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Giustizie amministrative europee a confronto

di Alessandra Rambaldi

09/06/16

Nel costruire un ordinamento comune a più Stati membri, l’Unione considera e vaglia vari modelli legislativi e giurisdizionali frutto di già consolidate esperienze nazionali. A seguito di un attento esame sull’efficienza dei vari sistemi può selezionare come punto di riferimento una singola esperienza, oppure può estrapolare varie angolazioni di differenti sistemi nazionali, rendendo peculiare ed originale l’ordinamento europeo.

Certamente è quanto è avvenuto e sta ancora avvenendo nella definizione del sistema di tutele del cittadino rispetto la pubblica amministrazione europea, ecco perché si ritiene imprescindibile volgere lo sguardo ad altri ordinamenti stranieri.

  1. L’esperienza inglese

Nelle esperienza d’oltremanica, nell’ottocento il contenzioso amministrativo venne affidato ai Boards, nome generico con cui si definiscono i collegi deputati a dare soluzione alle controversie sorte tra cittadini e pubblica amministrazione e ai quali, successivamente, è stato attribuito il nome di Tribunals.

Il legislatore vittoriano avrebbe potuto affidare al sistema giudiziario la risoluzione di controversie amministrative, oppure avrebbe potuto preferire sistemi di giurisdizione privata arbitrale, già all’epoca molto diffusa nell’ordinamento. In riferimento alla prima possibilità, il legislatore ha preferito non sovraccaricare le corti con ulteriori competenze, in special modo poi con contenuti altamente tecnici e di carattere puramente amministrativo. Ad aggiungersi a tali considerazioni, era da garantire che il corretto funzionamento dell’apparato pubblico non fosse legato ai tempi e ai costi della giustizia, poco compatibili con gli interessi del singolo cittadino. Anche la seconda ipotesi, cioè il ricorso all’arbitrato, appariva contrastare con le esigenze di rapidità e di economicità, arrivando ad escludere anche ogni forma di appellabilità delle decisioni arbitrali. Non era nemmeno questa la strada perseguibile.

Così viene prospettato un nuovo ruolo sulle amministrazioni, chiamate a risolvere controversie limitatamente all’ambito burocratico, così da garantire tempi e costi di risoluzione ridotti e un alto grado di competenza tecnica dei componenti dei collegi chiamati a decidere, competenze che non appartenevano alle corti ordinarie. Inoltre, il legislatore prevede dei modelli procedurali contenzioni semplici caratterizzati da discussioni pubbliche e informali, volti a soddisfare un interesse pubblico nel più breve tempo possibile e a costi ridotti.

Se fino alla metà dell’ottocento questi Boards ricoprivano sia funzioni amministrative che giudiziali, col passare dei decenni questi organi assumevano sempre di più funzioni prettamente giudiziali, separando definitivamente le funzioni esecutive da quelle di risoluzione di controversie. Inoltre, se inizialmente parte dei membri delle commissioni appartenevano al potere dell’esecutivo, nel tempo si rafforza il grado di indipendenza e i collegi si compongono di membri ‘laici’. Ecco, quindi, che si delinea l’immagine attuale dei tribunals, il cui nome può trarre in inganno, facendo presupporre al lettore che questi organismi siano stati inglobati nel sistema giudiziario inglese.

Invece, è si preferisce ritenere che i tribunals siano organismi quasi-judicial, seppure svolgono una funzione assimilabile a quella delle corti.  Come le corti, essi devono garantire la pubblicità della udienze, il diritto di essere assistiti da un legale, l’obbligatorietà delle motivazioni delle risoluzioni, la possibilità di ricorrere in secondo grado per una riesame della decisione (judicial review), l’imparzialità della commissione.

Una parte della dottrina tiene a rimarcare le differenze che l’ordinamento attribuisce ai tribunals e alle courts, come ad esempio il fatto che i primi hanno poteri di accertamento anche su documenti estranei a quelli presentati dalle parti nell’istruttoria, evidenziando come si predisponga ogni mezzo per consentire il procedimento più rapido possibile e più tarato sul caso concreto. Al contrario, le corti sono caratterizzate da un approccio di tipo adversarial, cioè, basato sull’onere della prova.
Il riferimento al modello inglese dei tribunals non è casuale in questo ‘contesto’ europeo, se si guarda alle commissioni di ricorso presenti nelle agenzie europee. Anche in questo caso è la stessa amministrazione coinvolta chiamata a prendere in esame il ricorso del cittadino, attraverso commissioni indipendenti e con membri con competenze tecniche-amministrative, che non rientrano in alcun modo nel sistema giudiziario disegnato dal legislatore europeo.

