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LA RIGENERAZIONE URBANA PER LA CITTÀ SOSTENIBILE: URBANISTICA ATTUATIVA NELLE SMART CITIES

SAVERIO SANTORO

15/07/2019

Il termine “rigenerazione urbana” ha iniziato a comparire nella nostra
legislazione, senza essere accompagnato da alcuna definizione, in diverse
leggi regionali riguardanti la disciplina del territorio, a partire dal 2015, ed
in alcune leggi statali dal 2013, e ciò dopo essersi affermata da tempo in
molte altre legislazioni di paesi europei e non.
Qual è dunque attualmente la consistenza ed il rilievo di tale istituto nel
sistema delle discipline del territorio e del relativo uso?
Se si passano in rassegna i vari provvedimenti di legge che riportano il
termine “rigenerazione urbana”, deve riconoscersi che l’utilizzo iniziale
della nozione, strettamente derivata dalle varie discipline scientifiche
riguardanti la pianificazione territoriale, urbanistica, paesaggistica e
ambientale, era stata inizialmente prevista in occasione di due specifici
programmi di bonifica ambientale di interesse nazionale, disposti con i
decreti legge 133/2014, 78/2015, 185/2015, 243/2016 (relativi alla bonifica
dell’area di Bagnoli) nonché 91/2013, riguardante la riqualificazione, a fini
turistici ambientali, dell’area archeologica di Pompei.
Soltanto recentemente, con il decreto-legge 32/2019, la rigenerazione
urbana è stata individuata come strumento generale di riassetto e recupero
del territorio, senz’alcun riferimento a specifici programmi di ricostruzione
o riassetto territoriale.

Ed infatti l’art. 5 del DL 32 cit. (la cui rubrica riporta: norme in materia
di rigenerazione urbana), come modificato dalla legge di conversione 14
giugno 2019, n. 55, individua le finalità generali e gli interessi coinvolti
nell’adozione degli strumenti di rigenerazione urbana (indurre una
drastica riduzione del consumo di suolo e favorire la rigenerazione del
patrimonio edilizio esistente, incentivarne la razionalizzazione,
promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con
presenza di funzioni eterogenee [sic!] e tessuti edilizi disorganici o
incompiuti, nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in
via di dismissione, ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della
necessità di favorire lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti
rinnovabili e di assicurare il miglioramento e l’adeguamento sismico del
patrimonio edilizio esistente, anche con interventi di demolizione e
ricostruzione).
Ma dopo l’enunciazione delle generiche finalità della rigenerazione,
compaiono le più incisive disposizioni recanti modifica dell’art.2-bis del
D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (testo unico dell’edilizia), riguardanti i limiti
di altezza, densità edilizia e distanza dei fabbricati nelle aree urbane, in caso
di interventi di demolizione e ricostruzione, ammettendo in ogni caso la
ricostruzione nel rispetto delle distanze tra edifici preesistenti, se legittime,
e purché sia mantenuta la coincidenza delle sagome degli edifici a quibus.
Questa disposizione tende ad attenuare ogni resistenza delle autorità
locali e della giurisprudenza amministrativa all’autorizzazione comunale
dei programmi di recupero e rigenerazione di aree urbane degradate o
fatiscenti, la cui attuazione in effetti aveva trovato ostacoli nella
giurisprudenza (cfr. le ord. n.1934/2019 TAR Lazio e nn. 5711/2017 e
2166/2019 del Consiglio di Stato) e nella pratica amministrativa, dovuti al
rigoroso (ma miope) rispetto al millimetro delle distanze tra edifici, così
come stabilite dai nuovi strumenti urbanistici nel frattempo intervenuti.

