Lab-IP

Le imprese spin-off della ricerca pubblica

 

di Alessio Pontillo

 

14 maggio 2017

 

  1. Gli spin-off ed il trasferimento tecnologico

 

  1. La disciplina del fenomeno: il ruolo di professori e ricercatori

 

  1. I parchi scientifici e tecnologici

 

  

  1. Gli spin-off ed il trasferimento tecnologico

Le imprese spin-off della ricerca pubblica sono da alcuni anni fonte di particolare interesse per studiosi e policy maker, in quanto ritenute fondamentale strumento di valorizzazione dei risultati della ricerca, componente fondamentale delle politiche di sostegno all’innovazione, nonché elementi cruciali del processo di trasferimento tecnologico pubblico-privato, quel processo attraverso il quale conoscenze, tecnologie, metodi di produzione, prototipi e servizi sviluppati da governi, università, aziende ed enti di ricerca pubblici come privati vengono resi accessibili ad un’ampia gamma di utenti che possono poi ulteriormente sviluppare e sfruttare tale tecnologia per creare nuovi materiali, prodotti, processi, applicazioni o servizi. Viene in risalto, in materia, il ruolo degli uffici per il trasferimento tecnologico, strutture attive presso università ed enti pubblici di ricerca, che hanno come finalità la valorizzazione in chiave economica dei risultati della ricerca scientifica e tecnologica conseguiti nelle relative organizzazioni di appartenenza. L’ufficio per il trasferimento tecnologico funge dunque da “cerniera”, da punto d’incontro, tra il mondo della ricerca e quello dell’industria, ed il suo ruolo e quello di catalizzatore, di acceleratore e facilitatore del processo di trasferimento tecnologico, senza tuttavia andare a modificarlo.

Gli spin-off nascono dunque “per gemmazione” da ambienti accademici o da istituzioni di ricerca, su iniziativa di un gruppo di ricercatori, professori o neo-laureati che si distaccano dall’organizzazione di cui fanno parte per avviare un’attività imprenditoriale indipendente, finalizzata allo sfruttamento di competenze ed attività di ricerca maturate all’interno dell’organizzazione stessa, con la quale, nella maggior parte dei casi, si conservano stretti rapporti di collaborazione.

Lo spin-off o start-up universitario è dunque un’impresa costituita da un ricercatore per la valorizzazione commerciale del know-how maturato nella sua attività di ricerca e delle proprie competenze scientifico-tecnologiche; nella maggior parte dei casi lo spin-off utilizza un brevetto di cui l’università è titolare. L’impresa è costituita tra i ricercatori, l’università ed uno o più enti esterni, ed assume personalità giuridica distinta da quella dei proponenti.

 

 

  1. La disciplina del fenomeno: il ruolo di professori e ricercatori

In Italia il fenomeno si è sviluppato parallelamente all’affinarsi della regolamentazione della materia, ed ha registrato una svolta fondamentale grazie all’emanazione di specifiche norme che hanno autorizzato il personale docente delle università e degli enti pubblici di ricerca a partecipare alle iniziative imprenditoriali.

Limitandomi a segnalare un working paper prodotto da Antonio Bax e Sabrina Corrieri per l’associazione Netval che analizza approfonditamente la questione, e lasciando dunque da parte, in mancanza tanto di precise indicazioni del legislatore quanto di pronunce giurisprudenziali in materia, la discussione che riguarda l’applicabilità o meno delle regole contenute nel testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, focalizziamo l’attenzione sulla regolamentazione specificamente predisposta per questo tipo di imprese.

Il primo intervento normativo in materia, che pure non fornisce una puntuale definizione di spin-off, è il d.lgs. 27 luglio 1999, n. 297, il quale, all’art. 2, enumera i soggetti ammessi alla disciplina ed autorizza università ed enti pubblici di ricerca ad emanare regolamenti interni tali da consentire a professori e ricercatori, in deroga alla normativa vigente, di partecipare al capitale ed alla gestione di società di recente costituzione finalizzate all’utilizzazione industriale dei risultati della ricerca. Lo stesso decreto definisce poi puntualmente, rispettivamente all’art. 1 ed all’art. 3, il campo di applicazione della normativa e le attività finanziabili.

