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I pacchetti europei sull’economia circolare e le più recenti proposte di modifica della direttiva 2008/98/ce

di NICCOLÒ ANTONGIULIO ROMANO

01/11/2017

La disciplina europea dei rifiuti attualmente in vigore, delineata dalla Direttiva 2008/98/CE, seppur coerente con il tempo in cui fu prodotta, comincia ormai a dieci anni dalla sua emanazione a mostrare i segni della stanchezza ed i propri limiti. A ciò si aggiunge il fatto che l’attuale modello di sviluppo economico lineare “prendi, produci, consuma e getta” non è più praticabile: si stima infatti che in mancanza di interventi strutturali il fabbisogno mondiale di materie prime potrebbe crescere di oltre il 50 per cento nei prossimi quindici anni1. Risulta quindi necessario migrare verso un modello di sviluppo circolare che faccia delle risorse un uso responsabile ed efficiente, a partire dall’ottimizzazione del ciclo integrato dei rifiuti.

Ma cosa si intende per «sviluppo circolare»? Nel 1966 l’economista Kenneth Boulding fornisce in «The Economics of the Coming Spaceship Earth» un’immagine che rappresenta il nostro pianeta come una navicella spaziale che ha a disposizione una limitata quantità di risorse e, una altresì limitata possibilità di smaltire i rifiuti prodotti: la sopravvivenza dell’uomo appare quindi strettamente connessa alla sua capacità di utilizzare in maniera responsabile i beni di cui dispone, rigenerando i materiali che utilizza. Si passa dal concetto di “economia del cowboy”, scrive l’autore, il quale possiede spazi illimitati di azione, a quello di “economia dell’astronauta”, contrassegnato da limiti nelle disponibilità.

Il concetto di sviluppo circolare comincia ad assumere dei risvolti economici con il rapporto «Potential for Substitution Manpower for Energy», realizzato per la Commissione europea del 1976 dall’economista Walter R. Stahel. Egli delinea il profilo moderno del concetto di economia circolare, sottolineandone le potenzialità occupazionali nonché le implicazioni per ciò che concerne la riduzione dell’impatto ambientale e dei rifiuti. Nel corso dei decenni successivi tale concetto acquista una popolarità crescente. Il libro «Dalla culla alla culla» («Cradle to Cradle») del 2002, opera di William McDonough e Michael Braungart, due autori che disegnano un panorama antitetico a quello del vecchio e desueto concetto di economia lineare, diventa da lì a breve un testo sacro del settore. Si diffonde l’idea che “limitare i danni” in campo ambientale al grido delle tre “r” (reuse, reduce, recycle) non sia sufficiente. Bisogna arrivare ad eliminare il concetto stesso di rifiuto, progettando i beni sin dall’inizio sulla base del principio che il rifiuto non esiste.

La definizione più efficace di «economia circolare» è resa dalla Ellen MacArthur Foundation, fondata nel 2009 ed uno dei punti di riferimento più autorevoli in materia. Essa definisce l’«economia circolare» “un’economia industriale che è concettualmente rigenerativa e riproduce la natura nel migliorare e ottimizzare in modo attivo i sistemi mediante i quali opera”. Più semplicemente, è un terminologia generica per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola2.

Nel 2014 c’è il grande balzo del tema all’interno del dibattito politico comunitario. Il 2 luglio, l’allora Commissione Barroso presentò un primo pacchetto di misure dedicate alla cosiddetta «green economy», contenente una proposta di modifica di alcune direttive in materia di rifiuti3, in particolare della Direttiva 2008/98/CE4, e una comunicazione sull’economia circolare dal titolo «Verso un’economia circolare: programma per un’Europa a zero rifiuti»5. Nello stesso anno in Italia un primo esplicito riferimento al concetto di economia circolare viene fatto con il decreto legge 24 giugno 2014, n. 91 (c.d. «Decreto competitività»), convertito con modificazioni dalla legge n. 116/2014, il quale sottolinea l’obiettivo strategico “di un uso più efficiente delle risorse e di un’economia che promuova ambiente e occupazione”. La proposta della Commissione Barroso, seppur in linea con gli obiettivi del «VII Programma d’azione in materia ambientale»6, suscitò la perplessità di alcune parti politiche e di diversi Stati membri, tanto che di li a poco la neo-insediata Commissione Juncker decise di ritirarla, annunciando contestualmente la propria volontà di sostituirla in tempi brevi con un’altra che vertesse sulla stessa materia.

Il 2 dicembre del 2015 la Commissione presentò un secondo pacchetto sull’economia circolare, contenente una nuova proposta di modifica delle direttive sui rifiuti e una comunicazione intitolata «L’anello mancante: un piano d’azione europeo per l’economia»7. Si tratta di un insieme di misure che incoraggiano un cambio di rotta per il sistema produttivo, ma che per molti versi peccano di scarsa ambizione. Viene innanzitutto ridimensionato rispetto alla precedente proposta l’obiettivo per il 2030 del riciclo di rifiuti urbani8, che scende dal 70 per cento al 65 per cento, e del riciclo degli imballaggi, che passa dall’80 per cento al 75 per cento. Il limite massimo a partire dal 2025 per inviare in discarica i rifiuti domestici cresce sino al 10 per cento del totale dei rifiuti prodotti, comprendendo i rifiuti riciclabili, mentre in precedenza era del 5 per cento e riguardava i soli rifiuti di origine domestica (escludendo quindi quelli riciclabili). Inoltre, la tanto auspicata raccolta della frazione organica prima prevista come obbligatoria entro il 2025, verrà predisposta solo laddove sia “tecnicamente, economicamente e ambientalmente possibile”.

