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LABORATORIO PER L’INNOVAZIONE PUBBLICA 6/2022

INDICE:

  1. Il nuovo procedimento autorizzatorio regionale: tra tutela dell’ambiente e semplificazione di Giulia Moscaroli
  2. La Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021: Novità in vista per le concessioni balneari di Andrea Nardone
  3. La nuova disciplina europea sull’export control e i rapporti con il golden power di Matteo Farnese
  4. Capacity Italy. Uno strumento concreto di supporto agli enti territoriali nell’attuazione dei progetti del PNRR di Samuele Marcucci
  5. Amministrazione condivisa a Bologna di Beatrice Tabacco
  6. L’accesso civico non si applica alle società pubbliche quotate: il caso Rai di Elena Valenti
  7. Caro bollette. L’Antitrust alza il muro di Carlo Garau
  1. Il nuovo procedimento autorizzatorio regionale: tra tutela dell’ambiente e semplificazione di Giulia Moscaroli

Il rapporto tra il principio di semplificazione e la tutela dell’ambiente costituisce da sempre una questione problematica. La semplificazione, infatti, è vista con sospetto in presenza di attività umane che interagiscono negativamente con l’ambiente, in quanto è potenzialmente inidonea a salvaguardare tale interesse, oggi considerato primario. Il conflitto tra semplificazione e tutela dell’ambiente si risolve, nella maggior parte dei casi, con il riconoscimento di un regime di specialità a favore delle amministrazioni preposte alla tutela dell’interesse ambientale, con conseguente sottrazione delle stesse dalle norme procedimentali di semplificazione, applicabili in via ordinaria alle altre amministrazioni.

Questo regime di specialità ha, nel tempo, comportato un aggravamento e un eccessivo allungamento dei tempi dei procedimenti di autorizzazione e di valutazione ambientale.

La recente situazione emergenziale, sia pandemica che ambientale, ha reso necessario invertire questa tendenza, favorendo la rapida definizione dei procedimenti amministrativi e la stabilità dei loro esiti. Il Legislatore, negli ultimi anni, ha adottato diversi strumenti di semplificazione, soprattutto alla luce della necessità di rispettare le scadenze imposte dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (c.d. P.N.R.R.) al fine di accedere ai fondi europei. Inoltre, il conflitto tra Ucraina e Russia ha determinato una situazione di crisi e di emergenza energetica, a fronte della quale il Governo è intervenuto con tre Decreti «aiuti ed energia».

Il 22 settembre 2022 è entrata in vigore la Legge 21 settembre 2022, n. 142 di conversione del D.L. 9 agosto 2022, n. 115 recante «Misure urgenti in materia di energia, emergenza idrica, politiche sociali e industriali» (c.d. Decreto Aiuti-bis).

Tra le diverse novità in esso previste, l’art. 33 del Decreto introduce nel Codice dell’Ambiente un nuovo art. 27-ter, avente ad oggetto il Procedimento Autorizzatorio Unico Accelerato Regionale (c.d. P.A.U.A.R.), destinato a trovare applicazione quando siano coinvolti investimenti pubblici o privati di ammontare non inferiore a euro 400.000.000. Nello specifico, il procedimento riguarda la realizzazione di piani e programmi relativi ai settori ritenuti di rilevanza strategica, contenenti elementi progettuali corrispondenti a diverse tipologie assoggettate a Valutazione di Impatto Ambientale (c.d. V.I.A.) o a verifica di assoggettabilità a V.I.A., o a Valutazione Ambientale Strategica (c.d. V.A.S.). Quando tali piani o programmi rientrino in parte nella competenza statale, in parte in quella regionale, l’art. 27­-ter stabilisce che l’autorità ambientale competente è la Regione e che tutte le autorizzazioni che si rendano necessarie sono rilasciate nell’ambito di un procedimento finalizzato al rilascio del P.A.U.A.R. Il Legislatore, quindi, in applicazione del principio di sussidiarietà, al quale è attribuito rango costituzionale dall’art. 118 Cost., ha preferito attribuire la funzione amministrativa alla Regione, che tra i due livelli coinvolti è senz’altro quello meno comprensivo e più «vicino al cittadino».