A seguito di tale intervento, ogni ateneo ha disciplinato la materia in virtù della propria autonomia regolamentare, con un occhio di riguardo, in particolare, alle tematiche legate al conflitto d’interesse ed alle incompatibilità.

È poi intervenuto il decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca del 10 agosto 2011, n. 168, in attuazione di quanto previsto all’art. 6, co. 9, della l. 30 dicembre 2010, n. 240, a definire in maniera unitaria i criteri di partecipazione di professori e ricercatori universitari a società aventi caratteristiche di spin-off o start-up universitari, in modo da individuarne limiti ed incompatibilità.

Il decreto comincia prevedendo, all’art. 2, come per potersi definire spin-off o start-up universitari le società di cui all’art. 2, co. 1, lettera e) del d.lgs. 27 luglio 1999, n. 297 dovranno essere costituite su iniziativa dell’università o del personale universitario ovvero prevedere la partecipazione al capitale da parte dell’università o la partecipazione del personale universitario, la quale può strutturarsi tanto in termini di partecipazione al capitale, quanto in termini di impegno diretto nel conseguimento dell’oggetto sociale, offrendo alla nuova entità giuridica l’impiego del know-how e delle competenze generate in un contesto di ricerca.

Il decreto procede poi, dopo aver disciplinato la procedura di costituzione degli spin-off, delineando, come anticipato, incompatibilità e conflitti d’interesse del personale docente. Riguardo alle prime, è previsto che membri del consiglio di amministrazione, i professori ed i ricercatori membri delle commissioni di ateneo in materia di ricerca, valorizzazione della ricerca e trasferimento tecnologico, il rettore, i membri del senato accademico ed i direttori dei dipartimenti dell’università, non possono assumere cariche direttive ed amministrative negli spin-off, salva l’ipotesi in cui il direttore del dipartimento sia designato dall’ateneo di appartenenza a far parte del consiglio di amministrazione di spin-off o start-up del quale non sia socio o proponente.

Ferme le ipotesi di cui sopra, gli atenei, nell’ambito della propria autonomia regolamentare, definiscono i casi nei quali i professori ed i ricercatori in servizio non possono essere autorizzati a costituire le imprese in questione, ovvero ad assumere responsabilità formali nella gestione; tutto questo soltanto ove gli interessati si trovino a rivestire specifici ruoli all’interno dell’università, tali che il contemporaneo esercizio dell’attività d’impresa possa compromettere l’autonomia nello svolgimento della funzione, ovvero possa determinare conflitti di interesse o situazioni di oggettiva difficoltà per lo svolgimento delle normali funzioni didattiche, di ricerca ed istituzionali.

Lo svolgimento dell’attività in favore delle società aventi caratteristiche di spin-off o start-up, infine, non deve porsi in contrasto con il regolare e diligente svolgimento delle funzioni legate al rapporto di lavoro con l’ateneo. Qualora la partecipazione alle attività dell’impresa divenga incompatibile con i compiti didattici e di ricerca, il professore ed ricercatore interessati, che abbiano assunto o meno la qualità di socio, dovranno immediatamente comunicarlo all’università, contestualmente cessando lo svolgimento dell’attività prestata presso la società.

Riguardo invece la disciplina del conflitto d’interesse, è fatto espresso divieto al personale che partecipa alle società di svolgere attività in concorrenza con quella dell’ateneo di appartenenza. Il suddetto personale sarà inoltre tenuto a comunicare tempestivamente all’università non solo ogni eventuale situazione di conflitto d’interesse che possa venire a sorgere durante lo svolgimento dell’attività, ma anche, al termine di ciascun esercizio sociale, tutti i dividendi, i compensi, le remunerazioni ed i benefici a qualunque titolo ottenuti dalla società. Il rapporto di lavoro con l’università non dovrà, infine, costituire strumento per l’attribuzione al socio appartenente alla categoria del personale docente o ricercatore di vantaggi, diretti o indiretti, consistenti nell’esercizio di strumenti di discriminazione o di pregiudizio nei confronti degli altri soci.

