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Il nuovo silenzio-assenso nelle procedure di autorizzazione paesaggistico-territoriale. Una comparazione con Regno Unito, Francia e Germania.

La legge 7/8/15 n. 124, legge delega di riforma della pubblica amministrazione, introduce nella normativa urbanistica una novità rilevante, dal punto di vista d’impatto territoriale, contenuta nell’articolo 3. Questa novità, direttamente applicabile, si combina in generale con il lungo percorso di deregolamentazione dei titoli abilitativi all’attività edilizia e con il fallimento delle pianificazioni territoriali, spingendo la possibilità di procedere ad edificazione senza controllo amministrativo anche nel campo delle valutazioni paesaggistico-territoriali.
L’articolo 3 prevede infatti l’introduzione di un articolo 17-bis alla legge 241/90 sul procedimento amministrativo, in tema di silenzio-assenso tra amministrazioni pubbliche. Questo articolo stabilisce che ove per adottare un provvedimento normativo o amministrativo, si abbia necessità di un assenso, concerto o nulla osta comunque denominati, di competenza di una pubblica amministrazione, questa debba emettere gli stessi entro 30 giorni, oltre i quali, escluso un solo caso di deroga per esigenze istruttorie, tali atti di assenso si ritengono emanati per silenzio. Il precedente testo, che pure prevedeva in caso di inerzia dell’amministrazione competente, una possibilità di surroga da parte di altra amministrazione, faceva espressamente salve le valutazioni che dovevano essere prodotte da amministrazioni preposte alla tutela ambientale e paesaggistico-territoriale. In tal senso si riteneva che quel fine tradizionale dell’urbanistica, inteso come gestione dell’ordinato assetto dei suoli, venisse salvaguardato in maniera forte, impedendosi di costruire in maniera impattante sull’ambiente o il paesaggio senza un atto espresso dell’amministrazione preposta a tale valutazione. Tale atto era stato previsto dal cd Codice Urbani, D.Lgs. 42/04, che aveva inserito l’autorizzazione paesaggistica tra i presupposti dell’utilizzo di un qualsiasi titolo edilizio, e dunque l’aveva resa un limite alle facoltà dei privati proprietari, possessori o detentori d’immobili e aree di interesse paesaggistico. Questi infatti venivano privati della facoltà di costruire le aree, distruggere o introdurre modificazioni agli immobili, in maniera da recare pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto della protezione stessa. L’autorizzazione paesaggistica era generalmente competenza delle singole regioni in cui ricadeva il bene oggetto di domanda, le quali ricevuta apposita richiesta, dovevano necessariamente ottenere il parere vincolante del soprintendente competente, potendo in caso di silenzio protratto per oltre 45 giorni, indire al più una conferenza dei servizi.
Già nel 2010 la lentezza del procedimento aveva indotto ad introdurre una domanda semplificata, di autorizzazione, che si limitava invero a replicare l’iter ordinario con termini più stringenti, senza ulteriori semplificazioni, e solo per interventi di minore impatto.
Col Dl. 83/14 viene eliminata la facoltà di indire la conferenza dei servizi in caso di silenzio della soprintendenza oltre i termini fissati, surrogandosi completamente l’amministrazione procedente, che dunque potrà emettere l’autorizzazione anche senza parere della soprintendenza.
La situazione preesistente alla riforma in oggetto, sottolinea come tale settore si considerava particolarmente delicato, non essendosi mai inserite vere e proprie forme di silenzio-assenso, ma essendo al massimo arrivati a poter considerare non indispensabile il parere della soprintendenza, in quanto sostituibile da una scelta dell’amministrazione regionale o delegata.
Questa tutela forte del settore paesaggistico-ambientale, con la riforma 2015 è stata cancellata, trovandosi ora equiparato a tutti gli altri settori amministrativi, tranne che per il tempo di decorrenza del silenzio-assenso. Infatti anche in caso di necessità di una autorizzazione paesaggistica, come conditio sine qua non per avvalersi di uno dei titoli abilitativi all’edilizia, questa può essere richiesta dal privato all’ente territoriale competente, e considerarsi assentita dalla soprintendenza in caso di mancata risposta entro 90 giorni.
Si assiste dunque ad un alleggerimento progressivo dei controlli amministrativi sulle attività edilizie private, che passa sì attraverso l’estensione di strumenti autorizzativi con controlli e responsabilità delegati ai privati stessi, come le varie Segnalazioni o Denunce di Inizio Attività, ma anche attraverso l’estensione di un meccanismo di assenso che, in amministrazioni spesso inefficienti e bloccate, si trasforma velocemente in un permesso generalizzato e incontrollabile, anche in ambiti di particolare delicatezza.
Ci si può chiedere se tale alleggerimento dei controlli amministrativi sia comune ad altri ordinamenti, oppure sia una peculiarità italiana.
