casi si giunge espressamente a parlare di “sviluppo sostenibile” come fine ultimo della v.a.s. Così, tra le tante, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 18 dicembre 2013, n. 2858, T.A.R. Liguria, Sez. I, 21 novembre 2013, n. 1404 e Cons. St., Sez. IV, 21 agosto 2013, n. 4200. La valutazione strategica, in tal modo, finisce per «‘processare’ le scelte pubbliche alla luce specifica dell’interesse ambientale», secondo le parole di F. Fracchia – F. Mattassoglio, Lo sviluppo sostenibile alla prova: la disciplina di via e vas alla luce del d.lgs. n. 152/2006, in Riv. trim. dir. pubbl., 2008, 1, 122. 

[23] In questo senso, la v.a.s. sembra quasi costituire una sorta di motivazione degli atti di pianificazione, come sottolinea M. Cocconi, L’obbligo di motivazione degli atti amministrativi generali, in Riv. trim. dir. pubbl., 2009, 3, 707 ss. In particolare, sulla giustificazione dei piani urbanistici tramite valutazione ambientale, si vedano A. Cassatella, La motivazione dei piani urbanistici: aspetti evolutivi, in Riv. giur. edil., 2016, 3, 289 ss. e P. Chirulli, Urbanistica e interessi differenziati: dalle tutele parallele alla pianificazione integrata, in Dir. amm., 2015, 1, 50 ss.

[24] Sulla contestualità tra pianificazione e v.a.s. si leggano le considerazioni di E. Boscolo, La v.a.s. nel piano e la v.a.s. del piano: modelli alternativi di fronte al giudice amministrativo, in Urb. app., 2010, 1004 ss. 

[25] Da ultimo si prendano in esame: Cons. St., Sez. V, 28 luglio 2015, nn. 3725 e 3726 (in materia di mancata effettuazione della v.a.s. in relazione a un piano cave provinciale); Cons. St., Sez. IV, 12 marzo 2015, n. 1278 (sull’annullamento di un piano di zonizzazione acustica di un aeroporto non preceduto da v.a.s.); Cons. St., Sez. IV, 10 giugno 2014, n. 2965 (in relazione all’annullamento di un atto di pianificazione urbanistica comunale per mancato esperimento della v.a.s.).

[26] Per una classificazione di tali tecniche si rinvia a D. Granara, Le tecniche elusive dei procedimenti di valutazione ambientale, in Riv. giur. amb., 2014, 4, 157 ss.

[27] Si legga Cons. St., Sez. IV, 28 giugno 2016, n. 2921, secondo cui la valutazione ambientale strategica impone «che venga pronosticato ogni effetto dell’intervento di trasformazione sul territorio, e nel modo più accurato possibile in ossequio al principio di precauzione che permea di sé il diritto Europeo e nazionale in materia di protezione ambientale».

[28] In questo senso si esprime T.A.R. Toscana, Sez. I, 28 dicembre 2016, n. 1874, che giunge ad affermare che la valutazione ambientale strategica dovrebbe includere un’analisi di fattibilità economica, tale da consentire un’adeguata comparazione tra il sacrificio ambientale imposto e l’utilità socio-economica che deriverebbe dall’atto di pianificazione. In maniera analoga si pronunciano anche: T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 27 febbraio 2015, n. 576; T.A.R. Marche, Sez. I, 6 marzo 2014, n. 291; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 19 dicembre 2012, n. 5256.

[29] Sono le conclusioni del punto 6.7. della sentenza in esame.

[30] Il T.A.R., infatti, ritiene insufficiente l’unica misura di mitigazione proposta, ossia l’adozione di una tecnica di scavo rispettosa del paesaggio, perché la v.a.s. dovrebbe concentrarsi anche sugli effetti di medio e lungo periodo causati dall’attività estrattiva.

[31] Le misure di mitigazione sono solo citate, ma non puntualmente definite, all’interno del d.lgs. n. 152/2006, sia con riferimento alla v.a.s., sia in relazione alla v.i.a. Si prevede semplicemente che esse siano funzionali a ridurre impatti negativi sull’ambiente derivanti da piani e singole opere. La realtà amministrativa si è poi incaricata di dare concretezza a queste misure, di cui la legge indica solo la funzione e i fini.  

[32] Vale quanto già scritto nella nota precedente in tema di misure mitigative. Non esiste una definizione legislativa di compensazioni, essendo esse solo citate nel d.lgs. n. 152/2006. Tuttavia, il Codice dell’ambiente non è il primo né l’unico testo normativo che le abbia previste, sempre in maniera funzionale a bilanciare gli effetti negativi di un intervento umano. Si pensi, per esempio: agli artt. 165, co. 3 e, 183, co. 2, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ormai abrogato, per le infrastrutture strategiche; all’art. 4, d.l. 14 novembre 2003, n. 314, per il deposito nucleare; all’art. 2, co. 558 – 560, l. 24 dicembre 2007, n. 244, per i siti di stoccaggio del gas; all’art. 9, co. 7, d.l. 23 maggio 2008, n. 90, per le discariche di rifiuti urbani.

