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INVESTIMENTI ESTERI DIRETTI: POSSIBILE RIFORMA?

20/03/2024

A cura di Gian Marco Ferrarini

In conseguenza delle crescenti tensioni geopolitiche che hanno attraversato il continente europeo e alla luce delle profonde innovazioni tecnologiche, la Commissione europea ha ritenuto opportuno individuare, attraverso la presentazione di una proposta di regolamento, un nuovo complesso di disposizioni volto a modificare l’attuale regolamento europeo sugli investimenti esteri diretti (Reg. 2019/452).

Le principali novità riguardano, anzitutto, obblighi base di screening imposti agli Stati Membri. Essi devono sottoporre ad autorizzazione gli investimenti esteri in riferimento alle società target: 1) che siano parte di un programma o di un progetto di interesse dell’Unione, anche come eventuali destinatari di fondi appositamente stanziati nel QFP (Quadro Finanziario Pluriennale) e indicati, oggi, nell’Allegato I alla proposta di regolamento; 2) che operino in settori di particolare rilevanza per gli interessi dell’Unione Europea (quali, ad esempio, tecnologie spaziali, intelligenza artificiale, energia etc.).

Per l’ordinamento italiano si tratterebbe di un rilevante cambiamento in termini di disciplina, giacché, ad ora, la normativa Golden Power, nell’ambito degli obblighi di notifica, non prevede espressamente la circostanza di cui al punto 1) né considera di interesse strategico, e perciò meritevoli di tutela, alcune delle attività espressamente indicate nell’Allegato II alla proposta (si pensi, per esempio, alle tecnologie relative al fotovoltaico, o agli esoscheletri). Gli obblighi appena delineati appartengono ad un sistema di screening preventivo che grava sui singoli Stati Membri e che li onera anche di seguire uno schema ben preciso: in caso di veto o di imposizioni di condizioni, l’investitore deve essere informato prima dell’adozione del rigetto e devono essere raccolti eventuali commenti al fine di fornire adeguata motivazione nella decisione finale (art. 4 par.2, lett (g) Proposta di regolamento). 

A quanto detto, si affianca, poi, la previsione di un potere di intervento, in capo agli Stati Membri, successivo al completamento delle operazioni, quando le stesse non siano soggette ad alcun obbligo di notifica. Qualora, infatti, si abbia timore di ritenere che l’operazione possa pregiudicare interessi nell’ambito della sicurezza e dell’ordine pubblico, ogni ordinamento dell’Ue deve prevedere l’attribuzione, alle rispettive autorità nazionali di controllo, del potere di avviare una revisione ex post per un termine non inferiore a 15 mesi dal completamento dell’operazione. La Proposta, tuttavia, non prevede un termine massimo per l’esercizio di tale potere (altrimenti noto come “potere di call in”), che è, al contrario, rimesso alla discrezionalità di ciascun Paese.

Inoltre, quest’ultima innovazione non costituisce una vera e propria novità nell’assetto ordinamentale degli Stati europei, poiché alcuni tra essi disciplinano già il “potere di call in”. A tal proposito, la caratteristica, che si riscontra nelle rispettive normative nazionali, è rappresentata dalla possibilità di “notifica volontaria”, meccanismo che consente di sollecitare una clearence prima che l’operazione sia eseguita. La nuova bozza di regolamento, però, non fa propria questa impostazione, lasciando piuttosto agli Stati completa discrezionalità sulla scelta di prevedere o meno la facoltà di notifica volontaria.

Ulteriormente, ai sensi dell’art. 9, la Proposta riconosce la possibilità di avviare ex post il meccanismo di coordinamento dell’Unione: nel caso in cui esso non sia stato prontamente attivato e si ritenga che l’operazione compiuta in altro Paese membro arrechi pregiudizio ad interessi ritenuti essenziali, la Commissione, o il Paese che ritiene di essere leso, ha almeno 15 mesi per avviare il procedimento unionale.

Un’ulteriore novità riguarda l’introduzione di un obbligo di coordinamento rivolto a tutti gli investitori. Nello specifico, in riferimento alle operazioni multi-paese, la Proposta impone una stretta collaborazione affinché le notifiche siano depositate tutte lo stesso giorno. In aggiunta a ciò, si prevede che ciascuna informativa dia conto delle notifiche trasmesse nelle altre giurisdizioni dell’Unione. Per quanto concerne gli Stati, si stabilisce anche nei loro confronti un meccanismo di armonizzazione: in particolare, essi sono tenuti a coordinarsi tanto sulla procedura quanto sulla decisione finale.

Alla luce di quanto detto, è certamente meritevole di nota il tentativo della Commissione di risolvere i problemi di coordinamento manifestatisi in passato. Tuttavia, questo nuovo iter presenta almeno due profili problematici: rischia, da un lato, di aggiungere ulteriori oneri a carico delle imprese, oltre a quelli che quotidianamente esse devono affrontare; rappresenta altresì una soluzione solo parziale, poiché non prevede disposizioni ad hoc volte ad allineare i diversi tempi di revisioni adottati da ciascun Paese.

Riguardo, invece, al meccanismo di coordinamento unionale, non possono non segnalarsi due rilevanti novità, introdotte dalla bozza di regolamento. In primo luogo, viene fissato un termine massimo entro il quale la Stato Membro è tenuto ad avviare il procedimento disciplinato dal meccanismo di coordinamento: invero, a seconda delle caratteristiche dell’operazione, il termine è rispettivamente di 15 o 60 giorni dalla notifica da parte dell’investitore. Tale previsione risponde all’esigenza di garantire agli investitori una maggiore prevedibilità rispetto ai tempi di autorizzazione. In secondo luogo, si circoscrive l’attivazione del meccanismo di coordinamento ad un limitato numero di casi, alcuni di essi espressamente individuati nell’articolo 5. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi di cui sopra, ossia della società target coinvolta in programmi o progetti di interesse europeo. La scelta della Commissione di ridurre tali situazioni ad un numerus clausus persegue l’obiettivo di scoraggiare le notifiche che assumono scarsa rilevanza e che potrebbero, altrimenti, pregiudicare gravemente il buon funzionamento del meccanismo.

Inoltre, si ritiene opportuno segnalare che la nuova bozza di regolamento, oltre a includere espressamente gli investimenti greenfield, troverebbe applicazione anche rispetto a investitori costituiti nell’Unione Europea, ma controllati da soggetti esteri (di tale tema ci siamo già occupati relativamente al caso ungherese “Xella”). In ogni caso, non è da escludere che la Proposta possa subire in futuro modifiche, persino radicali. L’iter normativo, invero, è solamente agli inizi: si deve ancora attendere l’esame del Parlamento Europeo e del Consiglio. Per di più, il procedimento di approvazione potrebbe subire ulteriori ritardi in conseguenza del fatto che la Commissione sta per scadere dal proprio mandato. Dal 6 al 9 giugno, milioni di cittadini europei saranno chiamati alle urne per eleggere i prossimi rappresentanti del Parlamento. I rapporti di forza e le nuove alleanze che emergeranno all’indomani delle elezioni europee e che determineranno la composizione della nuova Commissione, potrebbero, infatti, avere enormi ripercussioni sul contenuto e sul futuro stesso della bozza di regolamento.

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