Per i piani e programmi che, ai sensi dell’art. 6, commi 3 e 3-bis,del Codice dell’Ambiente, sono sottoposti alla verifica di assoggettabilità a V.A.S., questa fase precede il procedimento autorizzatorio di cui trattasi. Rispetto alla disciplina ordinaria prevista dall’art. 12, tuttavia, in un’ottica di accelerazione e semplificazione, il Legislatore ha determinato una riduzione dei tempi. In particolare, è ridotto da trenta a venti giorni il termine entro il quale l’autorità amministrativa riceve il parere dei soggetti competenti in materia ambientale, i quali devono valutare il rapporto preliminare di assoggettabilità a V.A.S. ed esprimere poi il proprio giudizio. È, inoltre, dimezzato, riducendosi da novanta a quarantacinque giorni, il termine entro il quale completare la fase di verifica di assoggettabilità, la quale si conclude con il provvedimento che decide se assoggettare o escludere il piano o il programma dalla V.A.S.

Per i piani e i programmi relativi ai settori strategici, considerati assoggettabili a V.A.S., la valutazione è comunque integrata nel procedimento unico accelerato di cui trattasi, che si applica a tutte le opere necessarie per realizzare tali piani e programmi.

La disciplina del procedimento è contenuta nei commi da 5 a 14 del nuovo art. 27-ter. Esso si avvia su istanza del proponente, che produce la documentazione di cui all’art. 23, comma 1, richiesta per la presentazione dell’istanza di V.I.A., tra cui lo studio di impatto ambientale, nonché tutti i dati progettuali necessari per la corretta istruttoria tecnico-amministrativa. Tale documentazione, riportata in un elenco all’uopo predisposto dal proponente, è finalizzata al rilascio di «tutte le autorizzazioni, le intese, le concessioni, le licenze e di tutti i pareri, i concerti, i nulla osta e gli assensi», indispensabili per la realizzazione e l’esercizio del progetto. L’istanza deve poi contenere anche l’avviso al pubblico, finalizzato alla più ampia partecipazione di coloro che siano interessati dalla realizzazione dell’opera.

L’autorità che riceve l’istanza, prima di pubblicarla sul proprio sito web, verifica che tutti i soggetti potenzialmente interessati ne abbiano avuto notizia. Le amministrazioni coinvolte verificano, entro trenta giorni dalla pubblicazione, la completezza della documentazione pervenuta, mentre il pubblico interessato può presentare le proprie osservazioni, a fronte delle quali il proponente può inviare eventuali integrazioni.

L’autorità competente, entro dieci giorni dal ricevimento delle integrazioni, convoca una conferenza di servizi, alla quale partecipano il proponente e tutte le amministrazioni componenti o comunque potenzialmente interessate per il rilascio del provvedimento di V.I.A. Tale conferenza di servizi è convocata in modalità sincrona, in conformità con quanto previsto dal Legislatore all’art. 29-quater. Infatti, ove siano coinvolti interessi sensibili, quale è la tutela ambientale, solo la modalità sincrona e non semplificata può garantire un confronto più approfondito tra le diverse amministrazioni coinvolte. Come affermato anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 233/2021, «quando si tratta delle procedure di tutela ambientale, il valore della semplificazione s’invera nella definizione di modelli organizzativi fondati sull’efficiente collaborazione e sul coordinamento delle competenze». La conferenza si conclude comunque entro sessanta giorni dalla prima riunione e ad essa partecipa con diritto di voto, quando sia coinvolto un concorrente interesse statale, anche un esperto designato dallo Stato.

La determinazione motivata che conclude la conferenza di servizi costituisce il Provvedimento Autorizzatorio Unico Accelerato Regionale e comprende i provvedimenti di V.I.A. e tutti i titoli abilitativi necessari per la realizzazione e l’esercizio del progetto. L’introduzione di un procedimento unico per ottenere i diversi provvedimenti e titoli rappresenta un indiscutibile vantaggio per il proponente, che non deve così rivolgersi singolarmente alle diverse amministrazioni coinvolte, con evidente aggravio nelle procedure e nei tempi di autorizzazione. L’affermazione della perentorietà dei termini, contenuta nello stesso articolo (comma 14), garantisce anche il soggetto in presenza di comportamenti dilatori delle amministrazioni pubbliche. Alla perentorietà, infatti, si ricollegano le conseguenze di cui all’art. 2, commi da 9 a 9-quater, della Legge 7 agosto 1990, n. 241, e quindi sia la considerazione del comportamento ai fini della valutazione della performance individuale, sia la responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.