Il sistema inglese si basa, in generale, su un meccanismo più funzionante di gerarchia di pianificazione e di accountability delle singole amministrazioni e dei privati esecutori dei lavori. Il sistema italiano è infatti caratterizzato, in ultima analisi, da un fallimento sostanziale della vecchia politica di piani regolatori, aprendo in tal modo alla necessità di una valutazione caso per caso di entità amministrative preposte a tutelare singoli beni giuridici, come le sovrintendenze per il paesaggio. Il sistema inglese invece è riuscito a mantenere una capacità di pianificazione generale per aree omogenee particolarmente stringente, e di indubbia funzionalità. Nel 2012 il National Planning Policy Framework, riesce a condensare questo governo accentrato del territorio in un unico documento di definizione di competenze di pianificazione, tra amministrazione centrale e singole città, e di classificazione delle aree. Questo documento riprende perfettamente l’impostazione tipica del Regno Unito, che non prevede specifiche autorizzazioni di tipo paesaggistico o ambientale, e che subordina, come definisce il regolamento 2214/2010 sulle costruzioni, la nuova edificazione alla presentazione, in larga parte dei casi, di uno strumento simile alla nostra SCIA, il building notice. In caso di necessaria autorizzazione preventiva, la planning permission, richiesta per i casi elencati come autorizzabili dal Town and Country Planning Order (General Permitted Development) 2015, l’organo competente a decidere è esclusivamente uno, la Local Authority Planning, che ha il compito di verificare la rispondenza del progetto all’intera normativa applicabile. In caso di mancata risposta entro otto settimane, o tredici per progetti di particolare complessità, il proponente può fare ricorso al Segretario di Stato competente per ottenere una decisione sulla domanda. Dunque da un lato non risulta esistere un meccanismo di silenzio-assenso tra privato e pubblico. Dall’altro non risulta esistere neanche un meccanismo di silenzio-assenso tra pubbliche amministrazioni, data la concentrazione di funzioni all’interno di una sola autorità e conseguente unicità del permesso, al contrario del nostro dualismo tra permesso di costruire e autorizzazione paesaggistica, e dato il funzionante meccanismo di pianificazione generale, che di fatto sposta la decisione sull’impatto ambientale di una data lavorazione edilizia direttamente al momento della pianificazione generale.
Diverso è il caso del sistema francese. Questo mantiene un livello di pianificazione piuttosto pervasivo e funzionante, amministrato direttamente dalle Dispositions impèratives du règlement national d’urbanisme. A sua volta si accompagnano a questa normazione generale appositi regolamenti particolari, tra i quali spiccano, per il nostro interesse, le Directives de protection et de mise en valeur des paysages.
Ai livelli amministrativi inferiori esistono dei sistemi di pianificazione ulteriori, come lo Schèma directeur d’amènagement et d’urbanisme nonché i piani comunali quali i Plans local d’urbanisme.
Chi volesse costruire sarebbe tenuto, per ottenere il titolo abilitativo, a rispettare invece il Code de L’urbanisme, articoli 421 e ss., e a presentare, a seconda del tipo di lavoro proposto, una Demande de permis de construire, o una Demande de dèclaration prèalable, dove la seconda assomiglia concettualmente alla nostra vecchia DIA. Da notare che la semplice dichiarazione di lavori non è presentabile in ogni caso in cui l’attività edilizia, qualunque essa sia, ricada in una zona particolare, così classificata dalle pianificazioni locali o superiori, ad esempio un’area che sia Secteur sauvegardè, Site classè, Rèserve naturelle, etc.
in caso di Demande de permis, sono previsti dei termini perentori entro i quali l’autorità competente deve rispondere alla domanda. Da notare che in questo caso, al contrario del caso inglese, l’autorità competente non è esclusivamente una, bensì si assiste ad un potenziale moltiplicazione di decisioni di autorità diverse, che concorrono tutte a formare il singolo permesso. L’autorità competente è infatti il Comune in cui ricadono i lavori, ma se tale area rientra anche in una delle zone sottoposte a particolare protezione paesaggistico-ambientale, o riguarda un edificio storico o sito nel raggio di mezzo chilometro da edifici storici, il comune dovrà ottenere anche l’assenso dell’ Architectes des batiments de France, presente in ogni prèfecture. La procedura davanti tale organo è complessa, ed è sottoposta a dei termini che malgrado tutto non si considerano però perentori. Peraltro in caso di dissidio tra le valutazioni del Comune, degli architetti della prefettura o del privato, la questione viene rinviata ad una Commission Règionale du Patrimoine et des Sites, che può intervenire in sostituzione. In qualsiasi caso l’intera procedura deve concludersi entro quattro mesi dalla richiesta del privato, eccetto casi di particolare necessità istruttoria. In caso di scadenza dei termini senza una decisione finale, il Comune si considera approvare la domanda per silenzio-assenso. Anche in caso di pendenza della decisione presso altri organi diversi dal Comune, lo stesso sarà tenuto a subire la scadenza dei termini complessivi come sufficiente ad approvare tacitamente la domanda.
