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LA PROTEZIONE DELLE IMPRESE STRATEGICHE NEL CORSO DELL’EMERGENZA SANITARIA ITALIANA

26 aprile 2020

FRANCESCA SACCAVINO

Nel corso dell’emergenza sanitaria dovuta all’epidemia da coronavirus, e al fine di proteggere le imprese nazionali strategiche da possibili scalate ostili, il Consiglio dei Ministri è intervenuto con il Decreto-Legge 8 aprile 2020, n. 23, il quale agli articoli 15, 16 e 17 ha apportato delle modifiche alla disciplina dei poteri speciali italiani. Infatti, a causa dell’epidemia da Covid-19, si è diffusa la preoccupazione che i bassi valori di mercato possano favorire delle acquisizioni predatorie delle imprese strategiche da parte di investitori esteri.

L’articolo 15 del summenzionato decreto è andato a modificare l’articolo 4-bis, comma 3 del decreto-legge 21 settembre 2019, n. 105, prevedendo che, fino all’entrata in vigore del primo Decreto del Presidente del Consiglio di cui all’articolo 2, comma 1-ter del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, e dunque di quei decreti che dovrebbero individuare i beni e i rapporti di rilevanza strategica per l’interesse nazionale, ulteriori rispetto a quelli già individuati nei decreti di cui all’articolo 1 e 1-bis del D.l. 21/2012, saranno soggetti alla notifica di cui all’articolo 2, comma 5 dello stesso decreto, l’acquisto a qualsiasi titolo di partecipazioni in società che detengano beni e rapporti nei settori (i) delle infrastrutture critiche, tra cui l’energia, i trasporti, l’acqua, la salute, le comunicazioni, i media, il trattamento o l’archiviazione di dati, le infrastrutture aerospaziali, di difesa, elettorali o finanziarie, e le strutture sensibili; con la chiarificazione che il settore finanziario comprende anche quello creditizio ed assicurativo (ii) tecnologie critiche e prodotti a duplice uso, tra cui l’intelligenza artificiale, la robotica, i semiconduttori, la cibersicurezza, le tecnologie aerospaziali, di difesa, di stoccaggio dell’energia, quantistica e nucleare, nonché le nanotecnologie e le biotecnologie; (iii) sicurezza dell’approvvigionamento di fattori produttivi critici, tra cui l’energia e le materie prime, nonché la sicurezza alimentare; (iv) accesso a informazioni sensibili, compresi i dati personali, o la capacità di controllare tali informazioni ed infine (v) libertà e pluralismo dei media: si tratta dei settori indicati dalle lettere a), b), c), d) ed e) di cui all’articolo 4, paragrafo 1 del Regolamento europeo 452/2019. Sebbene si tratti un ampliamento significativo dell’ambito di applicazione della normativa italiana, tale previsione è coerente con quanto specificato dalla Commissione Europea nelle linee guida rilasciate dalla stessa il 25 marzo. In queste si invitano gli Stati, alla luce della situazione emergenziale, ad “avvalersi a pieno” delle proprie misure di controllo degli investimenti, specialmente a tutela delle infrastrutture sanitarie critiche o delle industrie ad esse collegate, che secondo quanto precisato dalla Commissione, sono protette rientrando non solo nel settore delle infrastrutture critiche, ma anche in quello dell’approvvigionamento di fattori produttivi critici. 

Tuttavia le modifiche apportate alla normativa golden power sembrano tradire la fretta del legislatore di sottoporre a protezione quanti più settori possibili in un tempo ristretto. Infatti i richiami ai settori individuati dal Regolamento europeo sono molto generici e potrebbero risultare imprecisi senza l’individuazione degli asset specifici a cui la normativa fa riferimento. Individuazione che era stata già demandata a dei Decreti del Presidente del Consiglio dal summenzionato comma 1-ter dell’articolo 2 del D.l. 21/2012, in base al quale, questi avrebbero dovuto essere adottati entro 120 giorni dall’entrata in vigore del D.l. 105/2019, e dunque entro gennaio. È chiaro che il sistema necessita di una ordinata riorganizzazione. Ad esempio sarebbe più coerente che gli acquisti di partecipazioni in società che detengano beni e rapporti nei settori delle infrastrutture critiche collegate alla difesa e alle attività aerospaziali siano sottoposte alla notifica di cui all’articolo 1 del D.l: 21/2012. 

Lo stesso articolo 15, prevede l’inserimento di un comma 3-bis all’articolo 4 del D.l. 105/2019, il quale, al fine di contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e per contenerne gli effetti negativi, stabilisce un ulteriore ampliamento delle operazioni sottoposte a notifica obbligatoria per l’esercizio dei poteri speciali. Si tratta di un ampliamento che è però solo temporaneo. Infatti, fino alla data del 31 dicembre 2020, saranno soggetti all’obbligo di notifica di cui al comma 2 dell’articolo 2 del D.l. 21/2012, anche le delibere, gli atti o le operazioni, adottati da un’impresa che detenga beni e rapporti nei summenzionati settori che abbiano per effetto modifiche della titolarità, del controllo o della disponibilità degli attivi o il cambiamento della loro destinazione. Sono ugualmente sottoposti all’obbligo di notifica di cui al comma 5 dell’articolo 2, in relazione ai beni ed ai rapporti di cui al comma 1, dell’articolo 2, e ai beni ed i rapporti summenzionati, gli acquisti a qualsiasi titolo di partecipazioni, da parte sia di soggetti esteri appartenenti all’Unione Europea, che extra-europei. Per i primi, l’obbligo sorge qualora le partecipazioni acquisite siano di rilevanza tale da determinare l’insediamento stabile dell’acquirente in ragione dell’assunzione del controllo della società, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile. Per i secondi l’obbligo sorge in due ipotesi: quando le partecipazioni attribuiscano una quota dei diritti di voto o del capitale almeno pari al 10 per cento e il valore complessivo dell’investimento sia pari o superiore a un milione di euro, oppure qualora si acquisisca una quota superiore al 15, 20, 25, o 50 per cento. Il riferimento alla soglia del 10% rende esplicita l’intenzione del legislatore di sottoporre a controllo anche i c.d. non controlling investments, ovvero gli investimenti di minoranza, che in alcune circostanze possono comunque permettere di avere una influenza decisiva sulla gestione della società.

