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Il caso Trinko: la preminenza della regolazione sul diritto della concorrenza

di LETIZIA BERETTA

 

12 aprile 2017

 

Il caso statunitense Trinko, arrivato fino alla Corte Suprema nel 2004 vedendo contrapposti l’avvocato Curtis Trinko e la compagnia telefonica Verizon, è indubbiamente un caso celebre, una vicenda di fondamentale importanza per svariate ragioni; certamente centrale in tema di selezione del criterio per determinare un abuso di posizione dominante in caso di rifiuto di contrarre, in tema di teoria delle infrastrutture essenziali e di legittimazione dei consumatori a chiedere il risarcimento dei danni ma soprattutto decisivo in tema di rapporti tra diritto della concorrenza e regolazione.

Nel dettaglio, tutto ha inizio nel 1997 quando Verizon (all’epoca Bell Atlantic, in quanto non ancora fusa con GTE), conformemente al Telecommunications Act del 1996, conclude un accordo con la compagnia telefonica AT&T, al fine di consentire a quest’ultima di disporre dei servizi, delle infrastrutture e di taluni elementi della propria rete, dunque di poter offrire l’erogazione del servizio telefonico ai propri clienti.

Il Telecommunications Act del 1996 obbligava difatti la Verizon, come gli altri ex monopolisti locali (c.d. incumbents), a condividere le infrastrutture di rete con le nuove imprese operanti nel settore, in particolare stabilendo, per i concorrenti emergenti sul mercato, il diritto di accesso alle reti telefoniche, al fine di fornire il servizio.

Nel 1999 tuttavia, la stessa AT&T assieme ad altre imprese neo-concorrenti della Verizon, segnala alle Autorità di regolazione competenti, ossia la Public Service Commission di New York e la Federal Communications Commission, alcune violazioni del Telecommunications Act commesse dall’impresa incumbent.

Le due autorità, portate avanti indagini separate, decidono allora di intervenire con un provvedimento sanzionatorio, ottenendo poi un impegno formale a rimuovere le violazioni sottoscritto dalla Verizon.

Successivamente, lo studio legale Trinko, cliente di AT&T, intraprende però un’azione nei confronti di Verizon, sostenendo che la condotta dell’impresa andasse considerata anticoncorrenziale ai sensi dell’art. 2 dello Sherman Act e domandando pertanto il risarcimento del danno.

Più nello specifico, l’attore lamentava una condotta della Verizon tendente a penalizzare i concorrenti, disincentivando gli utenti a passare ad altri operatori telefonici, dunque una condotta discriminatoria “escludente” causa di pregiudizio.

La domanda giudiziale proposta da Trinko veniva allora dapprima respinta dalla Corte distrettuale, poi accolta dalla Corte di appello ed infine, con sentenza del 13 gennaio 2004, rigettata definitivamente dalla Corte Suprema.

Le argomentazioni del giudice Scalia erano le seguenti:

In primo luogo, la Corte sosteneva che i comportamenti di Verizon dedotti da Trinko non violassero le norme antitrust, osservando come nei precedenti giurisprudenziali fosse stata affermata la violazione dell’art. 2 dello Sherman Act solo in caso di interruzione di un rapporto contrattuale consensualmente costituito; tra la Verizon  e l’attore non vi era alcuna relazione contrattuale, pertanto le condotte dell’impresa ed il rifiuto della stessa di collaborare con i concorrenti non andavano sottoposte al meccanismo sanzionatorio dello Sherman Act.

In secondo luogo, la Corte, richiamando gli oneri nonché le sanzioni imposte a Verizon dalle Autorità di regolazione, affermava con chiarezza che, in casi simili, esistendo una normativa di regolazione settoriale, non vi sarebbero stati benefici aggiuntivi alla concorrenza per effetto dell’applicazione delle regole antitrust.

 

Ancora, il giudice Scalia richiamava la sentenza United States v. Colgate per affermare che la regola generale per cui ciascuno è libero di contrattare con chi preferisce, senza obbligo di aiutare i concorrenti, non può conoscere una deroga nel caso Trinko, dovendosi applicare piuttosto le regole settoriali esistenti nel mercato delle telecomunicazioni.

È opportuno rilevare infine come anche la concurring opinion del giudice Stevens confermasse l’infondatezza della domanda giudiziale, sottolineando tra l’altro come lo Studio Legale Trinko non avesse fornito alcuna precisa dimostrazione del nesso tra la condotta della Verizon ed il danno patito.

A questo punto, analizzato l’impianto argomentativo della sentenza, è chiara la centralità e la portata della pronuncia del  2004, soprattutto, come si anticipava, per quel che concerne il rapporto antitrust-regulation, il rapporto tra diritto della concorrenza e regolazione.

A tal proposito, è possibile pertanto affermare che, tramite la sentenza in questione, la Corte Suprema degli Stati Uniti innanzitutto limitava significativamente i casi in cui il diritto della concorrenza poteva essere invocato per imporre ad un’impresa di aiutare i propri concorrenti offrendo loro accesso alle proprie infrastrutture e, anziché privilegiare la complementarietà tra discipline, dichiara l’illegittimità dell’intervento antitrust.

In Trinko, la Corte Suprema esprimeva poi forti riserve sulla dottrina delle “essential facilities”, secondo la quale un’impresa in posizione dominante, che utilizza o controlla un’infrastruttura essenziale per lo svolgimento da parte di un concorrente di un’attività su un mercato secondario, può essere obbligata a concedere accesso a tale infrastruttura ai concorrenti stessi.

La corte, manifestando scetticismo circa il ruolo che le autorità antitrust e le corti dovrebbero assumere in presenza di casi di questo tipo, rigettava dunque quasi in toto l’idea della sussistenza di un duty to share del monopolista con il concorrente entrante.

Infine per concludere,a conferma della centralità della sentenza Trinko,sempre in materia di rapporto tra discipline settoriali e diritto della concorrenza, è necessario ricordare come anche altre pronunce della Corte Suprema statunitense, più avanti negli anni, abbiano sostanzialmente confermato l’orientamento del 2004, ritenendo illegittimo l’intervento dell’autorità antitrust in presenza di provvedimenti delle autorità di settore;

Nel caso Credit Suisse del 2007 la Corte Suprema aveva sostenuto vi fosse un chiaro conflitto (plain repugnancy) tra la normativa settoriale ed il diritto della concorrenza;

ancora più recente la sentenza Linkline del 2009, attraverso la quale, a cinque anni di distanza dalla sentenza Trinko, la Corte tornava ad occuparsi del rapporto tra antitrust e regolazione nel settore delle comunicazioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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