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IL TAR PUGLIA CHIAMA, LA CORTE DI GIUSTIZIA RISPONDE: LA DIRETTIVA BOLKESTEIN DEVE ESSERE APPLICATA

08/05/2023

A cura di Andrea Nardone

Con la recente decisione resa il 20 aprile 2023 nella causa C-348/22, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sezione Terza, è tornata a pronunciarsi, dopo quasi sette anni dalla sentenza Promoimpresa-Melis (cause riunite C-458/14 e C-67/15), sulla delicata materia delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo.

La pronuncia trae le mosse dal rinvio pregiudiziale operato ai sensi dell’art. 267 TFUE con l’ordinanza 11 maggio 2022, n. 743 del T.A.R. Puglia. Con quell’ordinanza i giudici pugliesi, condensando in nove quesiti un orientamento ben consolidato presso il loro consesso amministrativo, avevano demandato ai giudici di Lussemburgo il vaglio sulla conformità del quadro normativo italiano dispositivo di proroghe in materia di concessioni balneari con riferimento all’art. 49 TFUE e all’art. 12 della direttiva 2006/123/CE. In più di un’occasione, in effetti, il T.A.R. Puglia si è erto a vero e proprio avamposto rispetto alla prepotente avanzata dei principi di selezione dettati dalla “terribile direttiva”, giungendo finanche ad auspicare una radicale caducazione della Bolkestein in quanto, secondo la prospettazione di quei giudici, essa sarebbe stata adottata in difetto di una base giuridica adeguata.

Anche su questo punto la Corte di Giustizia ha fornito una risposta, ma conviene procedere con ordine. Nella sentenza in esame, infatti, i giudici di Lussemburgo cominciano dall’affermare che la direttiva 2006/123/CE, con gli artt. 9-13, ha proceduto a un’armonizzazione esaustiva concernente i servizi rientranti nel suo campo di applicazione, sicché è l’art. 12, rubricato “Selezione tra diversi candidati”, a dover essere eletto a parametro.

Il primo principio affermato è quello secondo il quale l’articolo 12, parr. 1-2, della direttiva 2006/123/CE deve essere interpretato nel senso che «esso non si applica unicamente alle concessioni di occupazione del demanio marittimo che presentano un interesse transfrontaliero certo». Ne discende, pertanto, che una procedura di selezione deve svolgersi «a prescindere» dalla vocazione transfrontaliera dell’affidamento, e dunque anche quando quest’ultimo presenti un interesse integralmente contenuto all’interno dei confini di un singolo Stato membro; quello delle situazioni meramente interne, peraltro, è un vero e proprio topos nella letteratura del diritto dell’Unione europea, dato l’effetto paradossale, in termini di parità di trattamento, che rischia di derivare dalla tutela in via esclusiva soltanto delle situazioni che abbiano un elemento di transnazionalità. Ad ogni modo, sul punto la Corte di Giustizia non ha aggiunto nulla di nuovo rispetto a quanto già aveva affermato nel 2018 nella sentenza Visser (cause riunite C-360/15 e C-31/16), nella quale si legge che le disposizioni del capo III della direttiva 2006/123 «devono essere interpretate nel senso che si applicano anche a una situazione i cui elementi rilevanti si collocano tutti all’interno di un solo Stato membro».

Decisamente innovativo, invece, è il secondo principio dichiarato dalla Corte di Giustizia, secondo cui l’art. 12, par. 1, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che «esso non osta a che la scarsità delle risorse naturali e delle concessioni disponibili sia valutata combinando un approccio generale e astratto, a livello nazionale, e un approccio caso per caso, basato su un’analisi del territorio costiero del comune in questione». Tale affermazione rappresenta un’importante precisazione rispetto a quanto espresso al paragrafo 43 della sentenza Promoimpresa-Melis del 2016, in cui l’accertamento del requisito della scarsità era stato demandato al giudice nazionale sulla base del presupposto che il rilascio delle concessioni demaniali avviene su base comunale, e non nazionale.

In realtà, la valutazione della scarsità delle risorse, in quel caso, era stata demandata al giudice nazionale dal momento che ci si trovava già in una fase patologica della procedura di affidamento, essendo stato incardinato un contenzioso. Nella fisiologia delle cose, invero, avrebbe dovuto essere la pubblica amministrazione – nella fattispecie l’ente comunale – ad accertare la natura scarsa o meno delle risorse da concedere.