Con il modello tedesco torniamo ci riavviciniamo al modello inglese, in cui si sostituisce la semplicità della struttura amministrativa con una concentrazione procedurale.
Troviamo infatti un pluralismo legislativo e pianificatorio particolarmente complesso, proprio di uno stato federale, e basato su una legislazione centrale, tendenzialmente racchiusa del Munsterbauordnung, il Codice modello di edilizia, e su le varie legislazioni integrative dei singoli Lander, le Landesbauordnung, competenti anche per le pianificazioni d’area vasta, divise per settori, quali la Landesentwicklungsplan, Landesraumordnungsprogramm, e altre. Al di sotto si trovano le pianificazioni regionali, come i Regionalplan e i Gebietsentwicklungsplan, e dunque i piani locali, come i Flachennutzungplan e i Bebauungsplan. Nelle legislazioni dei singoli Lander, e nelle pianificazioni conseguenti, vi sono previsioni anche esplicitamente finalizzate alla tutela ambientale o paesaggistica, generalmente ricondotta a specifiche aree, Baugebiete, ed assegnate in pianificazione e tutela a specifiche amministrazioni pubbliche. Le procedure per l’assegnazione di un permesso di costruire sono invece disciplinate sia dalla legislazione settoriale di pianificazione che dalla legge generale sulle procedure amministrative, la Verwaltungsverfahrensgesetz. Questa molteplicità di normative e di amministrazioni deputate a decidere sulla tutela di singoli beni giuridici, sono però portate ad unità dalla sezione II, articolo 72 e ss., della stessa legge generale sui procedimenti amministrativi. Questa infatti prevede che il privato sia tenuto a dare comunicazione della domanda e del progetto annesso, all’autorità competente per tipologia e zona, e che questa sia tenuta a richiedere i pareri di tutte le altre autorità in qualche modo toccate dalla domanda. Tutte la amministrazioni devono emettere il parere entro il termine fissato dall’amministrazione procedente, che non può eccedere comunque i tre mesi. In carenza di parere emesso entro la scadenza si considererà non più emettibile, salvo che la questione sollevata verta su un punto che l’autorità procedente avrebbe già dovuto conoscere, o su un punto che tocchi la stessa legalità della decisione.
Conclusa la parte di raccolta di pareri si dovrà convocare un tavolo unificato di tutte le autorità coinvolte, compresi i privati eventualmente obiettanti, in cui si discuteranno i singoli pareri. La fase di discussione non potrà superare il termine di tre mesi decorrente dalla fine della fase precedente. In caso in cui però tali termini non siano rispettati, non esiste alcuna previsione a normare la situazione, dovendosi ritenere, essenzialmente, che tale termine alla discussione sia solo ordinatorio. In qualsiasi caso non esiste nessun meccanismo di silenzio-assenso, non solo tra privati e pubblico, ma anche tra amministrazioni pubbliche: infatti gli interventi di amministrazioni diverse dalla procedente si qualificano solo come pareri non necessari, e in caso di scadenza dei termini tali pareri si considerano solo come non espressi, e non favorevoli. Solo in caso di approvazione esplicita e finale dell’amministrazione procedente, la stessa approvazione si considera comprensiva di qualsiasi altro permesso o autorizzazione.
Possiamo così, grazie alla comparazione, notare come il silenzio-assenso sia generalmente considerato un particolare meccanismo di garanzia procedurale, sostituibile con altri, che si ammette essenzialmente nei sistemi ad alta complessità legislativa , pianificatoria e procedurale. In questi sistemi però si compensa il contenuto potenzialmente lesivo di tale meccanismo con, appunto, pianificazioni generali funzionanti.
In Italia invece ad un fallimento del sistema di pianificazione generale, parzialmente compensato da un controllo amministrativo pervasivo e vincolante su vari aspetti dell’impatto territoriale dell’edilizia, si sta aggiungendo una limitazione sempre più estesa anche di tale controllo. In sostanza si ha come fine quello di superare le inefficienze delle amministrazioni, considerate una zavorra allo sviluppo economico e sociale della nazione, tramite un alleggerimento delle loro competenze, attuato anche con tagliole temporali date dal meccanismo del silenzio-assenso. Ma se consideriamo che il sistema di pianificazione generale, dopo esser fallito, non è mai stato sostituito da nulla di credibile, si corre il rischio di rinunciare non solo a pianificazioni e controlli generalizzati, ma anche a valutazioni e controlli puntuali sul caso concreto.
Ci si può dunque solo augurare che il legislatore stia scommettendo bene, e che le amministrazioni, per non restare completamente passive dinnanzi a trasformazioni sempre più invasive dei territori, inizino a migliorare la propria efficienza, riuscendo a lavorare entro i termini brevi previsti dalle nuove leggi.

Federico Spanicciati

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