Si tratta all’evidenza di una disposizione sblocca-cantieri, che autorizza
(o addirittura obbliga) le regioni e le province autonome all’introduzione di
disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici n. 1444
del 1968 che definisce gli standard urbanistici.
L’introduzione di tale disposizione con decretazione d’urgenza è la
conseguenza delle richieste dell’ANCE al Governo in materia di consumo
di suolo, secondo cui, un’efficace politica di contenimento del consumo del
suolo si basa principalmente sulla previsione di norme mirate a rendere
agevoli, diffusi e economicamente sostenibili gli interventi di
trasformazione del patrimonio edilizio esistente e in particolare di quelli
che comportano la sostituzione integrale degli edifici mediante
demolizione e ricostruzione … la dichiarazione d’interesse pubblico dei
relativi interventi; la corresponsione degli oneri di urbanizzazione
esclusivamente per la volumetria aggiuntiva rispetto a quella di origine;
la monetizzazione degli standard urbanistici, qualora non sia possibile
reperire aree per servizi nel contesto urbano in cui si colloca l’intervento;
la possibilità di modificare anche i prospetti, oltre che la sagoma
dell’edificio originario; in attesa della revisione della normativa sugli
standard, deroghe ai limiti di densità edilizia, altezza e distanza fra edifici
stabiliti dagli artt.7, 8 e 9 del DM 1444/1968 (dossier ANCE 29 ottobre
2018).
Né si ravvisa, nel recente D.L. e nei lavori preparatori, alcun riferimento
a particolari siti da rigenerare o a determinate aree urbane o relative
periferie degradate, trattandosi appunto di disposizioni che intendono
rimuovere specifici impedimenti che in pratica hanno sinora bloccato gli
interventi di rigenerazione in funzione di recupero e contenimento del
suolo urbano
La rigenerazione urbana, anche in assenza di una legge quadro, si avvia
dunque a diventare un vero e proprio strumento urbanistico innovativo, di

carattere essenzialmente attuativo, alla pari dei piani particolareggiati, di
zona, di lottizzazione; dei P.E.E.P., dei P.I.P. e dei piani di recupero.
Nello scorrere la legislazione regionale italiana (Servizio Studi del
Senato – Dossier n. 109, marzo 2019 Consumo di suolo: elementi di
legislazione regionale) si assiste dunque al passaggio della rigenerazione
urbana da generica finalità di provvedimenti vari ed eterogenei, rivolti alla
disciplina dell’uso del territorio, a vero e proprio nuovo ed avanzato
strumento urbanistico attuativo, destinato a sostituire il piano di recupero,
che per la verità non aveva avuto un grande successo, a causa della
congenita difficoltà degli enti locali di programmare, autorizzare e disporre
la demolizione e ricostruzione di aree urbane e parti di esse.
La rigenerazione urbana dunque si candida a diventare la principale
soluzione per mettere in pratica il contenimento del consumo del suolo, il
miglioramento del decoro di città e periferie e la manutenzione del loro
patrimonio edilizio, il recupero di nuovi spazi abitativi e la bonifica di siti
ed aree dismessi, prevenendone l’utilizzo da parte della microcriminalità e
dell’immigrazione clandestina, realizzando altresì la necessaria mobilità
sostenibile e l’efficientamento energetico nella politica dei trasporti.
Di importanza non secondaria sarà l’effettiva volontà di realizzare
queste finalità attraverso metodi di partenariato, che consentano l’ingresso
di capitali privati nei programmi di rigenerazione urbana, coinvolgendo
con azioni integrate il perseguimento di veri e propri interessi pubblici con
la realizzazione di iniziative private che ne possano essere il complemento,
nell’ottica sempre più ineludibile del contenimento della spesa pubblica.
Non sarà secondaria a tale fine la possibilità e l’opportunità degli enti

locali, o loro consorzi, di istituire società a partecipazione mista pubblico-
privato, per la realizzazione di progetti ed iniziative di rigenerazione

urbana in partenariato con operatori privati, anche con l’utilizzo di fondi
strutturali e d’investimento europei (POR e PON dove applicabili), con
adeguamento conseguente delle politiche regionali e nazionali in materia.

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