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Rinviare sempre? Ampiezza e confini dell’obbligo di rinvio pregiudiziale nelle recenti ordinanze del Consiglio di Stato sui servizi telefonici

06/12/2021

A cura di Francesca Saveria Pellegrino

L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni nell’ottobre 2016 decide di intervenire nel mercato della telefonia mobile e fissa a tutela degli utenti per assicurare loro la massima trasparenza nelle informazioni sui prezzi, essenziale per poter confrontare le diverse offerte. L’Autorità aveva riscontrato che le modalità per conoscere il proprio credito residuo erano esclusivamente online e che diverse compagnie avevano modificato la cadenza del rinnovo delle offerte, determinando il venir meno di un parametro temporale certo e consolidato, creando problemi in termini di trasparenza e comparabilità. Pertanto, tenuto conto dell’art.71 co 1 del “Codice delle comunicazioni elettroniche” ai sensi del quale “l’Autorità può precisare ulteriori prescrizioni in ordine alla forma in cui tali informazioni devono essere pubblicate” e dell’art.71 co 2 per cui “ove tali servizi non siano servibili sul mercato a titolo gratuito o ad un prezzo ragionevole, l’Autorità provvede affinché vengano resi disponibili…” l’Agcom indice una consultazione pubblica all’esito della quale modifica la sua delibera 252/16/CONS recante “Misure a tutela degli utenti per favorire la trasparenza e la comparazione delle condizioni economiche dell’offerta dei servizi di comunicazione elettronica” con la delibera 121/17/CONS stabilendo puntualmente l’obbligo per le compagnie di rendere conoscibile il credito residuo gratuitamente o attraverso il sito web o l’app o attraverso numero telefonico o sms gratuito. E determinando che per la telefonia fissa la cadenza per il rinnovo è su base mensile o suoi multipli, mentre per la telefonia mobile non può essere inferiore a 4 settimane. Infine, che le compagnie di telefonia mobile che adottano un rinnovo non mensile informano prontamente l’utente con un SMS dell’avvenuto rinnovo. L’Agcom quindi ha assegnato agli operatori 90 giorni per adeguarsi alla delibera.

Le compagnie telefoniche Fastweb, WindTre, TIM e Vodafone impugnano suddetta delibera davanti al Tar del Lazio lamentandone l’illegittimità sotto più profili tra cui la mancanza di una norma nazionale o europea che attribuisse il potere all’Autorità di determinare la cadenza del rinnovo; la sproporzione delle misure adottate in quanto secondo le ricorrenti lo stesso risultato potrebbe ottenersi con misure meno invasive e la violazione del principio comunitario di non discriminazione operando la distinzione, a parer loro ingiustificata, tra telefonia mobile e fissa. Il Tar del Lazio rigetta il ricorso concludendo che il potere esercitato dall’Agcom trova fondamento nel d.lgs 295/2003 “Codice delle comunicazioni elettroniche e nelle leggi n.481 del 1995 e 249 del 1997, e non ravvisando profili di contrasto con la normativa comunitaria. Inoltre, per il Tar le misure appaiono proporzionate in quanto fissano semplicemente un limite minimo per le cadenze del rinnovo e l’obiettivo non potrebbe raggiungersi, come precedentemente ipotizzato, con il solo utilizzo di un motore di comparazione, infine la distinzione nel trattamento della telefonia mobile e fissa non integra una violazione del principio di non discriminazione essendo giustificata dalle differenze che caratterizzano i due ambiti.

Gli operatori propongono appello davanti al Consiglio di Stato avverso tale sentenza insistendo sulla mancanza di un simile potere di regolamentazione e sulla violazione dei principi di proporzionalità e non discriminazione. Secondo le ricorrenti, l’introduzione di vincoli non previsti dall’ordinamento comunitario in un settore liberalizzato determinerebbe anche una violazione del principio di concorrenza, infatti la disciplina unionale permetterebbe alle autorità nazionali solo di imporre obblighi informativi e non di regolare il contenuto o di operare eterointegrazioni del contratto. Il Consiglio di Stato, pur espressamente dimostrando di non dissentire dalle conclusioni del Tar, ha ritenuto di sollevare articolate questioni pregiudiziali innanzi la Corte di Giustizia trattandosi di materie in cui, anche se le misure di regolamentazione sono adottate da un’autorità nazionale in applicazione di disposizione interne, queste ultime sono comunque frutto di un recepimento del diritto europeo. In particolare il Consiglio di Stato ha sollevato questioni procedurali e di merito.

