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La riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare pubblico: gli strumenti contrattuali a disposizione della pubblica amministrazione

di FRANCESCO MARTIRE

1/11/2017

L’Unione Europea da tempo si occupa del problema dell’efficienza energetica ed i motivi di questo interesse sono cristallinamente enunciati nella Direttiva 2012/27/UE che rappresenta, ad oggi, uno dei più importanti atti normativi in materia di politica energetica comunitaria.

Il Considerando n. 1 della Direttiva afferma che l’Unione si trova di fronte a “sfide senza precedenti” legate alla dipendenza dalle importazioni di energia, alla scarsità di risorse energetiche, ai cambiamenti climatici e alla crisi economica; in questo contesto, l’efficienza energetica rappresenta una risorsa fondamentale per affrontare tali sfide.

In tale scenario, la Pubblica Amministrazione gioca un ruolo fondamentale, essendo chiamata a dare l’esempio nell’adozione di misure che favoriscano un utilizzo più efficiente dell’energia. Una delle declinazioni più significative di questo principio si traduce nell’obbligo periodico di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare pubblico: l’art. 5 della Direttiva impone al governo centrale di ciascuno Stato membro di ristrutturare ogni anno almeno il 3% della superficie coperta utile totale degli edifici pubblici per garantire il rispetto dei requisiti minimi di prestazione energetica che esso stesso ha stabilito in attuazione della normativa comunitaria, attraverso la definizione di un obiettivo nazionale di efficienza energetica. In Italia la norma è stata recepita tramite l’art. 5 del D.lgs. 102/2014, che ha introdotto a livello nazionale una disposizione pressoché identica a quella esistente nell’ordinamento europeo. Dal punto di vista procedurale, la PA può adempiere al proprio obbligo avvalendosi di diversi strumenti contrattuali e, tra questi, tre sono i più significativi: l’affidament0 ad una Energy Service Company (ESCo), tramite una procedura ad evidenza pubblica, di un Energy Performance Contract (EPC); l’affidamento ad una ESCo, previa gara ad evidenza pubblica, di un EPC, avvalendosi dello strumento del finanziamento tramite terzi (FTT); il ricorso ad uno modello di Partenariato pubblico-privato che non comporta l’utilizzo di contributi pubblici e prevede conseguentemente l’applicazione della tecnica finanziaria del project finance.

Il D.lgs. 115/2008 definisce la ESCo come una “persona fisica o giuridica che fornisce servizi energetici nelle installazioni o nei locali dell’utente e ciò facendo, accetta un certo margine di rischio finanziario”; allo stesso tempo il D.lgs. 102/2014 definisce l’EPC come un “accordo contrattuale tra il beneficiario (la PA) ed il fornitore (la ESCo) di una misura di miglioramento dell’efficienza energetica”. La peculiarità del rapporto contrattuale ricondotto al modello dell’EPC e che vede come controparte una ESCo consiste nella tecnica di remunerazione dell’investimento, strumentale alla realizzazione della misura di miglioramento dell’efficienza energetica: generalmente il profitto del fornitore è determinato in funzione del livello di miglioramento dell’efficienza energetica dell’edificio oppure di quello dei risparmi finanziari per il beneficiario (facendosi riferimento in quest’ultimo caso alla “bolletta energetica”). L’EPC è dunque un contratto atipico mediante il quale un soggetto fornitore dei servizi di efficientamento energetico si obbliga al compimento di un’attività diretta alla riqualificazione di un sistema energetico dietro pagamento di un corrispettivo da parte del beneficiario che, nell’ipotesi che qui interessa, è un soggetto pubblico. Una volta stipulato il contratto, la ESCo svolge tutte le attività tecniche necessarie alla realizzazione dell’efficientamento (progettazione, installazione, manutenzione) ma contestualmente assume anche un rischio finanziario: si impegna infatti ad anticipare tutti i costi dell’investimento iniziale che tuttavia potrebbero non essere recuperabili (o comunque recuperabili in tempi rapidi). Allo stesso tempo essa è tutelata da quelle clausole contrattuali che gli attribuiscono, come accennato, una percentuale sul risparmio conseguito dalla PA in termini di bolletta energetica dell’edificio.