2. La Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021: Novità in vista per le concessioni balneari di Andrea Nardone

A seguito di una lunga gestazione, in data 2 agosto 2022 è stata approvata dal Senato della Repubblica la Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 (legge 5 agosto 2022, n. 118). I 36 articoli che la compongono, suddivisi in 9 capi, hanno la finalità di recare disposizioni per la tutela della concorrenza, nell’assunto che quest’ultima rappresenti un asset fondamentale sul quale basare la ripresa dopo la pandemia.

Ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. e), Cost., la competenza a legiferare in tale materiaappartiene esclusivamente allo Stato. Proprio «al fine di rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo o amministrativo, all’apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza e di garantire la tutela dei consumatori», l’art. 47 della legge 23 luglio 2009, n. 99 ha previsto l’adozione, con cadenza annuale, di una Legge per il mercato e la concorrenza. Tuttavia, l’auto-obbligazione che il legislatore si è posto con tale norma è rimasta non di rado inadempiuta: in effetti, prima della legge n. 118/2022, solo in un’altra occasione si è fatto ricorso a tale strumento (legge 4 agosto 2017, n. 124), sicché le potenzialità dello stesso non sembrano essere state colte appieno sinora.

L’istituzionalizzazione di un appuntamento fisso come una legge annuale ha l’obiettivo di potenziare la sinergia tra l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, il Governo e il Parlamento. Nell’ordine, l’AGCM, ai sensi dell’art. 23 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, trasmette, entro il 31 marzo di ogni anno, una relazione sull’attività svolta nell’anno precedente al Governo, il quale, nei sessanta giorni successivi, recependo la relazione, nonché le segnalazioni e i pareri dell’AGCM, presenta un disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza, con allegata una relazione di accompagnamento. Il disegno di legge, quindi, viene esaminato dalle Camere: anche in caso di approvazione, solo una parte minoritaria delle disposizioni contenute nello stesso trova comunque immediata applicazione. Per la maggior parte, infatti, l’articolato potrà essere composto di deleghe al Governo ad emanare decreti legislativi, di autorizzazioni ad adottare regolamenti, decreti ministeriali o altri atti, di disposizioni recanti i principi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano le proprie competenze normative, ma anche di norme integrative o correttive di disposizioni.

In particolare, nel caso della legge n. 118/2022, la piena attuazione delle misure ivi previste richiede l’adozione di ben 19 provvedimenti tra decreti legislativi, decreti ministeriali e altri atti. Il tempo per procedervi è tiranno: l’entrata in vigore, entro la fine del 2022, di tutti gli strumenti per l’effettiva attuazione e applicazione delle misure derivanti dalla legge annuale sulla concorrenza, costituisce infatti uno dei traguardi (misura n. M1C2-8) previsti nell’allegato alla decisione di esecuzione con cui il Consiglio dell’Unione Europea, il 13 luglio 2021, ha approvato il PNRR. Non adempiere entro quella scadenza, dunque, porterebbe il nostro Paese a non beneficiare dell’erogazione delle risorse del Next Generation EU relative al secondo semestre del 2022. Si consideri inoltre, a tal proposito, che l’avvento di una maggioranza parlamentare diversa da quella che ha approvato le deleghe potrebbe rappresentare un fattore di allungamento dei tempi.

Passando ad esaminare i contenuti della legge n. 118/2022, all’interno di quest’ultima si possono annoverare misure in materia di regimi concessori, servizi pubblici locali, energia, sostenibilità ambientale, rifiuti, salute, infrastrutture digitali, servizi di comunicazione elettronica, nonché alcune rilevanti semplificazioni dei regimi amministrativi per le imprese (Capo VII). Il capo VIII, intitolato ‘Rafforzamento dei poteri in materia di attività antitrust’, prevede misure di potenziamento dell’attività dell’AGCM nel campo della vigilanza sulle concentrazioni (art. 32) e del contrasto all’abuso di dipendenza economica (art. 33); è altresì prevista l’introduzione di una nuova figura di transazione nei procedimenti condotti dall’AGCM (art. 34) e un’estensione dei poteri istruttori dell’AGCM (art. 35). Nel capo IX, l’articolo 36 prevede infine una clausola di salvaguardia, ai sensi della quale la legge in esame si applica «nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione».

Ad ogni modo, ci si intende soffermare ora su una delle parti maggiormente interessanti ed attualmente oggetto di vivace dibattito, ossia quella attinente alle concessioni balneari, contenuta nel capo II della legge n. 118/2022, intitolato ‘Rimozione di barriere all’entrata nei mercati. Regimi concessori’.

