Lab-IP

L’interpretazione restrittiva delle eccezioni al principio generale di accesso alle informazioni ambientali

Ersilia Nardone

12/07/2019

Con la sentenza del 4 settembre 2018, n. 57/16 la Corte di Giustizia dell’Unione europea nella composizione della Grande Sezione, accogliendo i ricorsi presentati dall’organizzazione ClientEarth, ha annullato la sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 13 novembre 2015, ClientEarth/Commissione (T- 424/14 e T 425/14), nonchè due decisioni della Commissione rese rispettivamente il 1° aprile e il 3 aprile del 2014.
Il giudice di primo grado, respingendo la richiesta di annullamento avanzata da ClientEarth, un’organizzazione senza scopo di lucro con finalità di tutela ambientale, aveva confermato le due decisioni della Commissione adottate a seguito di due domande di accesso presentate dal ricorrente in base al regolamento (CE) n.1049/2001 relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione. La prima domanda aveva ad oggetto un progetto di relazione sulla valutazione d’impatto riguardante l’accesso alla giustizia in materia ambientale a livello degli Stati membri nel settore della politica ambientale dell’Unione, nonché un parere del comitato per la valutazione d’impatto (in prosieguo: documenti di valutazione d’impatto sull’accesso alla giustizia in materia ambientale). La seconda invece concerneva una relazione sulla valutazione d’impatto riguardante un progetto di strumento vincolante che definiva il quadro strategico per le procedure di ispezione e di sorveglianza incentrate sui rischi e relative alla normativa ambientale dell’Unione europea, nonché il parere emesso dal comitato suddetto in merito a tale relazione (in prosieguo: documenti di valutazione d’impatto sulle ispezioni e sulla sorveglianza in materia ambientale).
La Commissione aveva rigettato le domande in applicazione dell’art.4 paragrafo 3, comma 1 del regolamento citato il quale, con riferimento al caso in cui la richiesta verta su un documento elaborato per uso interno da un’istituzione che non ancora abbia adottato una decisione sulla questione oggetto del documento stesso, sancisce che ne venga rifiutato l’accesso qualora dalla divulgazione derivi grave pregiudizio al processo decisionale, sempre che non vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione e facendo salva al paragrafo 6 la possibilità di consentire l’accesso alle parti del documento che non rientrino nelle eccezioni. In particolare, secondo la Commissione, in primo luogo i processi decisionali correlati ai documenti oggetto di richiesta si trovavano in una fase iniziale e delicata, in secondo luogo sebbene l’accesso non discriminatorio alla giustizia avrebbe consentito di realizzare una migliore tutela dell’ambiente, tuttavia questo già era garantito dinanzi ai giudici nazionali e i processi decisionali in esame erano volti unicamente a migliorare tale accesso. Infine la Commissione ha ricordato ai giudici che durante una consultazione pubblica tenutasi nel 2013 le parti interessate, tra cui anche la società civile, avevano potuto fornire il proprio contributo alla definizione delle grandi linee delle proposte.
Il Tribunale dell’Unione europea, respingendo i ricorsi presentati da ClientErth avverso le due decisioni, aveva affermato che dopo aver raccolto i contributi delle parti interessate nel corso della fase pubblica di consultazione, la Commissione doveva agire in piena autonomia e indipendenza, unicamente nell’interesse generale, ai fini dell’elaborazione di eventuali proposte politiche. Quest’ultima inoltre, secondo il giudice, ai fini dell’applicazione dell’ art. 4, paragrafo 3, primo comma del regolamento 1049/2001, non era tenuta a svolgere un esame concreto e individuale di ciascuno dei documenti formati nell’ambito della preparazione di una valutazione d’impatto. Infatti, in base alla presunzione generale di riservatezza, il Tribunale aveva ritenuto che la divulgazione di tali documenti avrebbe pregiudicato il processo decisionale di elaborazione di una proposta politica, precisando però che tale presunzione era applicabile fino a quando la Commissione non avesse deciso se adottare o abbandonare l’iniziativa prevista. Infine il Tribunale aveva concluso che tale presunzione non era in contrasto con l’art. 6, paragrafo 1 del regolamento n. 1367/2006, in base al quale nell’ambito delle richieste di informazioni ambientali, le eccezioni di cui all’art. 4 del regolamento 1049/2001 devono essere interpretate in modo restrittivo considerando l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione.
