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Terzo settore: la riforma diventa legge

di Federico Ruggiero

8 giugno 2016

 

La critica sostenibilità dei bilanci pubblici ha provocato in Italia una tendenza a ridurre il ruolo dello Stato nella fornitura di servizi sociali. Nell’attuale situazione economico-finanziaria, la spesa pubblica riservata al settore sociale rappresenta più del sessantacinque per cento delle uscite operative del bilancio statale. Le risorse statali e quelle degli enti territoriali destinate alle aree sociali più in difficoltà si fanno progressivamente più esigue, estendendo sempre di più il gap tra i bisogni sociali e la spesa pubblica.
Secondo il rapporto italiano della Social Impact Investment Task Force, sarebbe possibile ridurre questo gap tramite l’utilizzo di strumenti innovativi di finanza sociale, i quali possono mettere a disposizione ulteriori flussi di capitale per finanziare interventi nei settori sociali più in difficoltà. Tale obiettivo potrà essere perseguito solo con un processo di innovazione normativo-organizzativa, finalizzato allo sviluppo di un vero mercato degli investimenti a impatto sociale, tenendo conto dei significativi cambiamenti nella natura e nei vincoli delle organizzazioni del Terzo settore.
Si identifica con Terzo settore, o settore no profit, quell’insieme di attività produttive che non rientrano né nella sfera dell’impresa capitalistica tradizionale (poiché non ricercano un profitto), né in quella delle ordinarie amministrazioni pubbliche (in quanto si tratta di attività di proprietà privata). In Italia, il Terzo settore è stato finora disciplinato in maniera frammentaria e disorganica, soprattutto per l’assenza di una definizione normativa che individui in maniera inequivocabile i soggetti che ne fanno parte. Nonostante ciò, tale settore è andato sviluppandosi, raggiungendo più del tre per cento del PIL nazionale .
Attualmente, il modello più diffuso di impresa nel Terzo settore è quello delle cooperative sociali, le quali si caratterizzano per la loro natura innovativa e per un obiettivo d’interesse generale volto alla promozione umana e all’integrazione sociale. Il Terzo settore italiano è costituito anche da altre tipologie di organizzazioni, sia no profit che a scopo di lucro. Rilevanza assumono le imprese sociali, disciplinate dal Decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155. La struttura dell’impresa sociale è data dall’unione del requisito positivo dell’utilità sociale dei beni o dei servizi prodotti o scambiati, con quello negativo del divieto di distribuzione degli utili.
Tramite questo nuovo modello imprenditoriale, il legislatore ha messo a disposizione degli enti senza scopo di lucro le norme proprie degli enti commerciali, cercando di realizzare una sintesi tra enti del Libro V ed enti del Libro I del Codice civile, consentendo a soggetti già oggetto di disciplina dal Codice di esercitare un’attività in forma imprenditoriale negli ambiti espressamente previsti nel D.lgs. 155/2006. Tuttavia, tale modello di impresa non si è affermato sufficientemente nel settore sociale, come dimostra il numero limitato di imprese sociali rispetto a quello delle cooperative.
Le principali cause di questa scarsa diffusione sono riconducibili a una normativa eccessivamente rigida e a una serie di fattori, tra cui: l’assoluto divieto di distribuzione degli utili ai soci, imposto dall’art. 3, co. 2, del D.lgs. n. 155/2006; la ristretta definizione di impresa sociale; la forma giuridica che non consente di reperire capitali da soggetti esterni; l’assenza di agevolazioni finanziarie e fiscali.
Al fine di incentivare il ricorso a tale modello imprenditoriale, lo scorso maggio è stata approvata la legge delega per la riforma del Terzo settore, intervenendo anche sulla normativa delle imprese sociali. Con l’attuazione della riforma, il legislatore intende implementare il coinvolgimento del settore privato negli investimenti a impatto sociale, permettendo di fare impresa con il no profit e favorire la domanda di investimenti nel campo sociale, sviluppando un mercato aperto a nuovi strumenti di impact investing come i Social Impact Bond. La PA dovrebbe svolgere il ruolo di coordinatore all’interno di questo nuovo sistema basato sullo sviluppo di politiche sociali e implementare sistemi alternativi che tramite il privato sociale siano in grado di: innovare meccanismi per la gestione dei servizi pubblici; creare delle partnership innovative tra pubblico e privato sociale; assicurare un risparmio di spesa pubblica.
