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DICHIARAZIONI NON VERITIERE: PRIME APPLICAZIONI DEI PRINCIPI DEL RISULTATO E DELLA FIDUCIA NEL RINNOVATO CODICE DEGLI APPALTI

30/10/2023

A cura di Cristiana Traetta

Con sentenza depositata lo scorso 28 settembre n.2171 il TAR Lombardia ha rigettato un ricorso avverso un provvedimento di aggiudicazione di un appalto di forniture risalente al gennaio 2022. L’appalto aveva ad oggetto l’approvvigionamento di computers per il quale era stata indetta una procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando.

La società classificata al secondo posto sosteneva che la scelta per l’aggiudicazione in favore della società vincitrice fosse dipesa da una falsa dichiarazione presentata dalla stessa tra le c.d. documentazioni giustificative, ossia quelle utilizzate dalle s.a. in sede di verifica di congruità delle offerte.           

In particolare la ricorrente chiede l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione perché secondo questa adottato in violazione dell’art. 80 lett. f-bis) del d. lgs. 50/2016, il quale impone l’esclusione dell’operatore economico che presenti dichiarazioni o documentazioni non veritiere; in secondo luogo, lamenta l’asserita violazione dell’art. 97 del codice, per non avere la s.a. effettuato alcuna verifica di congruità o calcolo di soglia di anomalia dell’offerta dell’aggiudicataria. Entrambi i motivi di gravame sono rigettati dal Tribunale.

Partendo dalla doglianza circa la mancata attività di verifica occorre fare delle premesse. L’art. 5 del Disciplinare di Gara redatto dalla s.a. classifica alcuni dei documenti che vanno presentati nell’offerta come necessari a pena di esclusione ed altri come opzionali in quanto, alla luce dell’art. 5 comma 8 dello stesso disciplinare, meramente eventuale è la fase che ne richiederebbe l’utilizzo. Ci si riferisce in particolare alla verifica della congruità delle offerte, subprocedimento volto a valutare l’anomalia delle stesse. È dato riscontrare che quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso (art. 95 comma 4 d. lgs. 50/2016) come nella vicenda in esame, si pone con maggiore evidenza la problematica circa l’attendibilità e la serietà dell’offerta.

Il giudice, tuttavia, rigetta tale obiezione in quanto non era configurabile in capo all’aggiudicatrice un obbligo di procedere alla verifica. Si rileva infatti che l’Amministrazione ha discrezionalmente fissato quale condizione affinché la stazione appaltante proceda all’attività di verifica di congruità, l’ammissione di offerte per un numero pari o superiori a 5. Posto che nel caso in esame le offerte ammesse erano 3, nessun obbligo è stato violato. Anche la rimostranza circa il mancato espletamento di una verifica facoltativa viene rigettata. Non è dato riscontrare secondo il giudice elementi specifici dai quali desumere l’erroneità della mancata verifica. Il TAR infatti ricorda che “secondo pacifico indirizzo giurisprudenziale condiviso dalla Sezione, la scelta di procedere ad una verifica anche facoltativa di anomalia costituisce manifestazione di discrezionalità dell’Amministrazione, censurabile davanti al giudice amministrativo soltanto in caso di evidenti errori o di palese illogicità” (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, Sezione VII, sentenza n. 9280/2022 e TAR Lombardia, Milano, Sezione IV, sentenza n. 650/2018). Sempre secondo il Tribunale neppure potrebbe sostenersi che a fronte della presentazione volontaria di documenti facoltativi sorga un obbligo della s.a. di procedere alla verifica in ogni caso; infatti tale adempimento obbedisce soltanto ad esigenze di speditezza dell’azione amministrativa nei casi di effettivo ricorso all’attività e la soluzione prospettata dalla ricorrente si porrebbe in contrasto con le esigenze di efficienza, efficacia e tempestività della condotta dell’Amministrazione in materia di contratti pubblici.

