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Il frastagliato quadro delle competenze in materia di gestione di rifiuti speciali: il ruolo dello Stato.

di Marta Maurino

Le diverse forme e modalità di intervento dei poteri pubblici sono state predisposte in funzione del perseguimento dell’interesse pubblico quale principale ragion d’essere dell’organizzazione della pubblica amministrazione. In origine lo Stato offriva servizi ai propri cittadini, gestendoli in proprio o riservandone l’esercizio, a determinate condizioni, ai soli soggetti nazionali. Oggi, invece, la dimensione entro cui molti servizi sono svolti, non è più nazionale, ma europea e ha diversi gradi di istituzionalizzazione. In quest’ottica, le esigenze legate alla costruzione di un Mercato Unico retto dal principio di concorrenza, hanno reso necessario il progressivo abbandono delle barriere e dei limiti che circondavano lo svolgimento di molte attività. Sempre più spesso le discipline nazionali sono fortemente condizionate da quelle europee e le Autorità di regolazione devono operare in un quadro di riferimento comune, che permetta a tutti gli operatori di usufruire di condizioni simili o equivalenti sul Mercato Interno. La determinazione delle condizioni di accesso degli imprenditori ai vari settori di interesse generale dell’economia, hanno fatto sì che si potesse parlare di conversione dello Stato da “imprenditore” a “regolatore”. Uno dei settori del mercato in cui deve risultare forte la presenza di uno Stato-regolatore, è quello della gestione e dello smaltimento dei rifiuti speciali. Il problema principale, quando si parla di rifiuti, verte sempre sul come recuperarli o eliminarli. Un sistema integrato di gestione degli stessi non può continuare a basarsi, come oggi avviene, sulle discariche, né tantomeno pensare che tutto sia esclusivamente riciclabile. Sarebbe necessario intervenire promuovendo sistemi integrati di gestione e industrializzazione del settore, che attualmente riscontra gravi e diffuse lacune operative. Se oltre alla prevenzione, si assicurassero le necessarie capacità impiantistiche di trattamento (recupero e smaltimento), la vita delle discariche esistenti potrebbe rappresentare la fase residuale e di chiusura del ciclo dei rifiuti, relativa agli scarti provenienti dal recupero. In questa prospettiva, sembrerebbe quantomeno opportuno, come avviene in altri settori industriali, ricorrere ad una programmazione generazionale, almeno ventennale e ad un sistema impiantistico integrato. A questo dovrebbe aggiungersi, per evitare il blocco dello sviluppo dei processi tecnologici, una regolazione del mercato che permetta di non mancare il raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio fissati in ambito europeo.
Nonostante le questioni, sorte in tale settore, abbraccino vere e proprie macro aree, finendo per creare problemi di natura sistemica, gli ultimi quindici anni sono stati caratterizzati da una spinta differenziatrice che ha condotto a regolamentazioni specifiche per singoli flussi di rifiuti. Tali regolamentazioni settoriali hanno costituito la principale fonte del D.lgs. 205/2010. Tale Decreto prevede una serie di abrogazioni e modificazioni di disposizioni del Testo Unico Ambientale (D.lgs. 152/06), anche in materia di competenze dei soggetti pubblici impegnati nell’attività di gestione e smaltimento dei rifiuti e alle fonti di tale disciplina. Con il passaggio da un sistema di monopolio di autorità nelle mani dei comuni, a un sistema plurale di tipo multilivello, si presuppone che il governo dei rifiuti si ispiri ad un criterio regolativo che si dispieghi “dall’alto verso il basso”, a partire dalle direttive comunitarie fino all’operatività delle autorità di Ambito Territoriale Ottimale (ATO) e, quindi, agli stessi comuni. In quest’ottica la programmazione, quale strumento cardine nel coordinamento tra singoli livelli di governo coinvolti, dovrebbe mirare a porre in essere una strategia di definizione di impianti e quantità, coerente con i fabbisogni e le criticità presenti nei vari territori. L’impiego di strumenti di tipo regolativo, che vertono attorno all’operato di una o più Autorità pubbliche, presuppone una “cultura della pianificazione” che, solo se adeguata, cioè caratterizzata da scelte ponderate e negoziate, è in grado di prevenire criticità e innestare circoli virtuosi. Le complesse problematiche riguardanti il settore dei rifiuti richiedono l’impegno di una serie di soggetti per la realizzazione del sistema compiuto e sinergico cui fa riferimento anche l’articolo 177 del TUA. In primis, il D.lgs. 205/2010, attraverso un parziale ritorno all’esercizio del potere regolamentare, attribuisce allo Stato la funzione di individuare “flussi omogenei di produzione di rifiuti” con più elevato impatto ambientale , che presentano maggiori difficoltà di smaltimento o possibilità di recupero, sia per le sostanze impiegate nei prodotti base, sia per la quantità complessiva di rifiuti medesimi. Al Ministero dell’Ambiente spetta, dunque, un ruolo di coordinamento e indirizzo del sistema attraverso la definizione di principi generali e obiettivi e l’individuazione delle metodologie per la gestione integrata del ciclo dei rifiuti. Con l’attribuzione, agli organi centrali, del potere di emanare “linee guida” che incidono direttamente sulle più importanti attività di gestione dei rifiuti, il Decreto 205/10 ha, di fatto, ristretto l’ambito di operatività delle Regioni, con particolare riferimento a tutte le attività autorizzatorie legate all’apertura di nuovi impianti, all’auto-smaltimento e alle operazioni di recupero.
