Lab-IP

COVID-19 E SHOCK ECONOMICO: LE PRIME RISPOSTE DELL’UNIONE EUROPEA

26 aprile 2020

LUCREZIA SINIBALDI

La pandemia Covid-19, date le gravissime conseguenze sul piano economico, finanziario e sociale, rappresenta indubbiamente una sfida senza precedenti per l’Unione Europea. L’emergenza pandemica determinerà, con ogni evidenza, una nuova grande recessione a causa del blocco della maggior parte delle attività economiche e produttive, imposto prima in Italia e poi, a seguire, nel resto d’Europa. Si tratta di una crisi destinata ad avere delle conseguenze ben più gravi rispetto alla crisi finanziaria del 2007-2008, avendo comportato un doppio shock, sia sul lato della domanda, sia sul lato dell’offerta. Proprio per questo, come già ribadito dall’Eurogruppo nelle riunioni del 16 marzo e, segnatamente, del 7-9 aprile, si rende necessaria una strategia immediata, ambiziosa e coordinata per sostenere il sistema economico, preservare la fiducia e la stabilità finanziaria e preparare il terreno per la ripresa economica. Pertanto, senza scendere nel dettaglio, è utile ricostruire quali sono state finora le azioni intraprese dall’Ue a sostegno dell’economia. 

Sul versante delle politiche di bilancio, si è concordata la massima flessibilità nelle regole europee: il 23 marzo i Ministri delle finanze hanno accolto con favore la proposta della Commissione europea di attivare la clausola di salvaguardia del Patto di stabilità, la c.d. «escape clause» per i casi di grave recessione economica della zona euro o dell’intera Unione, la quale consente ai governi nazionali di allontanarsi temporaneamente dall’obiettivo di bilancio di medio termine. 

Prima ancora, è stato adottato un quadro di riferimento temporaneo per le misure di aiuti di Stato (comunicazione della Commissione 2020/C 91 I/01), al fine di rafforzare e accelerare il sostegno pubblico alle imprese, in particolare alle Pmi, garantendo, così, a queste ultime la continuità nell’accesso al finanziamento in un periodo in cui si trovano a far fronte a un’improvvisa carenza di credito e garantendo, al tempo stesso, il level playing field del mercato unico. 

Si è convenuto di sbloccare e mobilitare rapidamente i fondi strutturali dell’Ue, così da utilizzare quelle risorse di bilancio per affrontare al meglio gli effetti della pandemia. Il 30 marzo il Consiglio ha adottato due atti legislativi volti, rispettivamente, a modificare le norme applicabili ai fondi strutturali d’investimento e a estendere l’ambito di operatività del Fondo di solidarietà dell’Ue, per includervi le emergenze di sanità pubblica oltre alle catastrofi naturali. Grazie all’approvazione dell’Iniziativa di Investimento in risposta al coronavirus (Coronavirus Response Investment Initiative), in vigore dal 1° aprile, gli Stati membri potranno utilizzare 37 miliardi di euro nell’ambito della politica di coesione per affrontare le conseguenze della crisi. 

Per quanto riguarda la politica monetaria, decisiva è stata l’azione intrapresa dalla Banca centrale europea, la quale, il 18 marzo, ha deciso di lanciare un nuovo programma di acquisto titoli per far fronte all’emergenza economica (Pandemic Emergency Purchase Programme – Pepp) per complessivi 750 miliardi di euro e di ampliare la gamma di attività ammissibili nell’ambito del programma di acquisto del settore aziendale (Corporate Sector Purchase Programme– Cspp). Come sottolineato dal Presidente della Bce, Christine Lagarde, «tempi straordinari richiedono un’azione straordinaria» e queste misure sono, senza dubbio, indispensabili per sostenere le condizioni di liquidità e di finanziamento alle imprese, alle famiglie e alle banche, assicurando la regolare erogazione del credito all’economia. 

Durante la riunione dell’Eurogruppo del 7-9 aprile sono stati definiti ulteriori strumenti di risposta alla crisi, che verranno adottati tenendo conto delle conseguenze economiche della pandemia sui singoli Stati membri, ed è stata messa a punto una strategia per la ripresa economica e per tornare al normale funzionamento della società e dell’economia. 