Il 25 maggio scorso, pertanto, è stata approvata la legge per la delega al Governo di riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale. Il nuovo testo approvato prevede che il Governo adotti, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di Terzo settore. La riforma mette sostanzialmente ordine nella normativa finora vigente, semplificando e puntando su trasparenza e un sistema di controllo rafforzato. Innanzitutto, è prevista la semplificazione della normativa con la futura creazione di un Registro nazionale del Terzo settore e la stesura di un Codice del Terzo settore che contenga disposizioni generali applicabili a tutti gli enti e che individui le attività di interesse generale svolte dalle organizzazioni del Terzo settore e la loro differenziazione tra i diversi tipi di ente. È previsto, inoltre, che tale Codice definisca forme e modalità di organizzazione, amministrazione e controllo.
Il legislatore ha, inoltre, delineato una definizione definitiva di Terzo settore, fino a questo momento mancante. L’art. 1 della legge definisce il Terzo settore come «il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi».
Con la nuova legge si prende definitivamente atto del fallimento del D.lgs. 155/2006 che aveva introdotto la nuova veste giuridica dell’impresa sociale. A causa delle sfide del nuovo welfare e delle gestioni dei beni comuni, l’impresa sociale non aveva prodotto i risultati sperati. Il nuovo testo all’art. 6 della legge di riforma definisce impresa sociale «quell’organizzazione privata che svolge attività d’impresa per le finalità di cui all’articolo 1, che destina i propri utili prioritariamente al conseguimento dell’oggetto sociale ma può remunerare il capitale investito nella misura pari a quanto oggi in vigore per le cooperative a mutualità prevalente, adotta modalità di gestione responsabili e trasparenti, favorisce il più ampio coinvolgimento dei dipendenti, degli utenti e di tutti i soggetti interessati alle sue attività e quindi rientra nel complesso degli enti del Terzo settore».
L’intento di attrarre capitali di rischio per le imprese sociali può, quindi, essere realizzato, al contrario della normativa precedente, applicando i criteri della mutualità prevalente, che oggi arriva a riconoscere una remunerazione fino al 5% del capitale sociale. Si prevede, inoltre, con decreto del Presidente del Consiglio, l’indicazione dei nuovi settori che dovranno rientrare nelle attività di interesse generale già predisposte dalla disciplina precedente, in maniera tale da non limitare l’operatività dell’impresa sociale.
Il Governo, inoltre, dovrà procedere alla creazione di due organismi: il Consiglio Nazionale del Terzo settore e la Fondazione Italia Sociale. Il primo è un organismo consultivo nazionale per tutti gli enti del Terzo settore. Il secondo è una fondazione di diritto privato, a cui viene riconosciuta una dotazione iniziale di un milione di euro, il cui compito è quello di sostenere, attrarre e organizzare iniziative filantropiche e strumenti innovativi di finanza sociale come i Social Impact Bond. Infine, si prevede la creazione di un fondo, il fondo per il Terzo settore, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, destinato alla promozione di attività di interesse generale.
Con questo primo atto di riforma si creano le fondamenta per un sistema di welfare delle opportunità e delle responsabilità che si realizza non solo attraverso le funzioni pubbliche, ma anche riconoscendo il valore dell’impresa profit e no profit. Il nostro ordinamento ha posto i presupposti per una valorizzazione dell’attività economica all’interno del Terzo settore. La nuova legge crea le condizioni perché soggetti di natura privata possano svolgere funzioni pubbliche, tramite un allentamento del limite di riduzione del divieto di non distribuzione degli utili e previsioni per un allargamento dei settori di attività di interesse generale, principali ostacoli per un accrescimento delle capacità imprenditoriali dell’impresa sociale e un conseguente aumento del beneficio per la collettività.
Trattandosi di una legge delega, vengono definiti i principi fondamentali secondo i quali dovranno articolarsi i decreti attuativi che porteranno alla creazione di una sorta di testo unico del Terzo settore, che potrà definitivamente aprire allo sviluppo di strumenti innovativi di finanza sociale per la realizzazione di progetti pubblici, già da tempo applicati in altri paesi. Infine, sarà necessario un mirato e tempestivo intervento del governo affinchè sia rapidamente introdotto un meccanismo per la misurazione del valore sociale di un’attività, al di là di ciò che è espresso dal valore economico di mercato.

Riferimenti bibliografici:
Presidenza del Consiglio dei Ministri, (2013). La finanza che include: gli investimenti ad impatto sociale per una nuova economia. Rapporto italiano della Social Impact Investement Task Force, istituita in ambito G8.
Randazzo, R., Taffari, G., (2015). Riforma del Terzo settore e impact investing. Adesso si cambia. Milano, Wolters Kluwer.
Forum Terzo settore, (2016). La riforma del Terzo settore è diventata legge, in www.forumterzosettore.it
Saccaro, M., (2016, 27 maggio). Nasce il registro del Terzo settore, in Il Sole e 24 Ore.

 

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