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I vizi procedimentali dell’atto amministrativo tedesco e la nuova sanabilità: un difficile equilibrio tra semplificazione e deminutio

di Cristiano Merluzzi

21/09/16

Una problematica assai ricorrente nella disciplina del procedimento amministrativo tedesco, e strettamente connessa con il tema della semplificazione dell’azione amministrativa riguarda la questione se sia da considerarsi illegittimo o meno l’atto amministrativo, il cui procedimento sia stato viziato in modo non sostanziale; si tratta dunque della tematica dei vizi formali e procedimentali, che nella legge generale sul procedimento amministrativo avevano trovato risposte e soluzioni solo in parte adeguate, e che sono stati novellati soltanto in occasione della sistematica riforma del 1996, e che ancora oggi sollevano feroci critiche e questioni. Si tratta di un tema assai dibattuto, poiché già nel momento d’adozione della Verwaltungsverfahrensgesetz nel 1976 il legislatore ordinario federale aveva preso posizione riguardo il delicato equilibrio tra garanzie partecipative e snellimento e celerità del procedimento, in modo che la questione dell’impugnabilità degli atti endoprocedimentali fosse risolta attraverso la possibilità di rilevarne i vizi solo attraverso l’impugnazione dell’atto finale del procedimento, e attendendo dunque dal punto di vista temporale che l’atto finale fosse emanato e il procedimento concluso: ipotesi di impugnazione autonoma di atti del procedimento sono contemplate nelle rare occasioni in cui siano ex se suscettibili di esecuzione forzata, e dunque che posseggano attitudine a modificare lo status quo esistente, o nel caso in cui siano indirizzati ad un soggetto che non abbia la qualifica di interessato nel procedimento.

 

Per quanto riguarda gli effetti sull’atto finale che il legislatore del ’76 aveva contemplato per tali tipi di vizio, si era accolta l’opinione nettamente prevalente in dottrina e largamente condivisa in gran parte degli ordinamenti continentali, secondo la quale le patologie procedimentali rileverebbero soltanto laddove sussistesse almeno l’astratta possibilità che la decisione concretamente adottata in conclusione del procedimento potesse essere di diverso contenuto sostanziale, e dunque nel caso in cui il vizio formale abbia influito sull’esercizio dei poteri e della discrezionalità amministrativa. Quando “non sarebbe stato possibile adottare in concreto nessun’altra decisione”, sanciva l’originaria formula del § 46 VwVfG, “l’annullamento di un atto amministrativo (…) non può essere preteso”. La giurisprudenza aveva poi esteso la rilevanza dei vizi formali anche nei casi in cui essi attribuissero una posizione di diritto di natura prettamente procedimentale ad un terzo: si tratta di ipotesi eccezionali in cui la situazione giuridica consiste solo in una garanzia di partecipazione e concerne un diritto soggettivo ad un soggetto estraneo a partecipare al procedimento; il bene protetto dalla norma ha natura procedimentale, e non ha dunque consistenza materiale e sostanziale, e dunque la tutela contro i vizi incidenti su tali situazioni doveva essere assoluta. Questa visione asseconda perfettamente la più generale opinione della dottrina sulla normale funzione servente delle norme di natura procedimentale rispetto ai diritti sostanziali: un atto sostanzialmente legittimo non potrebbe essere caducato per un semplice errore accaduto nel corso del procedimento per la sua adozione, un errore privo di rilevanza fattuale poiché inidoneo ad influire sul contenuto dell’atto finale. Si tratta di un impianto dottrinario che è coerente e presente anche nel nostro paese.

 

La legge di accelerazione dei procedimenti autorizzatori del 12 settembre 1996 (Genehmigungsverfahrensbeschleunigungsgesetz, o GenBeschG) ha modificato, sotto la pressione delle evoluzioni teoriche, il tenore della norma in questione, stabilendo che una violazione “procedimentale o formale o inerente la competenza territoriale” non può comportare l’annullamento dell’atto finale, “ove risulti in maniera palese che la violazione non abbia influito sul contenuto della decisione”. Appare dunque esserci ora una minore possibilità di impugnazione, perché il perno della rilevabilità del vizio non si incentra più sulla cosiddetta “assenza di alternative” quanto al contenuto della decisione, e quindi sulla presenza di una più o meno estesa discrezionalità della P.A., ma semmai si incentra sulla “concreta influenza e causalità” che il vizio ha avuto sul contenuto della decisione adottata. In altre parole, prima della riforma era opinione dominante che se non vi fosse stata discrezionalità, e se l’attività della P.A. fosse stata vincolata, il vizio non avrebbe potuto rilevare poiché ininfluente, e dunque solo nei casi di attività discrezionale esso avrebbe potuto avere conseguenze sulla decisione finale e determinare l’annullabilità, salvo i casi di assenza di alternative; ora invece anche nel caso di attività ampiamente discrezionale della P.A., non necessariamente vi sarà influenza sull’atto finale, e anzi più estesa sarà la discrezionalità e più facilmente la P.A. potrà giustificare le proprie scelte in vari modi, e il vizio apparirà secondario nel bilanciamento degli interessi contrapposti: rimane in ogni caso una tesi molto dibattuta, nonostante la riforma abbia fatto chiarezza. Ora il criterio fondamentale è che il rapporto di causalità tra vizio e atto risulti “in maniera palese”, tale da non dare adito a dubbi di alcun tipo, e questo limita ulteriormente le ipotesi di impugnabilità vittoriosa dell’atto.