Ed infatti, nota il Consiglio di Stato, l’art. 267 TFUE obbliga i giudici nazionali di ultima istanza al rinvio pregiudiziale per garantire un’interpretazione uniforme del diritto unionale. Tale obbligo non sussiste qualora la questione non sia rilevante per la risoluzione della controversia o qualora “la corretta applicazione del diritto europeo possa imporsi con tale evidenza da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata”. Al Consiglio di Stato appare “arduo se non impossibile” escludere nel caso concreto ogni minimo dubbio circa l’interpretazione delle norme europee in questione e che i criteri per escludere l’obbligo di rinvio delineati dalla sentenza Cilfit costituiscano una probatio diabolica che spingerebbe i giudici nazionali a operare sempre il rinvio, anche qualora fossero certi dell’interpretazione, pur di evitare una eventuale sanzione allo Stato per inadempimento. A seguito di tali considerazioni il Consiglio di Stato chiede alla Corte di chiarire la portata dell’obbligo ex art.267TFUE e dell’espressione “il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri stati membri e alla stessa Corte di Giustizia”. Infatti, anche se il Consiglio di Stato, all’atto dell’ordinanza 5588/2020, non sembra nutrire dubbi in ordine all’interpretazione da dare alle disposizioni in questione, ritiene comunque necessario verificare preliminarmente se operi l’obbligo di rinvio. Se la Corte dovesse ritenere sussistente tale obbligo, allora il giudice solleva i seguenti quesiti di merito per l’interpretazione e la corretta applicazione di principi e disposizioni europei rilevanti nel caso di specie, in particolare le direttive 19,20,21,22 del 2002. Innanzitutto, chiede se il diritto europeo osti ad una normativa nazionale che attribuisca all’Autorità il potere di limitare la cadenza delle fatturazioni e di rinnovo delle offerte commerciali. Ad avviso del Consiglio di Stato, per la normativa italiana l’Agcom dovrebbe ritenersi titolare di tali poteri e tale norma sembrerebbe coerente con la disciplina unionale che nell’art.8 Dir.21/2002 sancisce che gli obblighi imposti devono essere proporzionati con gli obiettivi di tutela prefissati. Per quanto attiene al principio di proporzionalità che, come il Consiglio di Stato sottolinea, è un principio generale dell’ordinamento europeo, chiede se una sua corretta applicazione osti all’imposizione di tali obblighi e se questi possano considerarsi un eccessivo sacrificio per gli operatori. Per il giudice del rinvio anche in questo caso non ci sarebbe alcuna violazione in quanto le misure non sembrano eccedenti quanto necessario per il raggiungimento dell’obiettivo, infatti gli operatori continuano ad essere liberi di stabilire il prezzo essendo regolata solo la modalità di rappresentazione del corrispettivo e comunque potendo variare, aumentandolo, il tempo delle cadenze di rinnovo.

L’ultimo quesito riguarda il principio di non discriminazione, anche questo fondante del diritto unionale, ma che qui, secondo il Consiglio di Stato, non sembrerebbe violato in quanto le due fattispecie di telefonia mobile e fissa non appaiono comparabili tra loro, essendo già diversificati per prassi commerciale e modalità di pagamento. Quindi, con questa ordinanza di rinvio pregiudiziale, il Consiglio di Stato sospende il procedimento in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia.

Nel frattempo, il 6 ottobre 2021, la Corte di Giustizia si pronuncia nella causa C-561/19 su un precedente rinvio pregiudiziale, sempre del Consiglio di Stato italiano, in ordine alla portata dell’obbligo di rinvio per i giudici nazionali di ultima istanza di cui all’art267TFUE e le sue eccezioni. In tale pronuncia, la Corte ha chiarito che l’obbligo sussiste a meno che la questione sia irrilevante per la risoluzione della controversia, la disposizione sia già stata oggetto di interpretazione da parte della Corte o si evinca da una giurisprudenza europea consolidata o infine, che la corretta interpretazione si imponga con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi. Inoltre, specifica la Corte, il giudice non è esonerato da tale obbligo per il solo motivo che ha già adito la Corte in via pregiudiziale nell’ambito del medesimo procedimento nazionale.