[33] Sulle varie tipologie di misure compensative, anche in ottica comparata e giuseconomica, può essere utile il rinvio a E. Baffi, Il problema delle noxious facility e le misure compensative, in A. Macchiati – G. Napolitano (a cura di), È possibile realizzare le infrastrutture in Italia?, Bologna, 115 ss. 

[34] Tale lettura sembra confortata anche dalle previsioni legislative, dato l’allegato IV, parte II, lett. g), d.lgs. n. 152/2006 stabilisce che il rapporto ambientale redatto nell’ambito della v.a.s. debba indicare «le misure previste per impedire, ridurre e compensare nel modo più completo possibile gli eventuali impatti negativi significativi sull’ambiente dell’attuazione del piano o del programma».

[35] In questa prospettiva, è stato giustamente sostenuto che «la sostenibilità (…) è indicata come il fine del governo del territorio e appare come il bilanciamento, nella duplice prospettiva spaziale e temporale, di tutti gli interessi pubblici e privati, sia «dominanti» (come la proprietà, l’ambiente, le risorse economico-finanziarie) che «emergenti» (quali i servizi d’interesse generale, la tutela della concorrenza, la difesa dei diritti umani)» (L. Casini, L’equilibrio degli interessi nel governo del territorio, Milano, 2005, xxv).

[36] Per un approfondimento su come l’ambiente possa virtualmente investire ogni interesse umano, pubblico e privato, e per un esame delle modalità di composizione di tali interessi si rinvia a M. Cafagno, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente come sistema complesso, adattativo, comune, Torino, 2007, passim e P. Urbani (a cura di), Politiche urbanistiche e gestione del territorio. Tra esigenze del mercato e coesione sociale, Torino, 2015, passim

[37] Ciò discende in maniera pacifica da una lettura piana delle disposizioni di cui agli artt. 5 e 19 ss., d.lgs. n. 152/2006.

[38] Sul punto è sufficiente richiamare A. Milone, Le valutazioni ambientali, in R. Ferrara – M.A. Sandulli (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, II, Milano, 2014, 144 ss. e F. Fonderico, Valutazione d’impatto ambientale, in S. Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, VI, Milano, 2006, 6171 ss.

[39] Si tratta di fasi scandite all’art. 19, d.lgs. 152/2006. 

[40] Si veda l’art. 21, d.lgs. n. 152/2006.

[41] Art. 5, co. 1, lett. b), d.lgs. n. 152/2006.

[42] Art. 22, co. 3, lett. b), d.lgs. n. 152/2006.

[43] Si tratta di Cons. St., Sez. VI, 19 marzo 2012, n. 1534, che, nel caso di specie, ha ravvisato un difetto di istruttoria nel fatto che sia la ditta proponente sia il Corpo forestale dello Stato non si sarebbero resi conto che la cava avrebbe compromesso boschi di neoformazione in alcun modo compensabili. 

[44] È l’interessante caso che si è posto all’attenzione di Cons. St., Sez. VI, 8 settembre 2009, n. 5263, che ha ritenuto soddisfacenti l’analisi di impatto, le misure di mitigazione proposte per l’avviamento della miniera e privo di vizi o di elementi di illogicità l’iter argomentativo di approvazione della v.i.a. da parte delle autorità amministrative competenti.

[45] Sono le parole del punto 9.2.2. della sentenza in commento.

[46] Art. 20, co. 5, d.lgs. n. 152/2006.

[47] Si tratta di Cons. St., Sez. VI, 7 ottobre 2008, n. 4807.

[48] Si intende richiamare la metafora utilizzata da S. Cassese, L’arena pubblica: nuovi paradigmi per lo Stato, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, 3, 601 ss., che la proponeva come nuovo modello di comprensione dei rapporti tra amministrazioni e privati. Se, in passato, l’attività amministrativa era stata dominata dal contrasto insanabile tra Stato e cittadino, tra autorità e libertà, oggi, invece, è pacifico ritenere che possano sorgere conflitti tra interessi pubblici diversi, che le amministrazioni possano mediare tra loro per perseguire quegli stessi interessi, che i privati possano fare leva, per tutelare interessi particolari, su alcuni interessi pubblici contro altri.  

[49] In tal senso, anche se con riferimento alle opere pubbliche di rilievo nazionale, si vedano i contributi di A. Averardi, Amministrare il conflitto: costruzione di grandi opere e partecipazione democratica, in Riv. trim. dir. pubbl., 2015, 4, 1173 ss. e di L. Bobbio, Le specificità del dibattito pubblico sulle grandi infrastrutture. Il caso della variante autostradale di Genova, in U. Allegretti (a cura di), Democrazia partecipativa. Esperienze e prospettive in Italia e in Europa, Firenze, 2010, 285 ss.

[50] Sui conflitti innescati dalla varietà di interessi pubblici si veda S. Cassese, Il mondo nuovo del diritto. Un giurista e il suo tempo, Bologna, 2008, 57 ss., che definisce «un mito giuridico» l’univocità e l’unitarietà della nozione di interesse pubblico.

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