Per quanto attiene al motivo di gravame fondato sulla pretesa falsità del documento su cui si sarebbe basata la decisione di aggiudicazione, come riportato sopra, la documentazione in questione rientra fra quelle classificate dal Disciplinare quale meramente facoltativa, ma nonostante questo la società aveva deciso di presentarla. Essa consiste nella dichiarazione del rappresentante della società vincitrice con la quale giustificava lo sconto praticato. In particolare l’aggiudicataria avrebbe potuto praticare uno sconto del 26,60% alla s.a. sulla base di quello a lei applicato da altra società partner (28%). La ricorrente sostiene che le due società non siano partners e che quindi la società aggiudicataria non potrebbe nella realtà applicare il prezzo indicato. 

Il giudice ribadisce l’eventualità dello svolgimento della fase di verifica, la quale non essendosi esplicata ha comportato che il documento presunto falso non fosse proprio preso in considerazione dalla s.a. e non ha potuto in alcun modo influire sulla decisione, che è stata effettuata tenendo in considerazione soltanto il prezzo più basso proposto. Afferma dunque il TAR “Laddove un documento, peraltro meramente facoltativo, non ha inciso in nessun modo sulla determinazione finale di affidamento della stazione appaltante, l’ipotetica falsità del medesimo non può certo determinare l’illegittimità dell’aggiudicazione.” Viene così ritenuta legittima l’aggiudicazione dando prevalenza al risultato comunque raggiunto, che non risulta, agli occhi del giudicante, in alcun modo compromesso vista la regolare esecuzione della procedura. A sostegno della decisione poi aggiunge che essa pare pienamente rispettosa dei principi fondamentali della contrattualistica pubblica previsti dal vigente D.lgs. n. 36/2023, ancorché la gara di cui è causa sia regolata dal D.lgs. n. 50/2016; in particolare si tratta dei principi del risultato e della fiducia di cui agli articoli 1 e 2 del nuovo codice dei contratti pubblici.

I principi introdotti in apertura del nuovo codice impongono un nuovo modo di atteggiarsi tanto delle stazioni appaltanti nelle diverse fasi in cui sono scandite le procedure di evidenza pubblica, quanto del giudice amministrativo in sede di contenzioso. La loro codificazione, infatti, secondo quanto riportato nella Relazione del Consiglio di Stato al Codice, risponde alla volontà di favorire una più ampia autonomia e discrezionalità delle stazioni appaltanti in un settore in cui spesso la normativa dettagliata e rigida ha generato ritardi ed inefficienze, vincolando eccessivamente il loro modus operandi. Dal lato del giudice invece, questi si porrebbero quali canoni ai quali rivolgersi in tutte quelle ipotesi di incertezze interpretative ai fini della migliore decisione per il caso concreto. Egli viene dotato così di “attrezzi del mestiere” grazie ai quali adattarsi alle specificità della realtà contingente, di cui la legge per natura non può tener conto.  Concludendo il TAR adotta una soluzione sulla base di una ricostruzione logico-giuridica coerente con la nuova disciplina dei contratti pubblici, della quale emerge il rinnovato spirito. Su questa scia sembra pronunciarsi nel senso di una quasi irrilevanza della eventuale falsità della documentazione facoltativa a fronte di un risultato che sarebbe stato comunque quello conseguito. Non si sceglie più di sacrificare la migliore soluzione, i tempi, per l’irrinunciabile e assoluta salvaguardia della correttezza procedurale nei suoi minimi dettagli. Conformemente al dettato dell’art. 4 dello stesso codice che eleva i principi del risultato e della fiducia di cui agli artt. 1 e 2 quali criteri interpretativi ed applicativi di tutta la normativa, il giudice si lascia guidare dalle esigenze di efficacia, efficienza e tempestività dell’azione amministrativa. Valorizza quello spazio di libera valutazione che dovrebbe consentire ai funzionari di realizzare l’obiettivo nel miglior interesse per la collettività e senza dispendio di eccessivo tempo. Infatti, alla luce del secondo comma dell’art. 2, “il principio della fiducia favorisce e valorizza l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato”.

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