Lab-IP

L’inefficienza della politica carceraria italiana

di Giovanni Piccoli

09/12/16

  1. I numeri recenti.
  2. Gli sviluppi recenti.
  3. I provvedimenti legislativi adottati
  4. Il seguito delle misure normative per la nuova cultura della pena
  5. Il piano Carceri
  6. La deliberazione n. 6/2015/G della Corte dei Conti sul Piano Carceri
  7. Conclusioni

 

  1. I numeri recenti

 

           Stando agli ultimi dati diffusi dal Ministero della Giustizia recanti la data del 30 novembre 2016, le 192 prigioni italiane ospitano 55.251 persone, di cui 18.714 di nazionalità straniera, 19.411 in custodia cautelare e poco meno di un terzo del totale recluse per violazione delle leggi sulle droghe. Con una capienza regolamentare di 50.254 posti, il tasso di sovraffollamento è dunque del 109,94% e ben 13 regioni non rispettano il limite dei posti disponibili.

Il numero dei detenuti è notevolmente inferiore rispetto a quello di 68.258 del giugno 2010, quando l’allora governo varò il cosiddetto “Piano Carceri”, a soli 4 anni di distanza dai provvedimenti indulgenziali del 2006 che avevano ridotto la popolazione carceraria sotto le quattro decine di migliaia.

  1. Gli sviluppi recenti

         Dal 2010 ad oggi si sono alternati 4 governi di diversa indole, vi è stata, nel 2013, la famosa sentenza “Torreggiani” della Corte Edu ed una forte presa di coscienza da parte delle istituzioni che ha portato a miglioramenti, spesso però non accompagnata dall’attenzione della società civile.

Il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha dichiarato, durante la conferenza “Pena e speranza” organizzata dal Cortile dei Gentili a Roma il 16 novembre scorso, come il carcere presenti il grosso problema del disinteresse della società nei suoi confronti e una nuova cultura della pena non può prescindere da ciò. Si possono predisporre le migliori leggi, ma se i cittadini rimangono profondamente alieni alla realtà carceraria, pensando di poter rinchiudervi per anni il male, non si risolve alcunché.

Punto critico del nostro sistema erano e permangono le infrastrutture penitenziarie, per la maggior parte vecchie e improntate a una concezione vetusta. Mancano spazi adeguati per i colloqui, luoghi ove poter essere formati, dove essere curati subito senza aspettare mesi per poter essere tradotti in ospedale; mancano luoghi e possibilità di lavoro che non siano le “solite professioni domestiche” alle dipendenze del DAP e soprattutto le istituzioni locali sono spesso, anche senza colpa, disinteressate a tutto ciò. Del budget dedicato al settore, solo l’8% circa è speso per i detenuti e vi è perenne carenza di personale delle forze dell’ordine, di educatori, di mediatori linguistico-culturali e di tutta la componente che dovrebbe tendere a reinserire la persona nella società.

C’è un dato che dovrebbe far riflettere: il numero di suicidi e di morti in carcere, non solo tra i detenuti. Nel 2010, 66 detenuti si sono tolti la vita, su un totale di 185 decessi. Nel 2016, alla data del 1° dicembre, i suicidi sono stati 35, per un totale di 100 morti. I dati, nell’impossibilità di recuperare fonti ufficiali da canali istituzionali, sono stati ricuperati dal database dell’associazione “Ristretti orizzonti”, che include altresì tra i suicidi i casi di morte meno chiara, come ad esempio quelle accadute a seguito di overdose o cattiva assistenza sanitaria. Considerando i provvedimenti positivi attuati dai governi negli ultimi anni, è facile comprendere che il disagio fisico e psicologico, “ragionevole” conseguenza della detenzione, sia implementato in condizioni di vita ulteriormente gravose. Inoltre, dal 2000, almeno 100 agenti della polizia penitenziaria hanno compiuto il gesto estremo, a testimonianza del fatto che l’istituzione totalizzante sia qualcosa di pregiudicante non solo per i reclusi.