In particolare, si è concordato un utilizzo ancora più flessibile dei fondi Ue per liberare ulteriori risorse economiche e destinarle alle operazioni connesse alla crisi: con l’Iniziativa di Investimento in risposta al coronavirus Plus (Coronavirus Response Investment Initiative Plus) gli Stati potranno trasferire denaro tra i vari fondi e si abbandoneranno temporaneamente i requisiti di cofinanziamento nazionale, così da poter orientare le risorse verso le regioni più colpite dalla crisi. 

È stata accolta l’iniziativa della Banca europea per gli investimenti di creare un Fondo di garanzia pan-europeo da 25 miliardi di euro, il quale potrebbe sostenere fino a 200 miliardi le imprese europee, anche attraverso banche promozionali nazionali. Si tratta di un contributo decisivo per salvaguardare la parità di condizioni nel mercato interno alla luce degli aiuti pubblici nazionali. 

Si è proposto di istituire, per tutta la durata dell’emergenza, un meccanismo contro la disoccupazione e basato sull’assistenza finanziaria agli Stati membri ai sensi dell’art. 122 Tfue, volto a proteggere i lavoratori e i posti di lavoro: si tratta in buona sostanza di una sorta di cassa integrazione europea. («Sure»). 

In merito alle reti di sicurezza presenti nell’Ue, com’è noto, è in corso un aspro dibattito tra i governi dell’Eurozona che si confrontano su due diverse idee: da un lato, la possibile condivisione dei debiti pubblici nazionali, tramite l’emissione di Euro-bond e, dall’altro lato, l’utilizzo del Meccanismo europeo di stabilità con condizionalità attenuate per accedere ai suoi prestiti. All’Eurogruppo sembra essersi raggiunto un accordo su un Mes «light» alla sola condizione che gli aiuti siano diretti a coprire esclusivamente i danni economici legati all’epidemia. La linea di credito su cui dovrebbe basarsi il Mes sarebbe di un massimo di 240 miliardi di euro e ogni Stato membro vi potrà accedere nella misura pari al 2 per cento del proprio Pil. 

Il via libera su questi ultimi strumenti appena menzionati, Mes, Bei e Sure, su cui il 9 aprile era stato raggiunto soltanto un accordo, è stato dato dall’Eurogruppo del 23 aprile, durante il quale si è chiesto che il pacchetto (del valore di 540 miliardi di euro) sia reso operativo a partire dal 1° giugno 2020 e si è discusso ampiamente circa le misure da adottare per preparare e sostenere la ripresa economica. In particolare, si è concordato di lavorare su un «European Recovery Fund», un fondo temporaneo volto a fornire finanziamenti, attraverso il bilancio dell’Ue, a programmi tesi a rilanciare l’economia e in linea con gli obiettivi e le priorità concordate in sede europea. Si è specificato che questo fondo, necessario e urgente, dovrà essere di entità adeguata per far fronte a questa crisi senza precedenti. Tuttavia stante le discussioni circa gli aspetti giuridici e pratici di questo «quarto pilastro» (accanto a Mes, Bei e fondo Sure) e le problematicità relative al suo rapporto con il bilancio dell’Ue e alle sue possibili fonti di finanziamento, il vertice di giovedì 23 aprile non è stato risolutivo in tal senso. In particolare, l’Italia insieme a Francia, Spagna, Portogallo e Grecia, ha chiesto che questo fondo per la ripresa possa valere fino a 1500 miliardi di euro e che venga utilizzato non per erogare finanziamenti, i quali graverebbero sul debito pubblico dei Paesi coinvolti, ma sussidi, ossia trasferimenti a fondo perduto. Pertanto, proprio su questa questione, prestiti ovvero sussidi, molto probabilmente nascerà un nuovo scontro negoziale in Europa, che vedrà gli stessi schieramenti che vi sono stati per i c.d. «Corona-bond».

 In ogni caso la Commissione europea di presentare con urgenza una proposta che sia all’altezza di questa sfida e che chiarisca il nesso di questo nuovo strumento con il Quadro finanziario pluriennale (QFP), ma decisioni definitive, con tutta probabilità, non si avranno prima di giugno. 

FacebooktwitterredditpinterestlinkedintumblrmailFacebooktwitterredditpinterestlinkedintumblrmail