Lab-IP

La difficile affermazione del duty to give reasons nel Regno Unito

di ELENASOFIA LIBERATORI

 

15/05/2017

 

L’obbligo di motivazione è un istituto consolidato in gran parte degli ordinamenti moderni ed è indice di applicazione del principio di trasparenza all’azione amministrativa. L’amministrazione è tenuta a spiegare le ragioni per cui è giunta ad una determinata decisione ed, in tal modo, è permesso al destinatario dell’atto di presentare osservazioni che possano modificare la scelta finale dell’ente. Nel Regno Unito, il duty to give reasons non è previsto a livello legislativo, né esiste come principio generale nel common law. L’importanza dell’istituto è, tuttavia, riconosciuta in dottrina e giurisprudenza, nonostante la resistenza del Parlamento.

Nel caso Save Britain’s Heritage v Number 1 Poultry Ldt. del 1991, Lord Bridge già affermava la necessità di recepire l’obbligo di motivazione tra i principi di common law. La mancata recezione dell’istituto da parte dell’ordinamento britannico dipendeva principalmente dall’onerosità che l’obbligo di motivazione avrebbe potuto comportare in capo all’amministrazione. Questa giustificazione non era supportata da concrete argomentazioni ed, anzi, era smentita dalla realtà di altri ordinamenti, come quello australiano, in cui l’aver previsto legislativamente il duty to give reasons aveva apportato benefici e miglioramenti all’azione amministrativa, piuttosto che ritardi o inefficienze. Nel caso R v Home Secretary ex p. Doody (1994), Lord Mustill, inoltre, faceva trasparire un margine di apertura verso l’istituto, affermando l’inesistenza di una disciplina dell’obbligo di motivazione solo «at the present» e dimostrando, dunque, fiducia verso una futura legislazione al riguardo. Egli, inoltre, evidenziava che si stesse diffondendo sempre più nel Regno Unito, e non solo, un orientamento rivolto al principio di openess nei procedimenti amministrativi. In effetti, il principio menzionato era stato oggetto anche del dibattito europeo sul Trattato di Maastricht del 1992 e la Dichiarazione n. 17 sul diritto di accesso all’informazione, ad esso allegata, dichiarava apertamente l’importanza di un’azione amministrativa corretta e trasparente, nell’attuazione dei principi democratici.

L’esigenza di imporre alle autorità pubbliche il duty to give reasons nel decision-making process, dunque, è avvertita da tempo nel Regno Unito, anche e soprattutto rispetto agli atti che incidono negativamente sulla sfera giuridica del privato, come il mancato rilascio di un’autorizzazione o il diniego di una concessione. Il caso Fayed (R v Secretary of State for the Home Department ex p. Fayed, [1998]) può esserne considerato un valido esempio. Il mancato rilascio della cittadinanza da parte del governo britannico ai fratelli Fayed, di origine egiziana, ma residenti in Inghilterra, ha portato la Court of Appeal a pronunciarsi nel seguente modo: pur riconoscendo la necessità di dare motivazione ad un provvedimento di diniego da parte delle pubbliche amministrazioni, secondo il principio di fairness, nel caso concreto, l’amministrazione non era soggetta al duty to give reasons, in virtù di quanto disposto dal Nationality Act 1981.

È chiaro, dunque, che nel Regno Unito, per quanto siano noti i benefici apportati dall’istituto in esame, permangano delle perplessità rispetto ad un’eventuale legislazione su di esso. Sebbene, nel 1998, Sir Patrick Neill auspicava un intervento legislativo che introducesse l’obbligo di motivazione nel breve tempo di dieci anni, nel 2011, tale previsione non sembrava essersi avverata. Mark Elliot, ad esempio, lamentava il mancato riconoscimento legislativo dell’obbligo di motivazione poichè l’istituto veniva in tal modo sottovalutato. La violazione degli altri principi di good administration, infatti, comportava una decisione illegale; stessa cosa non accadeva per l’obbligo di motivazione, nonostante anch’esso rientrasse nel più ampio concetto di fairness (M. ELLIOT, Has the Common Law Duty to Give Reasons Come of Age Yet?, University of Cambridge Faculty of Law Research Paper No. 7, 2012).

Recentemente, nel 2013, i giudici britannici hanno affrontato il caso Uprichard v Scottish Ministers ([2013] UKSC 21). Il ricorrente lamentava l’adeguatezza delle ragioni poste alla base dell’approvazione di un piano di espansione della città di St. Andrews. Era, infatti, stato dimostrato in precedenza che il progetto in questione avrebbe potuto causare danni ambientali di ingente entità; l’appello si basava sul fatto che i ministri scozzesi, non curanti di tale constatazione, avrebbero ritenuto corretto approvare le politiche in questione, senza giustificare e spiegare in maniera appropriata il perché della decisione presa. I giudici della Supreme Court hanno rigettato all’unanimità il ricorso, ritenendo, innanzitutto, che l’obbligo imposto ai ministri consisteva nel motivare l’approvazione o il rigetto e non il contenuto della proposta oggetto della decisione, la cui giustificazione spettava invece all’ente che l’ha ideata. La corte ha, inoltre, affermato che le ragioni poste alla base dell’approvazione potessero essere rese anche in forma concisa, purché fossero adeguatamente e correttamente formulate e rispondessero a tutti i punti sollevati dall’interessato. La Corte ha poi sostenuto l’importanza di un bilanciamento degli interessi pubblici e privati nell’applicazione dell’obbligo di motivazione; ha, infatti, ritenuto necessario che non si imponessero oneri «unreasonable» alle amministrazioni. Nel caso di specie, dunque, secondo i giudici britannici, il fatto che i ministri avessero risposto alle obiezioni sollevate dagli interessati, raggruppandole in un unica lista e dando una motivazione generale, non costituiva una scelta irragionevole. La pronuncia giurisdizionale in esame permette di evidenziare come il sistema britannico consideri il duty to give reasons solo un corollario del principio di trasparenza, non ritenendolo un istituto di fondamentale applicazione per la good administration. Si preferisce dare maggior risonanza a principi, quali l’efficienza e la celerità dell’azione pubblica, piuttosto che approfondire e delineare l’obbligo di motivazione, quasi come se la praticità e la rapidità dell’agere amministrativo dovessero vincere sul contenuto e sulla profondità delle spiegazioni fornite ai cittadini.

L’ultimo aspetto da analizzare riguarda l’introduzione di una recente normativa in ambito di decision-making process. Nel 2015, infatti, è stato emanato il Criminal Justice and Courts Act il quale ha previsto alle sezione 84 un nuovo principio: nel corso di una judicial review, la corte può respingere il ricorso, qualora appaia altamente probabile che, anche se l’amministrazione non avesse tenuto il comportamento lamentato dal ricorrente, il risultato finale sarebbe stato lo stesso. Tale previsione può avere risvolti negativi sull’obbligo di motivazione in quanto può rivelarsi molto semplice per le pubbliche autorità dimostrare che la decisione da esse presa non avrebbe potuto essere diversa pur dichiarandone le ragioni al diretto interessato. Una norma, dunque, che allontana maggiormente la realtà giuridico amministrativa del Regno Unito dalla piena attuazione del principio di trasparenza. Questo principio, definito «makes no difference», potrebbe minare l’obbligo di motivazione, limitandolo ulteriormente e restringendo la tutela del privato nella partecipazione alle decisioni pubbliche.

FacebooktwitterredditpinterestlinkedintumblrmailFacebooktwitterredditpinterestlinkedintumblrmail