  1. I provvedimenti legislativi adottati

I provvedimenti adottati negli ultimi anni, si diceva, sono stati positivi.

Nel 2011 è stato posto un freno al fenomeno delle “porte girevoli”, ossia quello delle persone che entrano ed escono in pochissimo tempo dal carcere.

Il d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito con modificazioni dalla l. 21 febbraio 2014 n.10, ha aumentato le possibilità di uso del “braccialetto elettronico” , il cui utilizzo tuttavia è attualmente bloccato a causa dell’esaurimento dei braccialetti messi a disposizione sulla base dell’ultima fornitura che il Ministero della Giustizia ha concluso con Tim; per il piccolo spaccio è stato reso inapplicabile l’arresto obbligatorio in flagranza; sono state implementate le misure alternative alla detenzione e si è esteso l’ambito applicativo dell’espulsione dei cittadini extra-UE come misura alternativa alla detenzione.

Il d.l. 26 giugno 2014 n. 92, convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014 n. 117, ha introdotto l’articolo 35-ter nella legge sull’ordinamento penitenziario, consentendo rimedi risarcitori contro le violazioni dell’art. 3 della convenzione Edu; ha esteso ai “giovani adulti” fino 25 anni i casi in cui poter applicare la disciplina del procedimento minorile.

La l. 28 aprile 2014 n. 67 ha conferito una delega al governo in materia di “pene detentive non carcerarie” e di riforma del sistema sanzionatorio, con disposizioni in materia di sospensione del procedimento “con messa alla prova”.

Dal 2015 vi è la non punibilità per particolare tenuità del fatto, ex art.131-bis c.p.

Da circa due anni, è fermo tra navette varie il disegno di legge che include tra le altre disposizioni la delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena; il ddl 2067 del Senato, all’articolo 31, prevede infatti (imponendo la non  onerosità del tutto per la finanza pubblica) che i decreti da adottare dovranno essere improntati ad una “semplificazione delle procedure […]; alla revisione delle modalità e dei presupposti di accesso alle misure alternative[…] al fine di facilitare il ricorso alle stesse […]; alla previsione di una necessaria osservazione scientifica della personalità da condurre in libertà, stabilendone tempi, modalità e soggetti chiamati a intervenire; integrazione delle previsioni sugli interventi degli uffici dell’esecuzione penale esterna; previsione di misure per rendere più efficace il sistema dei controlli, anche mediante il coinvolgimento della polizia penitenziaria; eliminazione di automatismi e di preclusioni che impediscono o rendono molto difficile, sia per i recidivi sia per gli autori di determinate categorie di reati, l’individualizzazione del trattamento rieducativo e revisione della disciplina di preclusione dei benefìci penitenziari per i condannati alla pena dell’ergastolo […]; previsione di attività di giustizia riparativa e delle relative procedure, quali momenti qualificanti del percorso di recupero sociale sia in ambito intramurario sia nell’esecuzione delle misure alternative; maggiore valorizzazione del lavoro, in ogni sua forma intramuraria ed esterna, quale strumento di responsabilizzazione individuale e di reinserimento sociale dei condannati, anche attraverso il potenziamento del ricorso al lavoro domestico e a quello con committenza esterna, aggiornando quanto il detenuto deve a titolo di mantenimento; previsione di una maggior valorizzazione del volontariato sia all’interno del carcere, sia in collaborazione con gli uffici di esecuzione penale esterna; disciplina dell’utilizzo dei collegamenti audiovisivi sia a fini processuali, con modalità che garantiscano il rispetto del diritto di difesa, sia per favorire le relazioni familiari; revisione delle disposizioni dell’ordinamento penitenziario alla luce del riordino della medicina penitenziaria […]; riconoscimento del diritto all’affettività delle persone detenute e internate e disciplina delle condizioni generali per il suo esercizio; previsione di norme che considerino i diritti e i bisogni sociali, culturali, linguistici, sanitari, affettivi e religiosi specifici delle persone detenute straniere; adeguamento delle norme dell’ordinamento penitenziario alle esigenze educative dei detenuti minori di età […]; attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale, al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell’effettività della funzione rieducativa della pena, presupposto indispensabile perché l’intero ordinamento penitenziario sia pienamente conforme ai princìpi costituzionali […]”.