A seguito di tale decisione, la Cancelleria della Corte ha invitato il Consiglio di Stato a verificare la permanenza del rinvio pregiudiziale dell’ordinanza 5588/2020 avendo, nel primo quesito, sollevato questione analoga a questa appena risolta circa l’obbligo di cui all’art267TFUE.

L’Autorità nelle sue deduzioni, presentate dopo la suddetta richiesta, ha evidenziato come alla luce della sentenza del 6 ottobre 2021 e considerato il fatto che il Consiglio di Stato aveva escluso ragionevoli dubbi interpretativi, dovrebbe ritenersi non sussistente l’obbligo di rinvio pregiudiziale, essendo il suo intervento regolatorio compatibile con il diritto europeo. Dall’altra parte, secondo le ricorrenti, proprio in ragione di tale ultima pronuncia della Corte, sussisterebbe l’obbligo di rinvio in quanto la risoluzione delle questioni è rilevante per la risoluzione della controversia nazionale, le questioni non sono state esaminate in precedenti giurisprudenziali ed emergerebbe un ragionevole dubbio interpretativo. Sul versante procedimentale quindi le parti convengono che possa ritenersi superato il primo quesito in ordine a perimetro e limiti dell’obbligo di rinvio anche se con conseguenze di merito quanto agli ulteriori quesiti, come visto, diametralmente opposte.

Il Consiglio di Stato, dopo aver convenuto con le parti sull’avvenuto superamento del primo quesito, riconosce che, con la sentenza della CGUE, sono state precisate le condizioni per cui ai sensi dell’art.267TFUE il giudice nazionale di ultima istanza possa risolvere la controversia senza operare il rinvio pregiudiziale e ciò, come detto, avviene in tre casi: quando la questione non è rilevante per la risoluzione della controversia nazionale cioè quando non può influire in alcun modo sul suo esito, quando la questione sia già stata oggetto di interpretazione della Corte quindi la questione è identica ad una già sollevata in via pregiudiziale o la giurisprudenza sia univoca (è escluso l’obbligo, ma non preclusa la possibilità di rinvio) e infine quando l’interpretazione corretta si impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi per cui il giudice maturi il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe ai giudici degli altri stati membri o alla Corte, quest’ultima valutazione, precisa la Corte, va svolta in funzione delle caratteristiche del diritto dell’Unione, tenendo conto delle diverse lingue di redazione delle disposizioni e dell’autonomia della terminologia e delle nozioni del diritto europeo, oltre che collocando le disposizioni unionali nel loro contesto.

Pertanto, alla luce della pronuncia del 6 ottobre 2021 della CGUE, il Consiglio di Stato ritiene che questa abbia risolto in punto di diritto il primo quesito di rinvio pregiudiziale posto dalla ordinanza 5588/2020 e che quindi, tenuto anche conto del principio di economicità dei giudizi e dell’efficacia delle sentenze della Corte, non sarebbe più utile insistere sulla disamina di tale quesito che, anche se in altro giudizio, pone una questione materialmente identica. Con la sua pronuncia la Corte ha chiarito quali sono i criteri interpretativi da applicare per verificare se l’interpretazione corretta del diritto dell’unione si “imponga con tale evidenza da non lasciare adiro a ragionevoli dubbi”. Sono stati puntualmente delineati gli accertamenti che il giudice nazionale è chiamato a fare per vedere se sussista o meno l’obbligo di rinvio. Il Consiglio di Stato quindi riscontrando l’invito della Cancelleria della Corte ritira il primo quesito pregiudiziale ormai risolto da altra pronuncia. A questo punto, il Collegio ricorda come nella sua ordinanza avesse evidenziato che l’esame degli altri quesiti sarebbe stato necessario solo se per quel caso specifico si fosse ritenuto cogente l’obbligo di cui all’art. 267 TFUE. Tenuto conto dei chiarimenti fatti dalla Corte occorre, quindi, applicare i parametri indicati ai quesiti b, c, d in particolare verificarne la rilevanza, verificare se la questione sia già stata affrontata o se vi sia una tale evidenza dell’interpretazione corretta da non generare dubbi. Il Consiglio di Stato premette che tali quesiti interpretativi hanno ad oggetto disposizioni nazionali e unionali essenziali per la risoluzione della controversia al fine di valutare se il legislatore, legittimando il potere in capo all’Autorità di imporre tali misure di regolamentazione, abbia violato la normativa da recepire o i principi generali del diritto UE.