Il giudizio tuttavia è stato sottoposto all’attenzione della Corte di Giustizia dell’Unione europea la quale, non condividendo l’interpretazione del giudice di primo grado, ha accolto il ricorso presentato da ClientEarth, le cui conclusioni sono state supportate anche dal Regno di Svezia e dalla Repubblica di Finlandia.
Poichè nelle more del giudizio la Commissione aveva provveduto alla pubblicazione e comunicazione al ricorrente dei documenti richiesti, il giudice di secondo grado ha analizzato innanzitutto la questione relativa alla permanenza dell’interesse ad agire risolvendola in senso positivo per diversi motivi, primo dei quali costituito dalla circostanza che le decisioni controverse non erano state ritirate. In secondo luogo, considerando che la divulgazione dei documenti era avvenuta solo dopo che la Commissione aveva assunto le proprie decisioni relative alle iniziative previste, non poteva ritenersi realizzata la finalità perseguita dall’organizzazione mediante la richiesta di accesso, volta a far valere il proprio punto di vista nei processi decisionali prima della loro conclusione. Infine la Corte di Giustizia, richiamando la precedente giurisprudenza, ha affermato che l’interesse ad ottenere l’annullamento di un atto permane per indurre l’autore dell’atto stesso a non incorrere, in futuro, nello stesso vizio di illegittimità che inficia l’atto in questione.
Con riferimento all’applicazione da parte del Tribunale al caso di specie della presunzione generale di riservatezza, la Corte ha ricordato che, in linea di principio, qualora un’istituzione dell’Unione neghi l’accesso ai sensi dell’art. 4 del regolamento 1049/2001 ha l’onere di spiegare in che modo l’interesse tutelato dall’eccezione potrebbe subire un pregiudizio concreto ed effettivo a seguito della divulgazione dei documenti richiesti, precisando che poichè tali eccezioni derogano al principio del più ampio accesso possibile del pubblico ai documenti, esse devono essere interpretate ed applicate in senso restrittivo. Inoltre, in conformità alla giurisprudenza consolidata, sebbene vi siano casi in cui il diniego può essere fondato su presunzioni generali, tuttavia queste sono applicabili solo ad alcune categorie di documenti, fino ad ora cinque individuate dalla Corte stessa, caratterizzate dalla comune appartenenza ad un fascicolo afferente ad un procedimento amministrativo o giurisdizionale in corso.
A seguito di tali considerazioni, il giudice europeo è approdato a diverse conclusioni. Innanzitutto ha affermato che le relazioni sulla valutazione d’impatto, aventi ad oggetto la presentazione delle diverse opzioni politiche, lo studio delle incidenze, dei vantaggi e degli inconvenienti di tali opzioni, nonché un raffronto di queste ultime, elaborate in vista dell’eventuale adozione di iniziative legislative da parte della Commissione, costituiscono “documenti legislativi” ai sensi dell’art. 12, paragrafo 2 del regolamento 1049/2001 il quale attua il principio risultante dal considerando 6 del medesimo regolamento volto a garantire un accesso più ampio ai documenti nei casi in cui le istituzioni dell’Unione agiscano in veste di legislatore.
In secondo luogo, osservando che i documenti controversi contenevano informazioni ambientali ai sensi del regolamento 1367/2006, la Corte ha richiamato il considerando 2 dello stesso da cui risulta che l’accesso a tali informazioni mira a garantire un’effettiva partecipazione al processo decisionale, in modo da accrescere la responsabilità degli organi competenti, al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica e di ottenerne il sostegno nei confronti delle decisioni adottate. Inoltre ha posto l’attenzione sull’art. 6, paragrafo 1 del regolamento citato da cui risulta che il diniego di accesso enunciato all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001 deve essere interpretato in maniera restrittiva con riferimento alle informazioni ambientali, in modo da tendere ad una maggiore trasparenza di queste. Di conseguenza, trattandosi di “documenti legislativi” contenenti informazioni ambientali, le eccezioni al principio generale dell’accesso da parte del pubblico, devono essere oggetto, nelle parole della Corte, “di un’interpretazione e di un’applicazione tanto più restrittive”.
Se quindi è vero che la Commissione, quando effettua valutazioni d’impatto, debba agire unicamente nell’interesse generale e in maniera pienamente indipendente, è però anche vero che la trasparenza dei processi decisionali, a maggior ragione quando si tratta di un processo legislativo nel settore ambientale, garantisce la credibilità della sua azione agli occhi dei cittadini e delle organizzazioni interessate, contribuendo a realizzare le condizioni suddette.

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