L’art. 2, dettandone i principi e i criteri direttivi, delega al Governo l’adozione, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, di «un decreto legislativo per la costituzione e il coordinamento di un sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici», e ciò con il fine di promuovere la massima pubblicità e trasparenza dei principali dati e delle informazioni relativi a tutti i rapporti concessori.

Con riferimento alle sole concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative e sportive, con l’art. 3 della medesima legge, specificamente dedicato a tali tipologie di concessioni, è stata di fatto “ratificata” la proroga delle stesse al 31 dicembre 2023, proroga già disposta dal Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria con le sentenze nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021. Tuttavia, l’assoluta eccezionalità di quel regime, quale appariva dal dictum dei giudici di Palazzo Spada, risulta ora scalfita dal comma 3 dell’art. 3: la norma in questione, infatti, ammette che «In presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva entro il 31 dicembre 2023, connesse, a titolo esemplificativo, alla pendenza di un contenzioso o a difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura stessa, l’autorità competente, con atto motivato, può differire il termine di scadenza delle concessioni in essere per il tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2024».

A parere di chi scrive, questa potrebbe rivelarsi essere una norma insidiosa, dal momento che, dietro alla duplice ripetizione dell’aggettivo «oggettivo», può in realtà celarsi il rischio di offrire l’estremo appiglio per procrastinare ulteriormente l’avvio delle procedure selettive. Sarebbe per tale ragione opportuno propendere per un’interpretazione restrittiva di tale disposizione, sottoponendo il differimento delle gare ad un onere di motivazione rafforzato in capo all’autorità competente.

Risulta infine opportuno analizzare l’art. 4 della l.118/2022, la quale delega al Governo l’adozione, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, di uno o più decreti legislativi volti a riordinare e semplificare la disciplina in materia di affidamento delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative e sportive. Tra i numerosi principi e criteri direttivi è previsto che l’affidamento debba avvenire «sulla base di procedure selettive, nel rispetto dei princìpi di imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento, massima partecipazione, trasparenza e adeguata pubblicità, da avviare con adeguato anticipo rispetto alla loro scadenza» (art. 4, co. 2, lett. b)).

Il decreto legislativo adottato sulla base dell’art. 4 potrebbe rappresentare dunque l’occasione per riconciliare il nostro ordinamento con la normativa europea nel settore dei servizi e delle attività economiche connessi all’utilizzo delle concessioni, portando così a risolvere, auspicabilmente, la procedura di infrazione n. 4118/2020 pendente nei confronti del nostro Paese. L’adeguatezza della normativa ventura a realizzare ulteriori interessi (ambientali, paesaggistici, culturali…) dipenderà, invece, dalla capacità di realizzare un contemperamento tra istanze private e pubbliche, locali e statali: in questo senso, si può peraltro segnalare criticamente che la clausola di invarianza finanziaria di cui all’art. 4, co. 5 rischia di privare il Governo e l’amministrazione delle dotazioni necessarie ad effettuare una revisione veramente organica della materia.

3. La nuova disciplina europea sull’export control e i rapporti con il golden power di Matteo Farnese

Nel panorama geopolitico attuale un ruolo di primo piano è stato occupato dalla disciplina nazionale ed europea relativa al controllo degli investimenti esteri diretti, che ha l’obiettivo di operare uno screening sui flussi di capitale estero in entrata (cd. Golden power). Accanto a questa normativa si è sviluppata anche una disciplina che guarda ai flussi in uscita mediante il controllo delle esportazioni di particolari tipologie di beni, soprattutto nel settore militare e della difesa (cd. Export control). Essa si presenta, quindi, come un necessario completamento del Golden power, idoneo ad assicurare ai pubblici poteri una supervisione generale sulle dinamiche economiche con potenziali impatti su interessi pubblici ritenuti particolarmente sensibili. Proprio per questa ragione è utile darne conto, mettendo in evidenza alcuni elementi di comparazione con la prima, anche al fine di meglio apprezzarne la portata e le implicazioni.

