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LA CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI E IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE: L’APPROCCIO MODERATO DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA

23 marzo 2020

Piergiorgio Vaccarini

Il principio di precauzione, come indicato dall’art. 178 del Testo Unico Ambientale (TUA), è uno tra i tanti principi che regolamentano l’attività delle amministrazioni in materia ambientale. È un principio atto da una parte a prevenire l’adozione di misure che possano in qualche modo nuocere all’ambiente e dall’altra a sopperire alle incertezze talvolta presentate della scienza, la quale sovente non riesce ad assicurare che l’adozione di una data misura sia del tutto priva di effetti negativi per l’ambiente. 

Fermo restando ciò, la presenza di una situazione di incertezza non consente mai alle amministrazioni, deputate ad adottare una decisione avente implicazioni ambientali, di rifiutarsi di ricorrere a qualsiasi misura, piuttosto dette amministrazioni saranno chiamate a scegliere la misura più cauta tra quelle a disposizione per il caso di specie, evitando, ogni volta in cui sarà possibile, di assumere misure in grado di recare danni all’ambiente.

Fatto questo breve ma doveroso cenno riguardo l’azione del principio di precauzione nella materia ambientale generalmente intesa, occorre valutare come lo stesso principio si approccia alla disciplina dei rifiuti e in particolare alla loro classificazione, settore questo piuttosto articolato data l’infinità di tipologie di rifiuti esistente, infinità che spesso rende l’attività di classificazione assai complessa, specie quando ci si trova a trattare rifiuti per i quali, non essendone nota la composizione, si teme a buon diritto che possano contenere degli elementi pericolosi al loro interno. Ad oggi, infatti, ogni rifiuto deve seguire un trattamento diverso a seconda della propria composizione, ciò in quanto ognuno di questi merita di essere trattato in modo da neutralizzare il più possibile l’azione degli elementi che contiene, onde evitare che gli stessi rechino danno all’ambiente; ragion per cui è auspicabile che il soggetto deputato al trattamento dei rifiuti non commetta l’errore di classificarli nel modo errato, in quanto ciò avrebbe l’effetto di destinarli ad un processo di lavorazione diverso da quello necessario, con la conseguenza che quest’ultimo, non essendo in grado di neutralizzare al meglio gli elementi inquinanti contenuti nei rifiuti, finirebbe per sprigionarli incontrollatamente nell’ambiente provocando a quest’ultimo dei danni irreversibili.

L’argomento oggetto di questa nota è stato affrontato nel mese di Marzo 2019 dalla Corte di Giustizia Europea, chiamata a pronunciarsi sulla base di un rinvio pregiudiziale proposto con ordinanza n. 37460 del 27 Luglio 2017, da parte della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione italiana; il rinvio verteva principalmente sulla classificazione dei rifiuti codificati con “voci a specchio” ovvero sia quei rifiuti identificati da una coppia di codici CER (Codice Europeo del Rifiuto), dove uno rappresenta un rifiuto pericoloso e uno un rifiuto non pericoloso. 

Il suddetto rinvio si componeva di quattro questioni pregiudiziali, attraverso le quali si chiesero, alla Corte di Giustizia Europea, delle delucidazioni in materia di ricerca delle sostanze pericolose all’interno dei rifiuti sopra citati, specialmente quando non sia nota la loro composizione, col fine di chiarire al produttore dei rifiuti come procedere nel classificare e nel trattare i sopracitati rifiuti nel modo corretto.

La Corte di Cassazione in particolare chiese se il produttore del rifiuto, prima di procedere al trattamento di questo debba o meno compiere, in osservanza della decisione 214/955/UE e del Regolamento Ue 1357/2014, una caratterizzazione del rifiuto e in caso di risposta positiva, con quale metodo. La Corte chiese, inoltre, se fosse sufficiente condurre tale caratterizzazione sulla base di criteri probabilistici, ipotizzando le sostanze che verosimilmente potrebbero essere presenti nel rifiuto, oppure se questa dovesse avvenire obbligatoriamente attraverso una verifica accurata degli elementi di cui il rifiuto si compone; infine chiese come si dovesse procedere alla classificazione di un rifiuto in caso di situazioni di incertezza inerenti alla possibile presenza di sostanze pericolose all’interno di quest’ultimo. In particolare, domandò se nei casi di incertezza, il rifiuto dovesse o meno essere classificato come “pericoloso” in applicazione del principio di precauzione.

In risposta ai quesiti posti, la Corte di Giustizia Europea osservò che i rifiuti identificati con “voci a specchio”, sono dei rifiuti la cui pericolosità è valutabile solo a seguito di specifiche analisi, in quanto questa non emergerebbe dalla sola scheda di sicurezza relativa ai componenti che appunto compongono il prodotto. Così, proprio alla luce di questa peculiarità, si specificò che, prima di classificare il rifiuto, il produttore è tenuto a svolgere, potendolo dimostrare, tutte le analisi volte a verificare la composizione analitica del rifiuto ed in particolare la presenza o meno di sostanze pericolose al suo interno, a questo punto qualora le analisi conseguite abbiano consentito di desumere correttamente la composizione del rifiuto e dunque di collocarlo nell’ una o nell’altra famiglia, non vi sarà questione alcuna; qualora invece, anche a seguito di queste dovesse permanere la situazione di incertezza classificatoria, in quanto non si è riusciti a valutare con sufficiente sicurezza la composizione del rifiuto, è bene applicare il principio di precauzione catalogando il rifiuto come “pericoloso”. 

La pronuncia citata definisce in qualche modo il principio di precauzione come un principio di “copertura”, il cui richiamo sarebbe consentito solo quando l’incertezza sulla composizione del rifiuto potrebbe minacciare l’ambiente. La Corte di Giustizia Europea fornisce inoltre l’interpretazione corretta della situazione di “incertezza” non riconoscendola come “mera”, bensì come “fondata”, la quale ricorrerebbe solo nel caso in cui a seguito di tutte le analisi svolte, non fosse ancora nota la composizione del rifiuto al punto da non consentirne la corretta classificazione e infine l’adeguato trattamento. 

In conclusione, alla luce di quanto detto, la Corte sembra avere un approccio moderato al principio di precauzione al fine di impedirne l’abuso. Infatti, laddove questo fosse attivato fuori dai casi che realmente lo necessitano, comporterebbe trattamenti complessi e costosi in assenza di una reale motivazione, peraltro in violazione dei principi di efficacia, efficienza ed economicità, posti alla base del settore della gestione dei rifiuti.

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