  1. Il seguito delle misure normative per la nuova cultura della pena

         Anche se il cammino non è completo, tutto ciò ha comunque portato a un netto miglioramento delle condizioni detentive e probabilmente ha aperto la strada a una concezione del carcere che dovrà diventare una extrema ratio. Come anche attestano le risultanze degli Stati generali dell’Esecuzione Penale, la strada sarà lunga perché dal punto di vista politico un cambio radicale è impossibile nell’immediato. Quindi l’atteggiamento riformista è la bussola.

A misure importanti dal punto di vista legislativo dovranno far seguito importanti previsioni dal punto di vista meramente amministrativo; andrebbero gestiti meglio i rapporti tra mondo della giustizia ed enti locali, i rapporti con i privati che entrano in contatto a qualsiasi titolo con gli istituti penitenziari, andrebbe completamente rivisto il percorso formativo di coloro che lavorano con le persone private della libertà personale e va certamente rivisto l’organico in relazione alle mutate esigenze della popolazione penitenziaria, totalmente rivoluzionata negli ultimi anni  (a fine 2014 vi erano solo 2 mediatori culturali ogni 100 detenuti stranieri; è inoltre di pochi giorni fa la notizia della chiusura pomeridiana ai volontari del carcere romano di Rebibbia a causa della carenza del personale di polizia). Come urgente è il bisogno di approvare la delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario, datato 1975; anche il relativo regolamento di esecuzione, invece datato 2000, ha perso per forza di cose la dinamicità che è propria del mondo contemporaneo, costringendo l’amministrazione penitenziaria a dover far i conti con disposizioni assurde al giorno d’oggi, ma inderogabili.

Il DAP fa quel che può con le circolari, ma non basta.

Occorrerebbe inoltre capire cosa fare con gli istituti penitenziari. Ristrutturare quelli vecchi, che hanno costi comunque altissimi per quanto riguarda ad esempio riscaldamento e servizi? Costruire nuovi impianti? Quanti? Come? Dove? Con che fondi?

Una lunga questione, per molti versi insoluta, condita di tutti gli ingredienti tipici della burocrazia italiana, cominciata nel 2008 in maniera ufficiale e ancora oggi senza soluzione.

  1. Il Piano Carceri

         Competente per la gestione dei penitenziari e relativo personale è il Ministero della giustizia, nello specifico il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP); nel 2009 al capo del DAP fu riconosciuto, per combattere l’emergenza causata dal sovraffollamento carcerario e risolvere i problemi gestori, uno speciale potere; nel 2010 un’opcm lo delegò a redigere ed attuare il c.d. “Piano Carceri”, già citato in questo elaborato. Nel 2012 il capo del DAP, a causa del doppio incarico, fu sostituito nelle funzioni succitate da un prefetto, quale commissario delegato; prefetto poi nominato Commissario straordinario, con incarico cessato anticipatamente il 31/07/2014, allorquando le attività di cui si parla sono state ritrasferite al DAP e al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