Con l’affermazione contenuta nella sentenza oggetto della nostra attenzione, invece, si registra un’importante apertura nel senso di ammettere che sia lo Stato, una volta per tutte, ad effettuare la valutazione sulla scarsità delle risorse, mediante la determinazione di criteri «obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati». L’individuazione di siffatti criteri dovrebbe avvenire con i decreti legislativi da adottare in forza della delega contenuta nella Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 (legge 5 agosto 2022, n. 118).

Con il suo terzo enunciato, poi, la Corte di Giustizia ha definitivamente posto una pietra sopra alla censura relativa all’invalidità della direttiva Bolkestein, basata sul fatto che la stessa sarebbe stata adottata in difetto di una base giuridica appropriata. La direttiva 2006/123/CE, infatti, è stata correttamente adottata a maggioranza qualificata, e non all’unanimità, dal momento che gli artt. 47 e 55 TCE in materia di funzionamento del mercato interno rappresentavano la base giuridica conferente, derogando in virtù del criterio di specialità all’art. 94 TCE, relativo al ravvicinamento delle disposizioni degli Stati membri. La Corte di Giustizia, così, ha messoa tacere quell’orientamento secondo cui la direttiva Bolkestein avrebbe recato una surrettizia armonizzazione nel mercato interno, pur qualificandosi, dichiaratamente, come direttiva di liberalizzazione.

Il quarto principio affermato dalla Corte di Giustizia attiene alla natura self-executing della direttiva 2006/123/CE. Secondo i giudici di Lussemburgo, infatti, l’art. 12, parr. 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE deve essere interpretato nel senso che «l’obbligo, per gli Stati membri, di applicare una procedura di selezione imparziale e trasparente tra i candidati potenziali, nonché il divieto di rinnovare automaticamente un’autorizzazione rilasciata per una determinata attività sono enunciati in modo incondizionato e sufficientemente preciso da poter essere considerati disposizioni produttive di effetti diretti». Da ciò deriva l’idoneità delle disposizioni euro-unitarie ad essere applicate in vece delle disposizioni nazionali contrastanti, quale sanzione per il mancato adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza del nostro Stato all’Unione europea (c.d. estoppel).

Eppure, non si deve trascurare che una disposizione prescrivente l’obbligo di una procedura di selezione imparziale, nell’ordinamento nazionale, esiste: si tratta dell’art. 16 del d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, di recepimento della direttiva Bolkestein. Non sembra indispensabile, perciò, “passare” a tutti i costi per il tramite dell’applicazione forzosa dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE al fine di affermare la necessità dell’espletamento di una procedura di gara per l’affidamento dei lidi.  

Da ultimo, con il suo quinto principio, la Corte di Giustizia, sulla scia di quanto già deciso nella sentenza Fratelli Costanzo del 1989 (causa C-103/88), ha ribadito ancora una volta che l’obbligo di disapplicare la legislazione interna anticomunitaria incombe non solo in capo all’autorità giudiziaria ma anche, in prima battuta, sulle pubbliche amministrazioni, ivi comprese le autorità comunali.

I giudici di Lussemburgo, invece, hanno rifiutato di pronunciarsi in merito alla questione pregiudiziale – la nona – attinente alla compatibilità dell’art. 12, parr. 1 e 2, della direttiva Bolkestein con l’art. 49 del Codice della navigazione. Tale ultima disposizione riguarda il c.d. effetto devolutivo, al termine del periodo concessorio, delle opere inamovibili realizzate sul demanio, senza che venga corrisposto alcun compenso o rimborso. Si tratta di una previsione di importanza nevralgica per la concorrenzialità del settore, dato che l’automatico incameramento delle opere inamovibili rischia di produrre effetti anti-competitivi, nella misura in cui la prospettiva di perdere tutti gli investimenti effettuati può rendere meno appetibile la partecipazione alle gare. La questione è stata ritenuta irricevibile, perché non rilevante ai fini della decisione; tuttavia, con ogni probabilità, sull’argomento la Corte di Giustizia sarà chiamata a tornare quando si pronuncerà in merito all’ordinanza 5 settembre 2022, n. 8010, della Sezione VII del Consiglio di Stato. Per tale ragione, chi scrive ha ragione di credere che il lavoro della Corte di Giustizia non possa ancora dirsi terminato.

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