In secondo luogo, i quesiti posti non sembrano riguardare questioni materialmente identiche ad altre già decise dalla Corte o da una giurisprudenza consolidata.

Infine, i quesiti sembrano porre problemi interpretativi per i quali non c’è una interpretazione corretta che si imponga con tale evidenza cosi come definita dalla Corte nella sua ultima pronuncia. Infatti anche se la Corte ha precisato che il giudice nazionale non deve conoscere tutte le divergenze linguistiche, che non è sufficiente per vincolarlo la mera possibilità di letture diverse o la mera presenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, tuttavia ha comunque sottolineato l’esigenza di evitare divergenze giurisprudenziali e assicurare una applicazione uniforme del diritto europeo. Alla luce di ciò, al Consiglio di Stato sembra comunque rilevante analizzare le diverse prassi operative seguite dalle altre amministrazioni nazionali, considerando che diverse applicazioni dello stesso principio unionale possono inficiare la corretta applicazione e l’uniforme interpretazione del diritto dell’Unione. Pertanto, secondo il Consiglio di Stato, applicando tali parametri agli altri quesiti non sembra si possano escludere ragionevoli dubbi così come intesi dalla sentenza della Corte di Giustizia. Le appellanti hanno dimostrato che altre amministrazioni non hanno adottato misure analoghe e le indicazioni ERG non giustificano tali misure. Infine, l’importanza della pronuncia su tali quesiti discende anche dalle osservazioni formulate dalla Commissione Europea a seguito della prima ordinanza di rinvio pregiudiziale. Quest’ultima infatti ha sottolineato l’importanza di valutare attentamente l’eventuale eccessiva ampiezza di tali misure limitative e di approfondire le questioni su un criterio di differenziazione proporzionato e idoneo a giustificare la distinzione tra telefonia fissa e mobile. Anche se il Consiglio di Stato per il suo punto di vista sulle risposte da dare ai quesiti rimanda a quanto detto nell’ordinanza 5588/2020, comunque ritiene che, alla luce di quanto finora sottolineato, non sussistano i presupposti per ritirare i tre quesiti pregiudiziali, necessari per la risoluzione della controversia nazionale.

L’importanza di queste pronunce si evince dal ruolo centrale che ha nella risoluzione di una controversia l’obbligo per il giudice nazionale di ultima istanza di azionare lo strumento del rinvio pregiudiziale. Come più volte ribadito anche dalla giurisprudenza europea, questo strumento contribuisce in modo determinante ad assicurare, nelle materie disciplinate a livello comunitario, una uniforme interpretazione e applicazione delle disposizioni unionali. A seguito della decisione della Corte del 6 ottobre 2021, il Consiglio di Stato ha riconosciuto innanzitutto che era risolto, in linea di principio, il primo quesito procedurale e che nella specie ci fossero i presupposti per mantenere i quesiti di merito sollevati con l’ordinanza 5588/2020, soprattutto alla luce dei sopravvenuti chiarimenti in ordine ai parametri di valutazione da applicare enunciati dalla Corte e delle deduzioni fatte dalle parti. Pertanto, il Collegio ha ritirato il primo quesito e confermato i restanti tre, tuttavia non solo il giudice sembra confermare come detto i tre quesiti, ma sembra anche modificare soprattutto in ragione delle osservazioni della Commissione Europea le sue motivazioni. Infatti, se nella prima ordinanza non sembrava avere dubbi circa la compatibilità delle disposizioni nazionali con l’ordinamento europeo questa convinzione appare meno forte nell’ultima decisione che sembra in parte recepire le perplessità della Commissione. A ben vedere il Consiglio di Stato, proprio in ragione degli approfondimenti suggeriti nel merito dalle osservazioni della Commissione, ha potuto sciogliere ogni dubbio residuo sulla permanente necessità di investire dei quesiti formulati la Corte di Giustizia alla luce del perimetro del proprio obbligo di rinvio dalla stessa Corte definitivamente delineato con la sentenza di ottobre su cui la Cancelleria ha sollecitato l’approfondimento del giudice italiano.

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