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“Una questione di diritto interno”. I rapporti tra Corte di Cassazione e Consiglio di Stato nelle conclusioni dell’Avvocato Generale Hogan a seguito dell’ordinanza 19598/2020 delle Sezioni Unite

08/11/2021

A cura di di Francesca Saveria Pellegrino.

La Corte di Cassazione nel settembre 2020, in dichiarato contrasto con la pronuncia n.6 del 2018 della Corte Costituzionale, mediante rinvio pregiudiziale alla CGUE, ha riportato al centro dell’attenzione la questione dei limiti e dell’ampiezza del sindacato delle Sezioni Unite su sentenze del Consiglio di Stato. Nello specifico, la Cassazione nei quesiti formulati al giudice europeo, chiede se non sia in contrasto con il diritto unionale in tema di effettività della tutela l’interpretazione restrittiva fornita dalla Consulta dell’ultimo comma dell’art.111 Costituzione italiana, con riferimento ai “motivi inerenti la giurisdizione” che non ammetterebbe il ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato quando queste violino il diritto europeo, in particolare quello derivante da pronunce della corte di giustizia e nemmeno quando il giudice amministrativo di appello abbia omesso un doveroso rinvio pregiudiziale al giudice europeo. L’eco suscitata, non solo per il contenuto ma anche per i termini utilizzati dall’ordinanza (n. 19598 del 2020) ha riaperto un noto dibattitto e creato terreno fertile per riproporre negli innumerevoli commenti all’ordinanza, la vecchia questione mai del tutto risolta del nostro ordinamento che oggi potrebbe così riproporsi come quella che nel suo commento R. Bin ha definito la possibile “terza guerra tra le Corti”.

Ed invero, se da un lato il dettato costituzionale appare chiaro quando afferma che il ricorso per cassazione avverso le sentenze del giudice amministrativo è possibile solo per i motivi inerenti la giurisdizione, dall’altro orientamenti precedenti avevano teso ad adottare un’interpretazione amplia di tali limiti, a ciò aggiungendosi le questioni poste dalle numerose materie di giurisdizione esclusiva e l’esigenza di nomofilachia in materia di diritti soggettivi.

Con l’ordinanza in esame la Suprema Corte ha richiesto l’intervento della CGUE  elevando così la questione su un piano internazionale e non limitandola più al tradizionale conflitto con il Consiglio di Stato, ma coinvolgendo anche il ruolo della Corte Costituzionale (da qui la definizione di Bin); e però a sedare le ambizioni di quanti, critici con l’arresto della Corte Costituzionale, auspicano una pronuncia della Corte di Giustizia che per tutelare il diritto comunitario si potrebbe allineare a quanto richiesto ora dall’ordinanza della Cassazione, sono intervenute il 9 settembre le conclusioni dell’Avvocato Generale Hogan.

Prima di tutto, muovendo dalla questione su cui si è innescata la vicenda, l’avvocato generale non ha mancato di sottolineare come il Consiglio di Stato stia facendo molta resistenza nel recepire i principi enunciati da una giurisprudenza ormai consolidata (sentenze Fastweb, Puligenica e Lombardi) della Corte di Giustizia in merito al rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale e come nel procedimento principale ne abbia sicuramente fatto un’applicazione sbagliata. Tuttavia, anticipando l’esito finale del ragionamento dell’avvocato generale, avrebbe dovuto essere lo stesso Consiglio di Stato e non la Cassazione pronunciandosi su ricorso per questione di giurisdizione, a dover eventualmente con rinvio pregiudiziale sollevare ove motivatamente prospettabile dubbio sulla applicabilità al caso di specie dei principi indicati dalla Corte europea in tema di necessaria pronuncia sia sul ricorso principale che su quello incidentale senza che la questione possa ricondursi tra quelle di giurisdizione come sembrerebbe invece ritenere la Cassazione nella sua ordinanza.

Peraltro l’assunto principale, da cui discende l’intero ragionamento dell’Avvocato Generale, è che, in virtù del principio di autonomia procedurale enunciato dall’art. 47 della Carta, l’organizzazione degli organi giurisdizionali dei singoli stati membri non è rilevante per il diritto europeo. 

In ogni caso, l’art.111 co. 8 Cost. non risulta contrario al diritto europeo in quanto la possibilità di ricorso in Cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato per i soli motivi di giurisdizione appare, anche all’avvocato generale, proporzionata e giustificata, anche al fine di evitare ricorsi pretestuosi.

