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Il caso Whatsapp: l’Agcm tenta di ricondurre un contratto deragliato nei binari della liceità

Consuelo Napolitano

 

 

 13/12/2018

 

 

Sono del Maggio 2017 gli esiti dei due procedimenti istruttori avviati qualche mese prima, nei confronti di WhatsApp Inc.                                                                                                                              L’Autorità Garante della concorrenza e del mercato sospetta che alcune delle condotte tenute dalla società, siano state poste in essere in violazione del Codice del Consumo, attivando pertanto le dovute indagini di accertamento.

Da un lato, si contesta la modalità con cui la società ha assunto il consenso per l’utilizzo dei dati personali dei fruitori dell’app, dall’altro si riscontrano elementi di vessatorietà nel contratto relativo all’erogazione del servizio di messaggistica in questione, la società avrebbe pertanto inosservato nella specie le disposizioni relative al divieto di pratiche commerciali scorrette contenute negli artt. 20;24;25 nel primo caso, nonché quelle degli artt. 33 e ss apponendo al medesimo clausole abusive.

La prima istruttoria porterà ad una sanzione pari a3.000.000 di euro.

Nel dettaglio, la società il 25 agosto del 2016 nel revisionare i propri termini d’uso e l’informativa sulla privacy prevede la condivisione di alcuni dati personali degli utenti con Facebook per fini commerciali e di profilazione. Ciò che allerta l’Autorità è stata la modalità scorretta con cui la società avrebbe “estorto” il consenso dell’utente: sui dispositivi elettronici di ciascun fruitore, all’apertura dell’app appariva un breve annuncio col quale il soggetto veniva invitato ad accettare le nuove condizioni entro 30 giorni, pena impossibilità di poter continuare a fruire del servizio di messaggistica istantanea, non solo, l’avviso dopo qualche tempo si faceva più incalzante: “se non desideri accettare dovrai interrompere l’uso di WhatsApp” il tutto risolvendosi in un aut aut per l’utente, senza possibilità alcuna di soluzioni intermedie, ma c’è di più, pigiando sul tasto “continua” e proseguendo la lettura dell’avviso, si scorgeva che la casella su cui inserire l’eventuale consenso era già spuntata, in tal modo si rendeva particolarmente intricato e poco chiaro l’iter che il soggetto avrebbe dovuto percorrere per indicare una volontà contraria. Alla luce di queste considerazioni appare chiaro l’indirizzo assunto dall’Autorità che ravvisa in tale comportamento sicuramente una pratica commerciale scorretta e dunque un’infrazione dei divieti previsti dal Codice. Per l’Agcm la società avrebbe assunto un contegno sussumibile nell’ art.20 “contrario alla diligenza professionale, idoneo a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico[…]del consumatore medio che essa raggiunge.”più precisamente aggressivo ex art.24, essendo stata questa pratica “idonea a  limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio[…], lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso” in quanto indebitamente condizionato. Tale condotta induceva il soggetto in errore facendo falsamente credere che la mancata adesione ai nuovi termini avrebbe comportato la rinuncia definitiva ad utilizzare l’applicazione, da qui la sanzione.

Il secondo procedimento istruttorio viene avviato con l’intento di accertare se i contenuti contrattuali contengano elementi di abusività, accertamento che si conclude in senso positivo.

Nel dettaglio WhatsApp Inc. limitando della possibilità dell’utente di far valere eventuali diritti lesi, si esonerava da una serie di responsabilità contrattuali, tra le tante si riservava il diritto di interrompere ad nutum ed in qualsiasi momento il servizio, si riservava il diritto di modificare unilateralmente il contratto, non garantiva di fornire in alcuni casi certe informazioni, prevedeva per la redazione dei termini contrattuali la prevalenza della sola lingua inglese nel caso di conflitti derivanti dalle traduzioni in altre lingue, infine stabiliva come foro competente esclusivo quello sito presso il Tribunale Federale degli Stati Uniti della California.

Ictu oculi, il quadro appare fortemente discriminatorio, pertanto l’Agcm indicando i vari punti come idonei a determinare “un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” li taccia di vessatorietà in quanto posti in violazione degli artt. 33 e 35 Codice del Consumo.

La società per parte sua dissentendo su ogni addebito avanzatagli, proponeva una linea difensiva basata principalmente sull’affermazione che il contratto concluso tra WhatsApp Inc. e gli utenti fosse di natura gratuita, ragion per cui non può parlarsi di “squilibrio”.

Tempestiva la risposta dell’Autorità secondo cui, pur trattandosi di un servizio gratuitamente messo a disposizione degli utenti che ne beneficiano senza corrispondere somme di denaro, non bisogna trascurare il fatto che, seppur aliunde e successivo, esiste comunque il conseguimento un vantaggio.

I dati personali che gli utenti gli consentono di utilizzare, sono destinati ad assumere un valore economico intrinseco nel caso in cui questi vengano venduti a terzi. La sinallagmaticità del contratto può dunque dirsi effettiva, in quanto i dati fungono da “merce di scambio”.

In conclusione, la gratuità del contratto non rende legittime le clausole vessatorie, WhatsApp Inc. è condannata alla sanzione reputazionale prevista dall’art. 37bis Codice del Consumo, consistente nella pubblicazione dell’estratto del provvedimento deliberato dall’Agcm, le modalità di diffusione della notizia devono avvenire tramite inserzione sulla homepage del sito per un periodo non inferiore a 20 giorni, nonché tramite notifica in app.

La vicenda tuttavia non termina qui. WhatsApp non adempie gli obblighi informativi, rendendo necessario un nuovo intervento dell’Autorità che agli inizi del gennaio 2018 irroga una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 50.000 euro, massimo edittale previsto dal 2°comma articolo 37-bis.

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