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La dieta detox delle emissioni – Alla ricerca di un menù compatibile per Europa e oriente

di Fatima Martia Pizzati

23/09/16

Molto spesso accade che le persone si rendano conto di seguire un regime alimentare squilibrato, abusando di alimenti dannosi per l’organismo e, di fronte a questa presa di coscienza, l’unica strada percorribile è la riduzione del consumo dei cibi insani. Effettivamente anche le diete più rigide parlano sempre di limitare gli alimenti che, seppur dannosi, non possono essere eliminati totalmente. Per certi versi, la logica alla base del sistema di scambio di quote di emissioni è simile a quella sottostante a una qualunque dieta con la differenza che non si ragiona in termini di calorie. La questione è stabilire quale sia il valore-limite di emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera che può essere tollerato partendo dalla consapevole impossibilità di giungere a un’eliminazione totale perché, da una parte, la tutela dell’ambiente e della salute dell’uomo sono esigenze imprescindibili, tuttavia, dall’altra, vi sono in gioco anche altri interessi di cui i gestori degli impianti inquinanti si fanno portatori e che hanno un peso economico non indifferente.

Il ricorso alla creazione di un sistema di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra all’interno dell’Unione Europea (European Union Emission Trading Scheme EU ETS) rappresenta la principale misura di attuazione del Protocollo di Kyoto relativa ai settori industriali a maggior impatto sul cambiamento climatico. Il sistema è stato istituito dalla Direttiva 87/2003/CE e dalle successive modifiche e ha trasferito in Europa il meccanismo di cap&trade introdotto a livello internazionale dal Protocollo di Kyoto. La Direttiva ETS ha previso che, dal primo gennaio 2005, gli impianti grandi emissori dell’Unione Europea non possono funzionare senza un’apposita autorizzazione all’emissione di gas a effetto serra. Inoltre, ogni impianto deve compensare annualmente le proprie emissioni con quote (c.d european union allowances) che possono essere comprate e vendute attraverso il ricorso alle aste pubbliche europee o al mercato o, ancora, a titolo gratuito.

Ogni anno ai gestori degli impianti verranno assegnate delle quote di emissioni e le medesime dovranno essere restituite in numero pari alle emissioni reali annuali prodotte dallo stesso impianto. In seguito alla restituzione, tali quote saranno cancellate.

La possibilità di evitare danni inaccettabili all’ambiente dipende dalla conformità dei partecipanti alle regole alla base del sistema di scambio di quote per cui, da una parte, le autorità competenti devono occuparsi di stabilire il livello d’inquinamento consentito, mentre, dall’altra, è indispensabile la previsione di un regime capace di assicurare che tale valore-limite non venga superato.

L’obiettivo principale è ricorrere a sanzioni in grado di reprimere gli atti contrari alle regole dell’EU ETS, tuttavia bisogna considerare anche la necessità di individuare meccanismi che permettano di compensare a eventuali emissioni in eccesso rispetto al tetto stabilito. Dal punto di vista economico, i gestori degli impianti saranno indotti a rispettare le quote assegnate di fronte a una elevata probabilità che le violazioni vengano effettivamente punite con sanzioni stringenti.

Innanzitutto, la Direttiva Emission Trading pone in capo agli Stati Membri il compito di controllare le emissioni in conformità delle linee guida per il monitoraggio e la comunicazioni adottate dalla Commissione.  Inoltre, essi provvedono affinché ogni gestore o operatore aereo comunichi all’autorità competente le emissioni rilasciate durante ciascun anno civile dall’impianto. E’ indispensabile che venga svolta un’attività di verifica circa le comunicazioni rese dai gestori rispetto ai criteri dettati nell’Allegato V alla Direttiva e alle eventuali disposizioni adottate dalla Commissione. Qualora il gestore o l’operatore aereo la cui comunicazione non sia stata riconosciuta conforme ai criteri di cui all’allegato V e alle eventuali disposizioni dettagliate adottate dalla Commissione si prevede per il gestore stesso l’impossibilità di trasferire ulteriormente altre quote di emissioni fino al momento in cui una comunicazione di tale gestore od operatore aereo non sia riconosciuta come conforme. In questo contesto la possibilità per la Commissione di adottare disposizioni dettagliate per la disciplina delle comunicazioni rileva notevoli difficoltà e ciò accade in modo preminente quando i regimi di scambio delle quote sono collegati tra diversi Stati come nel caso di Norvegia, Islanda e Lichtenstein.

