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LA COLLABORAZIONE COL MIBACT, NELLA REDAZIONE DEL PIANO PAESISTICO REGIONALE, È NECESSARIA?

Matteo Pietrosante

23 novembre 2020

Le regioni, nell’esercizio delle proprie funzioni connesse al governo del territorio, devono prevedere dei piani volti a tutelare il patrimonio paesaggistico e culturale del proprio territorio di competenza.

La legislazione della Regione Lazio prevede, come strumento idoneo a tal fine, il Piano Territoriale Paesistico Regionale (d’ora in poi indicato come PTPR).

Il PTPR, quindi, è lo strumento di pianificazione attraverso cui la Pubblica Amministrazione disciplina le modalità di governo del paesaggio, indicando le relative azioni volte alla conservazione, valorizzazione, al ripristino o alla creazione di paesaggi.

Il codice dei beni culturali prevede che, in ossequio a quanto stabilito anche dall’art. 117 della Costituzione, l’elaborazione dei piani paesaggistici avvenga congiuntamente tra Ministero e Regione.

Per comprendere al meglio il perimetro di applicazione di questa si ritiene opportuno ricostruire il caso di conflitto di attribuzioni, riguardante il MIBACT e la Regione Lazio, deciso lo scorso 22 ottobre dalla Corte costituzionale con sentenza n. 240.

Riassumendo brevemente il fatto, va evidenziato che il Consiglio della Regione Lazio aveva approvato la prima stesura del PTPR nel 2007, dopodiché il piano era stato oggetto, come da procedura, di osservazioni e controdeduzioni. Dopo un lavoro di integrazione e modifica, la Giunta regionale, nel 2018, approva il piano determinato con il MiBACT. Nel luglio 2019, sono stati presentati, in sede consiliare, 9 emendamenti che nei fatti eliminano i contenuti concordati tra Regione e Ministero e riporta il piano ai contenuti della prima stesura del 2007.

Ciò dà motivo al Governo italiano di impugnare l’atto regionale, così approvato, per conflitto di attribuzione. Nello specifico si lamenta lo svilimento della collaborazione, ritenuta obbligatoria, avuta con il MiBACT a seguito dell’approvazione degli emendamenti presentati in Consiglio.

La difesa statale stigmatizza il fatto che il Consiglio regionale, contraddicendo il percorso di condivisione svolto fino al 2016, abbia approvato unilateralmente un proprio PTPR, diverso da quello concordato col Ministero, oltre che notevolmente peggiorativo dei livelli della tutela rispetto ad esso, rinviando a un momento successivo l’adeguamento del piano d’intesa con lo Stato. In particolare, il ricorrente rileva il contrasto con la disciplina della pianificazione paesaggistica contenuta nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, che richiede che la fase di co-decisione con lo Stato si collochi a monte, e non a valle, del piano paesaggistico.

Una condotta difforme costituisce una violazione del punto di equilibrio dei poteri statali e regionali nella materia della tutela e valorizzazione del paesaggio, pertanto, non risulta rispondente a un fondamentale principio cui sarebbe ispirato l’intero sistema della tutela del paesaggio.

La ratio sottesa a tale previsione risiede nella necessità di evitare che il Piano territoriale regionale possa essere esposto a continue, anche radicali, rivisitazioni con il succedersi degli organi regionali. Esso, piuttosto, si deve caratterizzare per una dimensione temporale di stabilità e di lungo periodo, incompatibile con le unilaterali scelte dei soli Organi regionali, poiché esprime le scelte di fondo della pianificazione futura del territorio.

Nel caso di specie, proprio l’adozione di atti modificativi unilaterali, da parte della Regione Lazio, costituirebbe violazione del principio di leale collaborazione tra enti regionali ed organi statali.

Dal canto suo, la Regione Lazio sostiene che non esista, a livello normativo, un obbligo di co pianificazione in capo all’ente regionale nel caso di specie, poiché non si tratterebbe di un nuovo e inedito piano ma, invece, esso si costituirebbe, semplicemente, dall’unificazione dei 27 PTPR già adottati e approvati precedentemente. Non solo, anche qualora co-pianificazione sia ritenuta necessaria, si dovrebbe escludere che essa possa tradursi nel consenso da trovare su ogni singolo, minimo dettaglio di un piano di ampiezza pari a quello regolativo del paesaggio di un’intera regione, dovendosi piuttosto intendere in un senso più equilibrato, cioè come condivisione reciproca sull’impostazione, i caratteri, le linee generali e le finalità del Piano.

Di più, la difesa regionale sottolinea come, l’adozione della ricostruzione di competenze fatta dall’organo statale, comporterebbe lo svilimento e lo svuotamento delle funzioni politiche e amministrative del Consiglio Regionale.

La Corte costituzionale, con una pronuncia che potrebbe fare giurisprudenza, riconosce l’indubbio obbligo di coinvolgimento dell’ente statale in tutte le fasi del procedimento utile all’approvazione del PTPR. Viene, pertanto, escluso che il procedimento di approvazione del piano oggetto di conflitto di attribuzione potesse svolgersi senza il coinvolgimento del Ministero in applicazione di quanto previsto dal Codice del paesaggio.

Tale decisione prende le mosse dal principio per il quale la disciplina statale volta a proteggere l’ambiente e il paesaggio viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni. Essa richiede una strategia istituzionale ad ampio raggio, che si esplica in un’attività pianificatoria estesa sull’intero territorio nazionale affidata congiuntamente allo Stato e alle Regioni. In tale prospettiva è imposto l’obbligo di elaborazione congiunta del piano paesaggistico. Tale obbligo costituisce un principio inderogabile della legislazione statale, che è, a sua volta, un riflesso della necessaria impronta unitaria della pianificazione paesaggistica e mira a garantire, attraverso la partecipazione degli organi ministeriali ai procedimenti in materia, l’effettiva ed uniforme tutela dell’ambiente.

Pertanto, nel caso di specie, l’intervento della Regione, volto a modificare unilateralmente la disciplina di un’area protetta, costituisce violazione, non solo degli impegni in ipotesi assunti con il Ministero in sede procedimentale, ma soprattutto di quanto prescritto dal codice dei beni culturali e del paesaggio che, attraverso la partecipazione degli organi ministeriali ai procedimenti in materia, mira a garantire l’effettiva ed uniforme tutela dell’ambiente, affidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

La Corte, pertanto, accogliendo il ricorso del Governo, dichiara la sussistenza di una lesione della leale collaborazione imposta dalla Carta costituzionale e conseguentemente annulla la deliberazione consiliare di approvazione del PTPR.

Quanto affermato dalla corte non vanifica le competenze delle regioni e degli enti locali, ma è l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica che è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale: il paesaggio va, cioè, rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali.

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