Salvo le ipotesi di intervento diretto da parte dello Stato, resta fermo il ruolo centrale delle Regioni nel pianificare le attività di gestione dei rifiuti, in particolare del ciclo dei rifiuti speciali. Il T.A.R. Lazio, con la sentenza 121/2013 ha evidenziato che, tra i principi cadine della normativa comunitaria sui rifiuti, c’è proprio la programmazione. Si tratta di un’attività che comporta scelte di grande rilevanza sociale e politica che devono essere assunte, previa VAS (Valutazione Ambientale Strategica), assicurando un’adeguata partecipazione e pubblicità ai procedimenti. Con il Piano Regionale, obbligatorio per il diritto dell’UE e disciplinato nei suoi aspetti generali dall’articolo 199, alla luce di un “programma di prevenzione della produzione dei rifiuti”, dovrebbero, in primis, essere compiute valutazioni su come tale strumento contribuisca ad attuare le disposizioni in tema di rifiuti. In esso devono essere indicati i criteri per l’individuazione successiva, da parte delle Province, delle aree idonee o meno alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento. In applicazione dei principi di autosufficienza e prossimità, il Piano, da un lato, deve assicurare che smaltimento e recupero dei rifiuti speciali avvengano, per quanto possibile, riducendone il movimento, dunque in luoghi prossimi a quello di produzione; dall’altro può limitare la libera circolazione dei rifiuti speciali in entrata, cioè provenienti da altre Regioni e in uscita, cioè destinati ad essere trattati in altre Regioni, quando sussistono adeguate motivazioni legate alla natura dei materiali da smaltire, oppure alle caratteristiche degli impianti. Proprio in relazione all’importanza attribuita al Piano, si giustifica l’attribuzione al Ministero dell’Ambiente della facoltà di esercitare un potere sostitutivo nei confronti delle Regioni che non provvedono all’emanazione del Piano stesso. Certo è che, al fine di garantire il funzionamento del sistema multilivello previsto, sarebbe auspicabile l’ampliamento di questo potere, con l’introduzione di una clausola che permetta al Ministero dell’Ambiente di sostituirsi alla Regione non solo nell’ipotesi di mancata emanazione formale del piano, ma anche e soprattutto, nel caso di mancata attuazione di un Piano formalmente emanato. Oltre al potere di pianificazione, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell’articolo 3-quinquies del D.lgs. 152/06, possono adottare “forme di tutela giuridica dell’ambiente più restrittive”. Si tratta, a ben vedere, dell’attribuzione di un vero e proprio potere normativo dai confini non definiti ed esercitabile qualora lo richiedano situazioni particolari del loro territorio, purché ciò non comporti un’arbitraria discriminazione, anche attraverso ingiustificati aggravi procedimentali. Tale potere trova i propri limiti nell’impossibilità per la Regione di dettare discipline ambientali peculiari per il proprio territorio, oppure che esulino dai criteri di bilanciamento degli interessi indicati dalle norme statali.
Anche le Province, in una diversa prospettiva, svolgono un ruolo rilevante in riferimento all’attività di gestione e smaltimento dei rifiuti speciali. Esse individuano le aree idonee allo stanziamento di nuovi impianti e hanno anche l’onere di verificare la sussistenza dei requisiti previsti per lo svolgimento delle procedure semplificate. L’attività, da esse, prevalentemente svolta è legata al controllo periodico di tutte le attività di gestione, intermediazione e commercio di rifiuti svolte sul proprio territorio, oltre che all’accertamento delle violazioni e alla irrogazione delle eventuali sanzioni amministrative. Per lo svolgimento delle analisi di contenuto tecnico le Province si avvalgono di organismi pubblici specializzati, le Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale (A.R.P.A.), alle quali sono attribuiti poteri di ispezione particolarmente penetranti rispetto agli impianti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale (ex art. 29-decies). Accompagnano e non sostituiscono i controlli svolti dalle Province, quelli effettuati dagli organi di polizia amministrativa e giudiziaria.
Nonostante, nell’ultimo decennio, siano stati adottati approcci differenziati, la solerte attività di formulazione dei piani e gli strumenti potenzialmente impiegabili, consentono di individuare strategie che permettono di affrontare i problemi legati al ciclo dei rifiuti solo in modo parziale.
La non sempre netta individuazione delle competenze divise tra i vari livelli di governo del territorio, aggrava le complesse problematiche di diritto ambientale connesse al settore dello smaltimento dei rifiuti speciali. Molte questioni discendono prevalentemente dalla difficoltà di coordinamento tra la disciplina multilivello settoriale e la più ampia disciplina della tutela ambientale che, come chiarito dalla Corte Costituzionale, con sentenza 373/2010, è di esclusiva competenza statale e, rispetto alla quale le Regioni possono, nel rispetto della normativa statale, solo stabilire livelli di tutela più elevati.
I conflitti legati al settore dello smaltimento dei rifiuti speciali forniscono misura di quanto sia necessaria un’implementazione, dal punto di vista sostanziale, dello strumento pianificatorio che garantisca l’assunzione di decisioni non solo tecnicamente all’altezza, ma anche politicamente fattibili.

Marta Maurino

Riferimenti essenziali
DIRETTIVA 2008/98/CE relativa ai rifiuti
D.lgs. 152/06, Testo Unico in materia Ambientale, come modificato dal D.lgs. 205/2010.
A. LIPPI, I conflitti territoriali nelle politiche dei rifiuti, Giappichelli, 2014

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