Questo schema contrattuale, oltre che avere varie declinazioni (a seconda che si parli ad esempio di contratti a risparmio condiviso, a risparmio garantito e a cessione globale limitata, che si differenziano per le modalità di ripartizione del risparmio che consegue all’efficientamento), può caratterizzarsi per l’intervento di un soggetto terzo, cioè il finanziatore. Infatti, per gli interventi più onerosi è necessario utilizzare la tecnica del “finanziamento tramite terzi” (FTT); in questo caso il soggetto investitore non è la ESCo né la PA beneficiaria ma un soggetto esterno che, essendo impegnato nel business energetico, può permettersi di investire anche a lungo termine. A questo rapporto trilaterale corrisponde una specifica ripartizione delle competenze: la ESCo si dedica alle attività tecniche di realizzazione dell’intervento (progettazione, installazione e manutenzione) ed intrattiene i rapporti con il finanziatore, quest’ultimo fornisce i capitali necessari e la PA beneficiaria si impegna a corrispondere un canone predeterminato nel contratto e strumentale al recupero dell’investimento effettuato e alla sua remunerazione, oltre che a quella delle attività svolte. È dunque evidente che la PA dovrà corrispondere un canone sia alla ESCo che realizza l’intervent0 sia al terzo che fornisce le risorse finanziarie; l’EPC dovrà quindi stabilire le modalità di pagamento e una volta che la ESCo avrà recuperato l’investimento e ottenuto una remunerazione dello stesso a favore del finanziatore (in base ad accordi con la PA), potrà, da una data prestabilita contrattualmente, remunerare anche la propria attività.

Un altro strumento fondamentale di realizzazione di progetti di riqualificazione energetica degli edifici pubblici è rappresentato dal Partenariato pubblico-privato (Ppp).

Una particolare forma di Ppp è quella del project finance: essa si presta alla realizzazione di operazioni che si avvalgono di investimenti dalla struttura complessa. La particolarità sta nel fatto che la tecnica finanziaria utilizzata non si serve di risorse pubbliche o comunque si avvale solo di una quota ridotta delle stesse. Il project finance consiste infatti in un’articolata operazione di finanziamento a lungo termine: viene innanzitutto creata una nuova società, la Special Vehicle Company o società di progetto (Spv), che ha lo scopo di realizzare e gestire il progetto di efficientamento energetico; alla Spv viene poi affidato un contratto globale che comprende progettazione, finanziamento, costruzione e manutenzione dell’opera efficientata. L’operazione si caratterizza per una prima fase in cui si determinano le modalità di intervento della Spv e si fa una previsione dei rendimenti attesi a seguito della riqualificazione energetica dell’immobile. Esiste poi una seconda fase in cui la PA beneficiaria valuta le proposte presentate dalla Spv ed infine una terza fase, di carattere esecutivo, in cui si realizza l’intervento. Infine, per quanto riguarda le risorse finanziarie, la Spv anticipa la somma da investire nel progetto e quindi si assume il rischio economico della realizzazione e gestione dell’intervento di efficienza energetica, per poi essere remunerata dal beneficiario dell’intervento attraverso pagamenti periodici determinati sulla base del risparmio energetico ottenuto.

Concludendo, dall’analisi complessiva degli strumenti giuridici a disposizione della PA per l’adempimento dell’obbligo di cui all’art. 5 D.lgs. 102/2014 emergono alcune discrasie che vale la pena prendere in considerazione.

In primo luogo, dal testo dell’art. 5 del Decreto citato emergono due ordini di contraddizioni: la prima consiste nella non corrispondenza tra la vincolatività dell’obbligo di riqualificazione periodica degli edifici pubblici e la non cogenza dell’obiettivo nazionale di efficienza energetica stabilito dal governo centrale ed al quale si deve necessariamente far riferimento, dato che il programma di riqualificazione del parco immobiliare pubblico è finalizzato al rispetto dei requisiti minimi di prestazione energetica in esso individuati. Viene parzialmente meno, dunque, la forza applicativa della disposizione, che determina la ratio dell’obbligazione della PA (da qualificare, alla luce del contesto normativo sia nazionale che sovranazionale, come un’obbligazione di mezzi più che di risultato) sulla base di parametri aventi un valore meramente programmatico e non giuridicamente vincolanti. La seconda consiste, invece, nell’assenza di una sanzione che garantisca l’effettività dell’obbligo di riqualificazione.

In secondo luogo, nonostante i benefici che la stipula di un EPC genera a favore della PA, in particolare perché grava sulla controparte contrattuale il rischio economico dell’intervento, essa si mostra diffidente nell’utilizzo di questo strumento. Ciò è dovuto in particolare all’assenza di “expertise” degli uffici pubblici nella fase di stipula e di controllo del contratto.

La mancanza di competenza tecnica della PA relativamente ai progetti di efficientamento energetico rappresenta la più rilevante barriera alla loro effettiva realizzazione: gli uffici dell’amministrazione devono infatti intessere relazioni con una molteplicità di soggetti e stipulare contratti complessi che si caratterizzano per un’attività prodromica di valutazione del progetto da attuare, con specifico riferimento alla quantificazione dei risparmi in termini di consumi energetici ed ai ricavi che consentiranno, al termine dell’intervento, di recuperare e remunerare i costi dell’investimento iniziale.

È dunque indispensabile adottare misure di carattere strutturale che permettano una specializzazione in tal senso dell’apparato amministrativo, di modo che il soggetto pubblico sia in realmente in grado di perseguire gli obiettivi di efficienza energetica fissati a livello comunitario.

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