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La detenzione amministrativa in Israele

di LAURA TROTTA

 

30/11/2017

La detenzione amministrativa è una procedura eccezionale attraverso la quale le autorità governative sono autorizzate a decidere sulla detenzione di persone ritenute pericolose prima ancora che esse siano state regolarmente sottoposte ad un processo, e senza che sia necessario fornire la prova delle accuse perpetrate nei loro confronti. Molti Stati, compresi i più democratici, hanno riconosciuto nella loro legislazione nazionale l’esistenza di situazioni straordinarie a seguito delle quali la decisione di detenere qualcuno spetta prevalentemente alle autorità amministrative.
Trattandosi come è chiaro di una sanzione straordinariamente forte che involve perfino la sospensione dei più basilari diritti civili nonché umani, è possibile ricorrervi solo ed esclusivamente in situazioni eccezionali e di emergenza. Numerose sono le Leggi Internazionali che si occupano specificamente di tale spinoso argomento, ed esse sanciscono in particolare chi può essere detenuto, per quanto tempo ma soprattutto a quali condizioni ciò può accadere. L’Articolo 78 della Convenzione di Ginevra del ‘49 stabilisce che: “if the Occupying Power considers it necessary, for imperative reasons of security, to take safety measures concerning protected persons, it may, at the most, subject them to assigned residence or to internment”. Ciò implica che si può ricorrere all’eccezionale misura dell’arresto senza processo solo attenendosi a condizioni ben precise. Anzitutto alla sua base vi devono essere reali ed imperative ragioni di sicurezza. Inoltre si tratta pur sempre della più severa tra le tante misure utilizzabili; di conseguenza vi si può dar seguito solo e soltanto qualora tutte le altre alternative meno gravose non sarebbero adeguate allo scopo. Una sorta di extrema ratio, per così dire. Pertanto il carattere eccezionale di codesto strumento dovrebbe essere sempre rispettato. Così come ad essere rispettata dovrebbe essere la sua natura di misura preventiva, e mai sanzionatoria.
Ciononostante, il gran numero di detenzioni amministrative concesse dallo Stato di Israele ai danni dei Palestinesi dall’inizio della prima Intifada fino ad oggi suggerisce che non tutte siano state eseguite per rispondere ad esigenze davvero eccezionali, imperative ed inevitabili. Situazione che ha portato gran parte del mondo a scagliarsi contro l’ Israele per presunta violazione del diritto internazionale, oltre che dei diritti umani. La frequenza del suo utilizzo ha subito numerose variazioni durante l’occupazione israeliana ed è aumentata costantemente in particolar modo a partire dall’inizio della seconda Intifada del settembre 2000, quando i detenuti “amministrativi” erano appena 12 palestinesi, al tardo 2002, quando il numero crebbe vertiginosamente a più di 1000, al 2005-2007, quando addirittura si aggirava intorno ai 765 detenuti di tale tipologia. Nel 2016 gli ordini di detenzione amministrativa (per la maggior parte solo di rinnovo di quelli emanati in precedenza) sono stati ben 729. Riguardo alla loro durata media, le statistiche pubblicate dall’organizzazione non-profit B’Tselem contenenti dati ad essa inviati da parte dell’esercito e delle stesse prigioni indicano che nel 2009 il 22% dei detenuti amministrativi è stato trattenuto per meno di sei mesi, il 37% da sei mesi ad un anno ed il 33% da un anno a due anni. Potrebbe quindi sembrare che in qualche modo ci sia stato e continui ad esserci un abuso di tale strumento eccezionale, ma pur senza entrare nel merito della questione non dobbiamo dimenticare che lo Stato di Israele si trova pur sempre e sin dalla sua nascita in uno stato di emergenza permanente, tale da poter giustificare in moltissimi casi il ricorso a tale eccezionale misura.
Ma andiamo per ordine: prima di tutto, chi decide quando e se detenere ‘amministrativamente’ una persona? Quattro sono le entità coinvolte: l’Agenzia di sicurezza israeliana (Israel Security Agency); il Comandante dell’Esercito (OC Central Command, oppure un comandante delegato da quest’ultimo); l’ufficio dell’avvocatura militare (Military Prosecutor Office); i giudici che si assicurano della piena legalità dell’ordine. Inoltre la decisione può essere presa solo dopo che l’ISA (International Security Academy) invia al comandante militare una specifica richiesta di detenzione amministrativa per un determinato soggetto. Tale documento contiene anche una raccomandazione riguardo all’ auspicabile durata