Tuttavia, gli Stati Membri devono definire la struttura portante nella quale si inseriscono le sanzioni da irrogare in caso di violazioni delle disposizioni nazionali adottate ai sensi della direttiva Emission Trading, con l’unica indicazione che tali sanzioni debbano essere efficaci, proporzionate e dissuasive. In prima battuta, dunque, viene lasciata una certa discrezionalità agli Stati Membri sulla base del fatto che non è possibile rintracciare una soluzione standard, ma è più opportuno affidarsi alle misure interne adottate anche in relazione alle esigenze e alle caratteristiche dell’ordinamento giuridico di riferimento. In ogni caso, la Direttiva prosegue con l’indicazione di due specifiche sanzioni: la prima è rappresentata dall’imposizione di un’ammenda per le emissioni in eccesso da parte del gestore che non restituisce un numero di quote sufficiente a coprire le emissioni rilasciate durante l’anno precedente; la seconda comporta il cd. naming and shaming attraverso cui gli Stati membri assicurano la pubblicazione dei nomi dei gestori e degli operatori aerei che hanno violato i requisiti per la restituzione di quote di emissioni sufficienti a norma della presente direttiva.

Le misure prese in considerazione dalla direttiva rappresentano un elemento fondamentale per la buona riuscita degli obiettivi di riduzione delle emissioni e, di fatto, questa esigenza non è esclusiva del sistema di scambio di quote europeo, ma viene percepita in maniera sempre più evidente anche all’interno di altri ordinamenti che hanno deciso di avvicinarsi al sistema del cap&trade per contenere le emissioni di C02 solo in tempi più recenti e un esempio emblematico è rappresentato dalla Cina. Il governo cinese sperimenta sulla propria pelle gli impatti derivanti dalla dipendenza da carbone in termini di danni ambientali e sanitari perciò, a partire dal 2013, Pechino ha deciso di mettere in piedi sette sfide di mercato per mezzo di sette progetti pilota di ETS, di cui il primo è stato avviato nella municipalità di Shenzhen, città fortemente industrializzata a rapida crescita con circa 10mila abitanti. Lo schema dell’ETS cinese è modellato su quello europeo e impone di acquistare permessi di emissione alle compagnie elettriche e alle industrie. La sfida per il governo cinese non è semplice poiché deve fare i conti con una fame da carbone da cui dipende circa il 70% del fabbisogno energetico. Inoltre, un ulteriore ostacolo è dato dalla resistenza dei governi locali e dalla presenza di una lobby carbonifera  molto forte. Davanti a questo contesto ogni progetto pilota presenta un regime che può avere caratteristiche più o meno variabili, ma che riconducibile a un nucleo essenziale che conta su sanzioni pecuniarie per eccesso di emissioni, naming and shaming e sottrazione dall’opportunità di ottenere finanziamenti da parte del governo per 5 anni.

L’esito che si trae dall’analisi dei diversi strumenti sanzionatori permette di considerare l’obiettivo di contenimento delle emissioni ancora arduo con la possibilità di prevedere nuovi meccanismi che possano garantire il rispetto delle regole del sistema di scambio delle quote attraverso la normativa interna a ciascuno Stato, dal momento che le soluzioni generalizzate potrebbero assumere una forma diversa nel contesto all’interno del quale vengono adottate.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

PEETERS M., CHEN H., Sanction regimes of greenhouse gas emission trading in the EU and China, Maastricht University, Maastricht, 2015.

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