I poteri speciali affidati erano finalizzati alla preparazione, alla approvazione dei progetti, affidabili anche a liberi professionisti, ad accelerare le procedure e agire con deroghe varie alle normative in materia (in particolare del “Codice dei contratti pubblici” del 2006). I tre soggetti che si sono alternati avevano come compiti quelli di programmazione dell’attività di edilizia penitenziaria, manutenzione straordinaria, ristrutturazione, completamento, ampliamento delle strutture penitenziarie esistenti; tutto nel rispetto dei criteri di economicità individuati dal Ministero della giustizia, mantenendo e promuovendo le piccole strutture carcerarie idonee all’istituzione di percorsi di esecuzione della pena differenziati su base regionale e all’implementazione di quei trattamenti indispensabili per la rieducazione e il futuro reinserimento sociale del detenuto; dovevano provvedere alla realizzazione di nuovi istituti penitenziari e di alloggi di servizio per la polizia penitenziaria, alla destinazione e valorizzazione dei beni immobili penitenziari.

Ergo, nelle varie sfaccettature del Piano carceri sono stati previsti interventi finalizzati ad incrementare i posti detentivi e a migliorare le condizioni dei detenuti attraverso la realizzazione o il completamento di nuovi istituti ovvero con la costruzione o il completamento di nuovi padiglioni destinati ad ampliamenti di istituti esistenti. Un cambio di paradigma, per poter ottenere strutture “moderne e leggere”, per il reinserimento sociale dei detenuti.

Il commissario, nelle audizioni parlamentari atte a testimoniare il suo operato, ha più volte affermato che fatto positivo era stato quello di aver unificato le competenze di più uffici nella sua figura, con competenze contabili speciali, competenza in cassa ed una sola centrale di committenza. Fatto negativo era stato invece quello di essere stato incaricato di “carceri” in generale, senza alcuna distinzione tra le varie tipologie di strutture (per minori, alta sicurezza, maschili, femminili, strutture per tossicodipendenti), secondo una logica cara al ministero che avrebbe portato ad esempio la Sardegna a dotarsi di moltissimi posti in più per detenuti rispetto alle reali esigenze della regione. Fatto negativo, secondo egli, contraddicendo anche il suo ruolo, sarebbe stato anche quello di non dover procedere a gare di evidenza pubblica, facendo riferimento per la maggiore a procedure a rotazione consistenti in gare con  inviti nei confronti di aziende abilitate.

Nel 2014, a causa della ambigua gestione commissariale accertata anche successivamente con Deliberazione n. 6/2015/G dalla Corte dei Conti, la gestione del Piano Carceri ritorna in mano ai ministeri, al DAP e al MIT, nelle rispettive funzioni. Ciò ha portato anche al blocco dei lavori, delle gare, dei pagamenti, comportando ulteriori ritardi.

  1. La deliberazione n. 6/2015/G della Corte dei Conti sul Piano Carceri

         Nella succitata deliberazione, la Corte dei Conti ha espresso profonda delusione per il Piano Carceri e i suoi sviluppi. Durante la gestione commissariale, “piuttosto deludente”, infatti, sono stati spesi circa 52 milioni euro, più o meno l’11% delle risorse messe a disposizione. Di conseguenza gli obiettivi prefissati non sono stati raggiunti. Vi sarà l’allungamento forzato delle tempistiche di ultimazione fino al 2018 e il numero dei posti che saranno a fine iter resi disponibili sarà di 90 unità in meno rispetto alle 12.024 originariamente previste.

Stando alle dichiarazioni rilasciate in Parlamento dal Commissario e non contraddette da alcuna autorità, contrariamente a come si potrebbe agire secondo il senso comune se si hanno “poteri speciali”, egli non avrebbe utilizzato appieno il potere derogatorio del codice degli appalti, “come pure gli era consentito dalle ordinanze di nomina, avendo preferito agire secondo le regole ordinarie, con il bando di gare ad evidenza pubblica, a beneficio della concorrenza e della trasparenza”. Modus operandi che invece non sarebbe stato proprio, a suo avviso, nelle procedure contrattuali gestite dai competenti Ministeri ed in particolare dal DAP.