La critica che l’Avvocato Generale muove alla ordinanza e che, ad avviso di chi scrive, sembra essere la più convincente è quella per cui la Cassazione in realtà nel suo ragionamento attraverso una forzatura del diritto europeo tenta di creare un terzo grado di giudizio. Come puntualmente fa notare l’Avvocato Generale, la violazione del diritto europeo non giustifica la creazione di un nuovo grado di giudizio, infatti, ed è qui il vizio logico, anche la Cassazione potrebbe errare nell’applicare il diritto comunitario senza che per questo sussista un ulteriore grado di giudizio, che altrimenti dovrebbero essere infiniti.

Nel concludere il suo ragionamento sulla prima questione sollevata, l’avvocato generale, anche se respinge l’interpretazione della Cassazione per cui nei motivi di giurisdizione dovrebbero rientrare anche le violazioni del diritto europeo ed esplicitamente afferma che l’interpretazione fornita dalla sentenza 6 del 2018 della Corte Costituzionale “secondo la quale un ricorso in cassazione per motivi di «difetto di potere giurisdizionale» non può essere utilizzato per impugnare sentenze di secondo grado che facciano applicazione di prassi interpretative elaborate in sede nazionale confliggenti con sentenze della Corte, in settori disciplinati dal diritto dell’Unione europea”, non è in contrasto con il diritto europeo, non manca però di indicare quali sono gli strumenti per rimediare a queste eventuali violazioni quali ad esempio il ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 258 TFUE o un’azione del tipo Francovich; anche se lo stesso avvocato facendo un’analogia con la celebre storia del detective Sherlock Holmes “Il mastino di Baskerville” fa notare come la scarsa giurisprudenza in materia sia indice di una difficoltà ad azionare nella pratica questi strumenti. 

L’avvocato generale poi nell’analizzare il secondo quesito si sofferma sulla interpretazione del diritto europeo tanto da parte dei giudici nazionali quanto della CGUE. Ed infatti, con la seconda questione la Corte di Cassazione chiede se non sia contraria al diritto europeo l’interpretazione che non permette di esperire il ricorso per cassazione, facendolo rientrare nei motivi inerenti alla giurisdizione, quando il Consiglio di Stato abbia omesso immotivatamente, di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte, in assenza delle condizioni che esonerano il giudice nazionale dal suddetto obbligo. L’Avvocato Generale in merito rileva che la corretta applicazione del diritto europeo non può essere, neanche interpretativamente, fatta rientrare nelle questioni di giurisdizione poiché l’effettività della giurisdizione non è una questione di giurisdizione e men che meno il mancato rinvio pregiudiziale, anche quando sarebbe obbligatorio, può essere considerato motivo di giurisdizione legittimante ricorso in Cassazione poiché spetta al giudice competente per quella controversia applicare il diritto europeo e solo a lui spetta rimettere la questione qualora si trovi in dubbio, con onere in tal senso rafforzato quando è giudice di ultimo grado.

Sicuramente, aggiunge l’Avvocato Generale, la CGUE è titolare dell’ultima parola per l’interpretazione definitiva del diritto europeo, ma non è titolare esclusiva dell’interpretazione che è una prerogativa di tutti i giudici nazionali. Dalle conclusioni dell’avvocato generale viene quindi in rilievo una concezione pluralista dell’interpretazione del diritto comunitario dove la Corte detiene la competenza esclusiva solo per l’interpretazione definitiva operando come organo di chiusura di un sistema caratterizzato dalla collaborazione con i giudici nazionali per la corretta interpretazione e applicazione del diritto dell’Unione.

In conclusione, dalle parole dell’avvocato generale si evince quasi un fastidio per la remissione della vicenda in sede internazionale e il tentativo di europeizzazione di una questione che attenendo al processo e riguardando l’interpretazione di un articolo della Costituzione, vigendo il principio di autonomia procedurale, è una questione esclusivamente interna di cui la Corte e il diritto europeo non devono occuparsi.

Sul punto non può non notarsi come la questione appaia denunciare una quale ritrosia di parte del nostro sistema ad accettare gerarchie e competenze giurisdizionali definite e assegnate dalla Costituzione anche per garantire insieme pienezza di tutela, ma anche stabilità delle decisioni giurisdizionali.

Non resta che attendere la decisione della Corte di giustizia anche se le conclusioni dell’Avvocato Generale sembrano indicare in modo per la gran parte convincente la ben probabile risposta.

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