della stessa, nonché un riassunto di tutto il materiale di intelligence raccolto e preparato dall’ ISA in relazione alla persona per la quale si richiede di emettere tale misura. Inoltre in alcuni casi, prima ancora che venga presa una decisione in tal senso, i militari accompagnano il sospettato dalla Polizia o direttamente presso l’ISA affinché venga interrogato (interrogatorio che può durare da pochi giorni ad alcune settimane). Una volta espletate tutte le suddette procedure, se le autorità non sono certe né di iniziare un processo contro tale persona né di rilasciarla, il comandante militare decide se e per quanto tempo trattenerla in regime di detenzione amministrativa. La durata massima di ogni ordine è di sei mesi. Durante i primi otto giorni di detenzione il detenuto viene ascoltato ed interrogato da un giudice militare, il quale esamina l’ordine di cui sopra e decide se approvarlo, negarlo o ridurne la durata. Sia il detenuto che il comandante militare a questo punto possono decidere di proporre appello contro la decisione del primo giudice, rivolgendosi alla Corte d’Appello militare.
Una volta scaduti i termini stabiliti caso per caso per ogni detenzione si procede con il rilascio, a meno che il comandante militare non decida di estenderne la durata per un massimo di altri sei mesi (rinnovabili, e sempre che il giudice approvi la suddetta estensione). Non è previsto però un numero massimo di rinnovi possibili per ogni detenuto, pertanto spesso e volentieri uno stesso ordine di detenzione viene rinnovato più e più volte.
Ma chi può essere sottoposto a tale severo regime? Solo le persone che sono ritenute potenzialmente pericolose, perciò è una misura che può essere legalmente usata solo per prevenzione, e mai a scopo sanzionatorio. Più in particolare vi si può ricorrere ad esempio quando si ravvisa un pericolo concreto ma potenziale per la vita di testimoni (in molti casi informatori palestinesi), oppure nel caso in cui informazioni riservate non possono essere rivelate durante un processo perché si rischierebbe di compromettere la riuscita di un’operazione.
Per completezza va tenuto in debita considerazione che oltre alla legislazione internazionale di cui sopra lo Stato di Israele ha anche emanato nel corso degli anni diverse normative nazionali riguardanti tale spinosa misura detentiva: l’Art. 285 del Codice Militare 1651, che è parte della legge militare che si applica solo a West Bank; la Legge sull’Internamento dei Combattenti Illegali del 2002, usata nei confronti degli abitanti della Striscia di Gaza; la Legge sullo Stato di Emergenza (Detenzioni), emanata nel 1945 durante il mandato britannico della Palestina e modificata nel 1979, che riguarda invece i cittadini israeliani.
Nella West Bank palestinese occupata l’Art. 285 del Codice Militare suddetto consente all’esercito di irrogare ordini di detenzione amministrativa nei confronti dei civili palestinesi nel caso in cui vi siano “ragioni sufficienti per presumere che la sicurezza della zona o pubblica” lo richiedano. La Legge sui Combattenti Illegali invece si applica agli abitanti della zona della Striscia di Gaza, e definisce come “combattente illegale” chi “direttamente o indirettamente partecipi ad atti ostili allo Stato di Israele, o sia membro di una forza che compia atti ostili allo Stato di Israele”, senza avere titolo allo status di prigioniero di guerra secondo la legge umanitaria internazionale. Tale legge consente l’arresto in massa e la detenzione immediata e senza processo di palestinesi abitanti della Striscia o di cittadini stranieri. Con questa legge i detenuti possono essere trattenuti per 96 ore prima di irrogare un ordine di detenzione permanente, o fino a sette giorni se il governo ha dichiarato le “ostilità su larga scala”. L’esame giudiziario di tale ordine deve essere tenuto, a porte chiuse, dopo 14 giorni; se l’ordine è approvato, il detenuto deve comparire davanti a un giudice ogni sei mesi. Il giudice può revocare l’ordine qualora la corte consideri che ciò non leda la sicurezza dello stato.
Concludo con una significativa affermazione di Meir Shamgar, presidente della Corte Suprema israeliana dal 1983 al 1995, relativa a tale argomento: “The detention is intended to thwart a security danger resulting from acts that the deitanee is liable to commit, where it is not reasonably possible to prevent them by taking regular legal measures (a criminal proceeding) or by an administrative measure that results in less serious harm”.

 

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