Tra le note positive vi è la proposta di revisione della Direttiva ErP Ecodesign9 sulla progettazione eco-compatibile, che inverte la tendenza verso l’obsolescenza programmata dei beni introducendo criteri di durevolezza, riciclabilità e riparabilità negli elettrodomestici prodotti e venduti in Europa. Gli enti pubblici, in particolare, dovrebbero dotarsi di un sistema di «green public procurement» (acquisti verdi) al fine di favorire la diffusione di queste politiche. Non va peraltro sottaciuta la predisposizione di alcune interessanti misure tecnico-finanziarie. Il riferimento è ai finanziamenti provenienti dal fondo Horizon 2020, che assegnerà 650 milioni di euro a progetti innovavi che sosterranno gli obiettivi di economia circolare in attività industriali e di terzo settore, e a fondi strutturali per un ammontare di 5,5 miliardi di euro. Sono poi da menzionare una serie di azioni che la Commissione europea vuole intraprendere al fine di elaborare norme di qualità per le materie prime secondarie (in particolare per la plastica) e in tema di cessazione della qualifica di rifiuto. La Commissione ha intenzione altresì di presentare una revisione del regolamento europeo sui concimi, al fine di consentire il riconoscimento dei concimi organici ricavati dai rifiuti e sostenere così il ruolo dei bionutrienti nell’economia circolare. Altri obiettivi sono ridurre della metà i rifiuti alimentari entro il 2030 e intraprendere una serie di azioni per facilitare il riutilizzo dell’acqua, tra cui una proposta legislativa sui requisiti minimi per il riutilizzo delle acque reflue. “Last but not least”, la Commissione intende favorire un uso efficiente delle biorisorse mediante la pubblicazione di orientamenti e la diffusione di best practices sull’utilizzo delle biomasse, nonché sostenere l’innovazione nel campo della bioeconomia.

L’ultimo atto, per ora, della vicenda legata all’«economia circolare» si è consumato lo scorso 14 marzo, quando il Parlamento europeo ha approvato in seduta plenaria a larga maggioranza la proposta di aggiornamento del secondo pacchetto10, che dovrà essere ora recepita dalla Commissione europea. Osservandone il contenuto, si potrebbe parlare non a sproposito di un “riciclo” degli obiettivi fissati dalla Commissione Barroso nel primo pacchetto sull’economia circolare. Nella proposta c’è molta Italia, dal momento che relatore è l’europarlamentare Simona Bonafè, membro della Commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare del Parlamento europeo.

Nella motivazione della proposta si legge che la volontà di aggiornare le misure previste nel secondo pacchetto non risponde ad una mera esigenza di rivisitazione delle norme in materia di rifiuti. L’intento del relatore è piuttosto quello di rafforzare l’azione della Commissione europea nel “preservare l’ambiente, rendere l’economia europea più competitiva e favorire un processo di re-industrializzazione sostenibile”. Di pari passo, si aggiunge, è necessario altresì aumentare il valore delle risorse, intervenendo in tutte le fasi del ciclo di vita dei prodotti, “dall’estrazione delle materie prime al design del prodotto, dalla distribuzione al consumo fino al loro fine vita”. Per fare ciò, il primo passo è predisporre un quadro normativo chiaro e stabile, che preveda definizioni chiare e obiettivi vincolanti. Il relatore ritiene, inoltre, che le modifiche da apportare all’attuale direttiva quadro sui rifiuti debbano andare nella direzione di un rafforzamento delle misure di prevenzione, favorendo ad esempio lo sviluppo di un mercato efficiente dei sottoprodotti e delle materie prime secondarie.

1 Fonte: SERI – Sustainable Europe Research Institute.

2 E. MacArthur Foundation, Towards the Circular Economy: Economic and business rationale for an accelerated transition, Isle of Wight, UK, 2012.

3 Nello specifico, si tratta della Direttiva 94/62/CE (imballaggi e rifiuti di imballaggio), della Direttiva 1999/31/CE (discariche di rifiuti), del gruppo di Direttive 2000/53/CE (veicoli fuori uso), 2006/66/CE (pile e accumulatori) e 2012/19/UE (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche).

4 COM(2014) 397.

5 COM(2014) 398.

6 Tra i quali: la piena attuazione della gerarchia dei rifiuti in tutti gli Stati membri, una produzione minore di rifiuti in termini assoluti e pro capite e l’elaborazione di una strategia globale per combattere gli sprechi alimentari.

7 COM(2015) 614 final.

8 Attualmente in Europa solo circa il 40 per cento dei rifiuti prodotti dalle famiglie viene riciclato. Questa media nasconde tuttavia le ampie difformità esistenti tra Stati membri e tra regioni: alcune aree riciclano fino all’80 per cento dei rifiuti, mentre per altre la percentuale è inferiore al 5 per cento.

9 Direttiva 2009/125/CE.

10 COM(2015) 595 final.

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