Lab-IP

Il primato della sicurezza francese sull’integrazione europea, dietro la maschera della cooperazione transfrontaliera. Il “caso Bardonecchia”

Christian Curzola

 

 

12 aprile 2018

 

 

Da poco più di un paio di settimane, è in corso un vero e proprio caso diplomatico tra Francia e Italia, provocato dall’improvvisa irruzione di alcuni ufficiali della polizia doganale transalpina, presso i locali di un presidio sanitario per migranti sito nella stazione ferroviaria di Bardonecchia (in provincia di Torino) e gestito da una ong italiana. Volendo ricostruire brevemente l’antefatto della vicenda, si può affermare che alcuni “doganieri” francesi abbiano intercettato un migrante nigeriano,sospettato di «trasportare droga in corpo», che viaggiava su un treno in transito da Modane (Francia) a Bardonecchia. Giunti a destinazione, gli ufficiali transalpini hanno anzitutto proceduto al fermo del sospettato e, successivamente, disposto il prelievo di materiale biologico. A tal proposito, il soggetto è stato accompagnato dagli ufficiali presso alcuni locali della stazione, precedentemente a disposizione della polizia doganale francese, ma attualmente offerti in concessione alla ong di cui sopra. Ciononostante i “doganieri” hanno optato per l’esecuzione del suindicato prelievo, tra lo sgomento e lo stupore del personale medico. Al di là del prevedibile clamore mediatico e delle vibranti proteste promananti dal mondo politico, la vicenda in esame sembrerebbe offrire alcuni spunti di riflessione, che si tenterà di sintetizzare come segue. È di tutta evidenza la circostanza che i deludenti risultati conseguiti dalle politiche europee in materia di immigrazione, unitamente al recente susseguirsi di gravi attentati commessi da cittadini extracomunitari sul territorio dell’Unione, sembrerebbero non solo aver messo a dura prova il processo di integrazione europea, ma anche determinato una “dilatazione” del concetto di sicurezza nazionale, quale “misura compensativa” delle manchevolezze comunitarie. Basti pensare, ad esempio, al progressivo “ritorno” delle frontiere interne, propugnato soprattutto da taluni Paesi dell’est europeo. Tuttavia, l’aspetto della vicenda che più colpisce, non consiste tanto nella circostanza che una simile dilatazione abbia verosimilmente dato luogo ad una lesione della sovranità territoriale (italiana), quanto piuttosto che essa sia stata legittimata dalle autorità francesi alla luce degli Accordi di Schengen che, come è noto, rappresentano il principale fondamento giuridico del processo di integrazione europea. In tal senso, il ministro francese dei Conti pubblici (titolare del dicastero cui fa capo la polizia doganale) ha contestualizzato l’accaduto nella cornice normativa della cooperazione transfrontaliera tra Stati membri, di cui agli articoli 40 e 41 degli Accordi di Schengen, negando dunque la sussistenza di qualsivoglia azione illecita commessa dai “doganieri”. Tuttavia, anche sulla scorta di una sommaria ricognizione del dato normativo offerto dalle disposizioni citate, è possibile evincere in primis che le amministrazioni competenti possano predisporre pattugliamenti o operazioni congiunte sui rispettivi territori, purché «gli agenti dello Stato di invio siano soggetti alle istruzioni dell’Autorità competente dello Stato di destinazione». In secundis, nel caso in cui gli agenti debbano eseguire un urgente “inseguimento transfrontaliero” di un sospettato colto in flagranza di reato, l’articolo 41 degli Accordi di Schengen sancisce che essi godano della facoltà di continuarlo senza la preventiva autorizzazione delle forze di polizia locali: tuttavia, ogniqualvolta gli “inseguitori” abbiano provveduto al fermo del sospettato, debbono tempestivamente darne notizia alle forze di polizia locali, in quanto unici soggetti legittimati a procedere al definitivo arresto del presunto malfattore, nonché all’eventuale prelievo di materiale biologico. In tertiis, il 5 paragrafo della norma poc’anzi citata vieta perentoriamente agli agenti di polizia esteri «l’ingresso nei domicili e nei luoghi non accessibili al pubblico», come quelli del presidio sanitario gestito dalla ong. Alla luce di quanto finora esposto, si impongono una considerazione ed un quesito. La vicenda di Bardonecchia potrebbe definirsi come un caso di “mancata cooperazione tra forze di polizia”, nell’ambito del quale gli interessi sottesi alla pubblica sicurezza francese hanno prevalso sull’ordine pubblico italiano, nonché sui diritti del sospettato nigeriano. Ove impiegato conformemente agli Accordi di Schengen, nonché alle ulteriori fonti normative europee in materia, lo strumento della cooperazione transfrontaliera potrebbe potenzialmente rappresentare una valida soluzione per tutelare l’incolumità di tutti i consociati dell’Unione, nonché il fertile humussu cui fondare la costruzione dell’auspicato “spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia”. Tuttavia, anche alla luce della condotta tenuta dalle autorità transalpine nel caso di specie, viene da chiedersi se gli Stati membri abbiano o meno intenzione di intraprendere con decisione il sentiero dell’integrazione europea anche in materia di sicurezza comune, tenendo bene in mente che pacta sunt servandaed evitando la prospettiva di un poco rassicurante fiat iustitia et pereat mundus.

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