A questo peculiare panorama istituzionale, con l’emanazione del Parliamentary Commissioner Act nel 1967 si affianca il Parliamentary Commissioner for Administration, in seguito definito con il nome Parliamentary Ombudsman. A differenza dei tribunals, però, va evidenziato che ci si trova di fronte ad una figura mutuata dall’Ombudsman scandinavo, non essendo quindi frutto esclusivo dell’esperienza straniera in analisi. Concludendo questa parentesi sulla giustizia amministrativa inglese, può dirsi che il tutto verte sul pragmatismo e sulla diversificazione dei sistemi di tutela: approccio che sembra condiviso anche dall’Unione vista sia la presenza di commissioni di ricorso nelle amministrazioni, sia di un Mediatore Europeo.

  1. L’esperienza continentale europea

Anche in Francia e in Italia, nel medesimo periodo, si cercava di tracciare le linee di una tutela amministrativa, però, con ragioni differenti.
In Francia, ancor prima dell’inizio del XIX secolo, si distingueva l’amministrazione attiva, intesa come l’insieme delle attività ‘normali’ dell’amministrazione, dall’amministrazione contenziosa. Anche durante la Rivoluzione francese permane il principio di giustizia ritenuta per le controversie con l’apparato burocratico. A protezione di questa attività contenziosa, si chiariva che «le funzioni giudiziarie sono distinte e devono rimanere sempre separate dalle funzioni amministrative. I giudici non potranno, a pena di prevaricazione, turbare, in qualunque modo, le attività degli organi amministrativi, né convenire in giudizio davanti a loro gli amministratori per motivi concernenti le loro funzioni»[1]. Del resto, l’istituzione del Conseil d’Etat e dei Conseils de préfecture (questi ultimi organi statali periferici) erano la manifestazione di un momento giudiziale insito nell’attività amministrativa, con la conseguente necessità di istituire organi specifici ad esso deputati[2]. Nel 1806 Napoleone provvide a rafforzare il potere giurisdizionale del Conseil d’Etat, inserendo un’altra sezione alle cinque già esistenti, la Commission du contentieux, competente per tutte le decisioni contenziose. Si evidenziava quindi una netta distinzione tra il giudice ordinario e quello amministrativo. In Francia il giudice ordinario sembra operare nello spazio lasciatogli dall’amministrazione, in Inghilterra è l’amministrazione che si ritaglia un ruolo giustiziale nello spazio concessole dalla potente giurisdizione[3].

In Italia, invece, inizialmente si adottò uno schema trilaterale, con la presenza di un tribunale del contenzioso, l’amministrazione agente e il cittadino leso. Successivamente si preferì un modello bilaterale in cui c’erano solo l’amministrazione agente (posta in una posizione gerarchica superiore) e il cittadino. Invero, la riforma che portò al sistema bilaterale nel 1865 non eliminò tutti i tribunali contenziosi ma solo quelli ordinari, lasciando quindi illesi i tribunali speciali come il Consiglio di Stato. Addirittura era quest’ultimo a dover risolvere i conflitti di attribuzione tra amministrazione e magistratura[4]. I ricorsi amministrativi gerarchici così sviluppati apparivano carenti una serie di garanzie procedurali che evidenziavano un forte squilibrio a favore dell’amministrazione, lasciando al cittadino ben pochi strumenti per sostenere le proprie argomentazioni.
Quello che mancava in Italia era un vero e proprio comparto di risoluzione delle controversie amministrative, essendo stato preferito il sistema di un unico giudice ordinario (come nell’esperienza belga). Seppur in presenza del Consiglio di Stato, ad esso non veniva riconosciuto un ruolo giurisdizionale, a differenza dell’esperienza francese. Infatti, è solo con la legge n. 62/1907 che si riconosce esplicitamente la qualità di giudice al Consiglio di Stato, rompendo definitivamente un sistema giurisdizionale unico che non aveva prodotto risultati positivi. Ma nonostante la rinnovata veste del Consiglio di Stato, l’ordinamento non cancellò i ricorsi amministrativi che rappresentano ancora oggi un possibile rimedio nei confronti della pubblica amministrazione.

Mentre in Italia, dunque, rimanevano e rimangono i ricorsi amministrativi come retaggio di una infruttuosa sperimentazione di poteri, già a fine ottocento in Francia si evidenziava l’incompatibilità del ruolo combinato di amministratore-giudice, anche a seguito delle opinioni della giurisprudenza francese. I ricorsi amministrativi vengono quindi ripudiati dall’ordinamento francese.

Con la definizione ‘ricorsi amministrativi’ generalmente si parla a tutte quelle forme di tutela extra-giurisdizionali a disposizione del cittadino, ma è bene sottolineare che in senso tecnico i ricorsi indicando il risultato di una esperienza continentale che per il suo scarso successo non è stato preferito dall’Unione come esperienza da ripetere.

[1] Legge 16-24 agosto 1790, titolo 2, articolo 13.

[2] L. Mannori, B. Sordi – Storia del diritto amministrativo, Bari, Laterza Editore, 2004, pag. 259.

[3] Cit. G. Ligugnana – L’altra giustizia amministrativa. Modelli ed esperienze d’oltremanica, pag. 205.

[4] Tale competenza è dal 1877 della Corte d Cassazione.

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