Per la Corte dei Conti, “se ne può trarre la conclusione, di ordine generale, della dubbia utilità della scelta dei commissariamenti e che non è affatto sufficiente procedere alla nomina di un commissario per eliminare o correggere disfunzioni e carenze dell’azione amministrativa ordinaria.”.

A sostegno di tale affermazione, il giudice porta due enormi paradossi.

In primis, il fatto che per la manutenzione ordinaria e straordinaria si sia agito con enorme ritardo, comportando ciò l’inutilizzabilità di spazi ormai degradati irrimediabilmente; per la Corte, a tal riguardo, occorrerebbe, come richiesto dal DAP, un fondo annuale dedicato esclusivamente alle operazioni di manutenzione.

Il secondo paradosso, indice di profonda inefficienza del sistema, è l’emersione di nuovi posti regolamentari eccedenti i bisogni territoriali, posti che sono inutilizzabili a meno di non voler sradicare detenuti da altre realtà, contravvenendo ai principi costituzionali in materia. (eclatante il caso della Sardegna).

Su tutto ciò pesa la carenza di personale amministrativo e di sicurezza.

I positivi recenti sviluppi del sistema penitenziario, ossia la notevole diminuzione del numero dei detenuti e i seri miglioramenti della loro condizione, sono dovuti secondo la Corte dei Conti alle “numerose innovazioni delle norme penali e di procedura penale e del sistema sanzionatorio approvate e attuate negli ultimi anni”.

La Magistratura contabile, ritiene come alla base di tutto vi sia stato l’errato approccio di fondo. Ovverosia sarebbe mancato e mancherebbe tuttora un sistema di analisi per individuare specificamente i casi di sovraffollamento carcerario da parte del DAP.  “Il sovraffollamento carcerario, al di là del suo significato generico, ha un senso più preciso dal punto di vista normativo e amministrativo solo se il numero dei detenuti internati in una struttura carceraria viene messo in relazione al numero delle celle e agli spazi di detenzione esistenti in quella struttura.[…] Per essere poi “mirate” in base alle situazioni concrete, le rilevazioni devono essere ulteriormente distinte a seconda delle caratteristiche e tipologie dei detenuti […] ed essere effettuate tenendo presenti i dati più significativi che consentono di accertare la presenza o meno di sovraffollamento[…]”.

  1. Conclusioni

         Recentemente, il Ministro Orlando ha dichiarato come il Ministero stesse valutando un piano che, partendo dalla collaborazione finanziaria con CDP, avrebbe consentito di costruire carceri moderne di proprietà dello Stato, ponendo finalmente fine al dibattito sulla opportunità di far entrare i privati in tale settore, anche a seguito delle complesse vicende del nuovo carcere di Bolzano, che da circa 2 anni attende di essere realizzato sulla base di un progetto nato grazie alla finanza di progetto; CDP dovrebbe costruire nuove infrastrutture all’avanguardia, finanziandosi con la vendita delle carceri vetuste (Regina Coeli, Poggio Reale, Opera) rimesse a nuovo e occupandosi della manutenzione delle prime.

Il Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Mauro Palma, effettivo da inizio 2016, in seguito a ciò ha dichiarato che “prima di ragionare su quali spazi carcerari utilizzare, occorrerebbe riflettere su quale modello di esecuzione penale sia più utile per i detenuti”. Ha altresì affermato che “sulla situazione carceraria non ci sono soluzioni già determinate però ciò che va evitato è il concetto di ‘periferia’ in quanto tale, concettuale. Va evitato, cioè, che ci sia una rimozione del problema carcerario: il carcere deve rimanere un pezzo della città, sia concettualmente che fisicamente. Il punto su cui bisognerà porre l’attenzione è l’approccio di fondo: bisognerebbe prima ragionare su quale modello di esecuzione penale vogliamo, e poi vedere in quali spazi organizzarla”.

Ancora una volta, quindi, ci dovremmo chiedere cosa intendiamo per pena, quello che chiediamo ad essa e solo successivamente provvedere.

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