In conclusione è giusto segnalare, come ultimissimo intervento in materia, e ad ulteriore conferma del vivo interesse del legislatore sul punto, l’art. 1 co. 115 della legge di bilancio 2017. Questo, in ossequio ad una delle direttrici chiave del piano nazionale “industria 4.0”, demanda ad un decreto del Ministero dello sviluppo economico, da adottarsi di concerto con il Ministero dell’economia e finanze, entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della legge in esame, la definizione delle modalità di costituzione e delle forme di finanziamento, entro il limite di spesa di venti milioni per il 2017 e di dieci milioni per il 2018, di centri di competenza ad alta specializzazione, nella forma di partenariato pubblico-privato, aventi lo scopo di promuovere e realizzare progetti di ricerca applicata, di trasferimento tecnologico e di formazione su tecnologie avanzate, nel quadro degli interventi connessi al piano “industria 4.0”.

 

 

  1. I parchi scientifici e tecnologici

Il fenomeno fin qui analizzato, questo dare sempre maggior rilevanza al “punto di contatto” fra conoscenza ed innovazione, di matrice accademica, e sfruttamento economico delle stesse, ad opera di società regolarmente inserite nel mercato, risulta fonte d’interesse anche in ambito europeo, dove, nel contesto dell’agenda digitale europea, ha ricevuto una spinta fondamentale l’esperienza dei parchi scientifici e tecnologici.

I parchi scientifici e tecnologici sono aggregatori di imprese innovative che puntano a sviluppare la crescita economica del territorio favorendo il dialogo tra aziende, università e centri di ricerca. Si tratta di innovative forme di collaborazione pubblico-privato, che fungono da “cerniera” tra la conoscenza ed il mercato: tali parchi coniugano i bisogni di crescita innovativa del sistema delle imprese con il patrimonio di conoscenza espresso dai poli di eccellenza tecnologica e scientifica, dalle università e dai centri di ricerca. La loro principale missione è quella di favorire e sostenere lo sviluppo economico nazionale attraverso l’innovazione.

All’interno dei parchi è possibile riscontrare: la condivisione di spazi immobiliari concessi in locazione alle start-up; un insieme di servizi di supporto condivisi, in modo da ridurre le spese che la singola azienda dovrebbe sostenere; attività di training imprenditoriale e l’inserimento dell’impresa in un network di attori in grado di consentirle l’accesso a quelle competenze e risorse fondamentali per il suo sviluppo.

La maggioranza dei parchi scientifici e tecnologici italiani aderiscono all’APSTI, associazione parchi scientifici e tecnologici, associazione senza fini di lucro che incarna il network nazionale dei parchi stessi; l’associazione conta oggi ventuno associati, rappresentativi della quasi totalità delle regioni italiane.

Quanto detto sin qui, questo crescente interesse per la valorizzazione, anche a fini commerciali, dei risultati conseguiti in ambito accademico, risulta estremamente interessante, in un’ottica di voler favorire l’innovazione ed il progresso tecnologico per il sistema-paese nel suo complesso: esperienze come quella dell’MIT, negli Stati Uniti, dimostrano come un polo di ricerca solido, che riesca non solo ad attirare ricercatori da ogni parte del mondo ma anche ad utilizzare con successo parte della conoscenza acquisita per creare aziende innovative, in grado a loro volta di attivare quel circolo virtuoso che porta sempre nuove società a stabilirsi in quel luogo, e sempre più investitori ad interessarsi, rappresenti una risorsa fondamentale per un paese che voglia supportare e contribuire a far prosperare una cultura dell’high-tech via via sempre più radicata.

 

 

 

 

 

Bibliografia:

 

  • Bax A. – Corrieri S., Il Testo unico sulle società partecipate e le imprese spin-off della ricerca pubblica: una convivenza possibile, working paper Netval, marzo 2017.

 

  • Conti G. – Granieri M. – Piccaluga A., La gestione del trasferimento tecnologico. Strategie, modelli e strumenti, Milano, Springer, 2011.

 

  • Ielo D., L’agenda digitale: dalle parole ai fatti, Torino, Giappichelli, 2015.
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