 

Ai sensi del § 45 VwVfG, i vizi che siano formali o procedimentali, e che non rendano nullo l’atto, sono inoltre irrilevanti al ricorrere di situazioni tassativamente indicate dal legislatore: 1) nel caso in cui l’istanza necessaria al rilascio di atti ampliativi venga presentata successivamente dal privato; 2) nel caso di motivazione presentata successivamente; 3) nel caso di audizione necessaria recuperata successivamente; 4) nel caso di decisione necessaria di una commissione ai fini del rilascio dell’atto sia adottata successivamente; 5) nel caso di partecipazione necessaria di un’altra P.A. ottenuta successivamente. Come si può vedere, sono ipotesi di sanatoria, dove appunto gli adempimenti necessari che mancano sono colmati successivamente, e il vizio è considerato “irrilevante” ex tunc.

 

Originariamente la possibilità di sanatoria di tali vizi era consentita con precisi limiti temporali, entro un termine che era il termine di conclusione del procedimento o, al più, il termine di conclusione del ricorso amministrativo; dunque al termine del procedimento o al più al termine del riesame da parte della stessa P.A., il privato avrebbe avuto certezza e insanabilità della violazione, potendo poi far rilevare il vizio davanti al giudice amministrativo. Questa previsione è stata oggetto di un ripensamento da parte della GenBeschG del ‘96, che potrebbe apparire come una semplice modifica temporale, ma il suo risvolto fattuale rischia di divenire determinante nell’equilibrio delle garanzie partecipative del privato: infatti il termine attuale previsto dal § 45/2 VwVfG è quello di conclusione del ricorso giurisdizionale dinanzi al Tribunale Amministrativo. Se si guarda a questa modifica con uno specifico riferimento al caso della mancata audizione necessaria del privato, che dunque potrà essere recuperata successivamente, fino al termine del processo davanti al giudice amministrativo, il disegno legislativo nel suo complesso acquista un contorno secondo alcuni autori preoccupante. Non è difficile per esempio immaginare che il contributo conoscitivo del privato potrà rappresentare una vera e propria partecipazione al procedimento e cooperazione con la P.A. solo laddove sia lontanamente in grado di contribuire e influenzare la decisione finale, e laddove ciò non avvenga l’atto adottato avrà presumibilmente una motivazione adeguata a discostarsi dalle sue istanze; se al contrario l’audizione necessaria del privato è recuperata solo al termine del ricorso amministrativo, o perfino in sede processuale, a decisione già presa, probabilmente l’apporto dell’interessato sarà ininfluente. Il momento in cui l’audizione viene posta in essere è di fatto di eguale importanza al suo esperimento.

 

Nonostante l’obiettivo di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, vi sono garanzie procedimentali di rango anche costituzionale, che sono connesse ai principi dello stato di diritto (Rechtsstaatsprinzip), e il rischio che si corre è quello di vanificare queste garanzie mediante una loro concreta diminuzione e relativizzazione, o addirittura facultizzazione di fatto. Pur essendo dunque vero che l’audizione degli interessati rimane un nodo fondamentale e imprescindibile, in concreto si corre il rischio che la P.A. invece ne prescinda scientemente. Le finalità di semplificazione del procedimento e di stabilità delle decisioni prese, che ispiravano il legislatore della GenBeschG, sono state raggiunte attraverso una sorta di “ostilità all’impugnazione” e di “stabilità a tutti i costi”, almeno nei riguardi dei vizi formali, ridimensionandoli in patologie secondarie. I diritti di natura procedimentale, previsti dalla stessa Legge Fondamentale tedesca (GG), corrono il rischio di essere trascurabili, in un procedimento che può fare a meno della loro osservanza fino al rimedio processuale, rappresentando un abuso rispetto agli scopi della norma. Infine, è da prendere in considerazione il fatto che un atto incide sulle situazioni giuridiche dei privati anche prima della sua definitiva stabilizzazione, e dunque esse non potrebbero essere adeguatamente garantite da un ritardatario “recupero” dell’audizione. I sospetti di incostituzionalità appaiono purtroppo probabili, in relazione ai diritti procedimentali sanciti dalla Carta e al principio di effettività della tutela giurisdizionale delle proprie posizioni giuridiche. Non a caso vi è una forte pressione di larga parte della dottrina, che auspica il ritorno alla forma previgente del § 45/2, con un termine di sanabilità legato alla chiusura del procedimento, o al massimo al suo riesame presso l’autorità gerarchicamente sovraordinata. È tuttavia da segnalare che questo auspicio probabilmente rimarrà disatteso nel breve termine, poiché l’entrata in vigore del testo del gennaio 2003 sul procedimento, contenente alcune modifiche per la modernizzazione della VwVfG, ha aggiunto la locuzione “der letzten Tatsacheninstanz”, e nel testo ufficiale tradotto del Ministero della Giustizia tedesco è utilizzata la locuzione “final court of administrative proceedings”. E dunque non solo viene confermata la possibilità di sanatoria nella fase processuale, ma il termine è esteso fino alla fine dell’“ultima istanza di fatto”, e dunque aldilà del primo grado di giudizio, a tutto il processo di merito, avvalorando e accrescendo la portata delle critiche della dottrina.

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