La particolarità della modifica è quella di prevedere una discriminazione rispetto ai soggetti appartenenti all’Unione Europea. Si tratta di una restrizione importante, sebbene temporanea, delle libertà garantite dai trattati europei, nello specifico la libertà di circolazione dei capitali. La discriminazione per le operazioni intra-europee è accentuata dalla previsione per cui, al fine di determinare se un investimento estero possa incidere sulla sicurezza nazionale o sull’ordine pubblico, si possa prendere in considerazione il fatto che l’acquirente sia direttamente o indirettamente controllato dall’amministrazione pubblica di un paese che sia membro dell’Unione Europea. Rispetto alle restrizioni discriminatorie verso gli Stati membri, in varie occasioni la Corte di Giustizia ha stabilito che queste sono tollerate solamente nelle ipotesi specifiche previste dai trattati e quindi, quelle previste ad esempio dagli articoli 346 TFUE, che però fa riferimento solo al settore militare e della difesa, o dell’articolo 65 TFUE che si riferisce a motivazioni di ordine e sicurezza pubblica. Inoltre, la stessa Corte ha ammesso che rappresentano valide giustificazioni quelle legate a motivi imperativi di interesse generale, tra cui rientra la tutela della salute pubblica, che in concreto viene perseguita attraverso una tutela delle imprese strategiche nel settore sanitario e dell’approvvigionamento di fattori produttivi critici. Infine, sono considerate valide basi giuridiche per le restrizioni alle libertà dei trattati anche quelle motivazioni che sebbene di ordine economico, perseguano effettivamente un interesse nazionale generale, come può esserlo una maggiore tutela delle imprese strategiche in un momento di profonda crisi dei mercati, che comporta un ribasso eccessivo del valore delle stesse, il quale potrebbe favorire scalate ostili. Alla luce di queste considerazioni quindi, le misure italiane sembrano essere pienamente conformi alle previsioni del diritto europeo. 

Interessantissima è anche la modifica che prevede, nei casi di violazione degli obblighi di notifica previsti dall’articolo 1, comma 4 e 5; articolo 1-bis e articolo 2 comma 2, 2-bis e 5, nonché in caso di assenza totale di notifica, che la Presidenza del Consiglio possa avviare “d’ufficio” il procedimento per l’eventuale esercizio dei poteri speciali, sempre nel rispetto dei termini procedurali previsti, sebbene il termine per l’esercizio dei poteri speciali decorra dalla conclusione del procedimento di accertamento della violazione dell’obbligo di notifica. Questa previsione ricorda quella già da tempo presente nella disciplina statunitense, che permette al CFIUS di avviare delle National Security Reviews di sua iniziativa, sulla base delle informazioni di cui questo disponga. Tale riforma potrebbe essere letta alla luce della necessità di prevedere delle regole per evitare l’elusione della disciplina italiana da parte dei soggetti ad essa sottoposti, tuttavia questo assetto esprime chiaramente un atteggiamento maggiormente restrittivo da parte del Governo, che però si pone come deterrente ad una violazione degli obblighi di notifica.

Infine, sulla base dei suggerimenti individuati dal Regolamento europeo, al fine di arricchire il bagaglio informativo a disposizione dell’amministrazione e quindi per raccogliere elementi utili all’applicazione degli articoli 1, 1-bis e 2 del D.l. 21/2012, si prevede che il gruppo di coordinamento possa richiedere alle pubbliche amministrazioni, nonché ad enti pubblici o privati, imprese ed altri soggetti terzi, di fornire informazioni o esibire documenti di cui siano in possesso. Dal testo della norma sembra che i documenti richiesti possano essere forniti su base volontaria, senza che il gruppo di coordinamento possa ottenerli in maniera forzata. Chiaramente sarà necessaria la stipulazione di convenzioni o protocolli di intesa con tali soggetti, nonché con istituti o enti di ricerca. L’efficacia di tale previsione potrà dunque essere valutata solamente in concreto, dovendo il gruppo di controllo anche provvedere a garantire la confidenzialità delle informazioni ad esso fornite. La necessità di gestire questo apporto informativo, nonché quella di far fronte all’inevitabile aumento del numero delle notifiche, metterà a dura prova l’apparato amministrativo predisposto all’analisi delle stesse. 

L’Italia decide quindi di utilizzare pienamente lo scudo offerto dai golden power in un momento di estrema vulnerabilità, in linea con le azioni di altri paesi europei, come la Spagna e la Francia, sebbene attualmente il nostro paese sia l’unico ad aver adottato misure restrittive anche per gli Stati membri. Tuttavia, l’espansione delle restrizioni anche alle operazioni intra-europee potrebbe ritenersi necessaria al fine di evitare manovre elusive della disciplina stessa. A queste misure si sono accompagnate quelle che coinvolgono il divieto delle vendite allo scoperto; maggiori interventi della Consob per garantire la trasparenza nei mercati mobiliari e tutelare le società quotate, ma anche per avere maggiore vigilanza sulle PMI. 

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