In verità, una disciplina nazionale sul controllo delle esportazioni si rinviene già nella legge 9 luglio 1990, n. 185, concernente l’esportazione ed importazione di materiali d’armamento. La legge prevede un controllo attraverso la richiesta di licenze di esportazione da parte delle società interessate all’Autorità nazionale – Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (UAMA), operante presso il Ministero degli affari esteri, che le esamina partitamente sulla base della normativa nazionale ed internazionale di riferimento. Come per il Golden power, quindi, l’istruttoria è svolta su ciascun singolo caso. Da notare poi che l’Autorità nazionale – UAMA partecipa al Gruppo di coordinamento della Presidenza del Consiglio per l’esercizio dei poteri speciali per il settore strategico della difesa, assicurando, ove necessario, l’esecutività delle prescrizioni riguardanti i prodotti a duplice uso, civile e militare.

Accanto alla normativa nazionale, a partire dal 2009, si è sviluppata anche una normativa europea sul controllo delle esportazioni di siffatti prodotti, che è stata profondamente innovata dal regolamento 20 maggio 2021, n. 821. Le principali novità in materia riguardano l’aggiornamento delle definizioni presenti nel regolamento, l’armonizzazione delle autorizzazioni generali per le esportazioni e l’ampliamento delle attività e dei prodotti soggetti ad autorizzazione.

In relazione alle definizioni, le categorie di esportazione ed esportatore sono stata ampliate in modo da includervi anche il solo transito nel territorio dell’Unione di prodotti di Stati terzi con destinazione esterna ai confini doganali comunitari e i dati contenuti nel bagaglio fisico delle persone viaggianti.

Quanto all’armonizzazione delle autorizzazioni generali, da un lato, ne sono state aggiunte di nuove per coprire, tra le altre, le fattispecie di intermediazione ed assistenza tecnica e, dall’altro, sono state introdotti nuovi elementi comuni in termini di condizioni e requisiti base per il rilascio di licenze, nonché di definizione di alcuni parametri, quali la durata delle licenze e l’attuazione di meccanismi interni alle imprese per la rilevazione del rischio di non conformità alla normativa di settore.

Con riguardo alle attività e ai prodotti soggetti ad autorizzazione, è stato ampliato l’elenco allegato al regolamento. Così, vi si trovano ora anche prodotti di sorveglianza informatica che possono comportare riflessi sulla protezione dei diritti umani e attività di intermediazione, trasporto e assistenza tecnica.

Con riguardo alla prima categoria, si parla di “prodotti a duplice uso appositamente progettati per consentire la sorveglianza dissimulata di persone fisiche mediante il monitoraggio, l’estrazione, la raccolta o l’analisi di dati provenienti da sistemi di informazione e telecomunicazione” (art. 2, paragrafo 20). L’esportazione di questi prodotti è subordinata ad autorizzazione anche nel caso in cui non siano espressamente previsti nella lista allegata al regolamento in due ipotesi: qualora l’esportatore sia stato informato dall’autorità nazionale competente che detti prodotti sono o possono essere destinati, in tutto o in parte, a un uso connesso alla repressione interna e/o all’attuazione di gravi violazioni dei diritti umani o del diritto umanitario internazionale; oppure qualora l’esportatore sia a conoscenza della destinazione di tali beni deve informare l’autorità nazionale competente, così da consentire alla stessa di valutare la necessità di una preventiva autorizzazione. In questi due casi, l’autorità nazionale competente è tenuta ad avvisare le autorità doganali, le altre autorità nazionali competenti e la Commissione europea fornendo informazioni sul prodotto e sull’entità interessate. L’autorità nazionale competente dovrà poi valutare l’autorizzazione tenendo in debita considerazione le osservazioni che riceverà in ottemperanza a tale procedura.

In questo caso è molto evidente l’analogia con il meccanismo di cooperazione sul controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione. Le autorità nazionali competenti scambiano informazioni riguardanti l’operazione in esame ma la decisione finale sarà in capo all’autorità dello Stato in cui si svolge la stessa. Questa procedura consente l’aggiornamento costante delle autorità competenti e una maggiore effettività del controllo nell’Unione.

Una differenza importante con il regime Golden power riguarda la previsione secondo cui l’autorità nazionale può non trasmettere le informazioni se ritiene “che ciò non sia opportuno alla luce della natura dell’operazione o del carattere sensibile delle informazioni in questione” (art. 5, paragrafo 4 Reg. UE 2021/821). Questa clausola sembra tutelare l’interesse dello Stato ma, al tempo stesso, potrebbe prestarsi ad un’interpretazione distorta, inficiando il meccanismo di controllo europeo.

In definitiva, la disciplina del controllo delle esportazioni a livello europeo risulta avere alcuni punti in comune con il controllo degli investimenti esteri diretti. In primo luogo, entrambe le discipline sono state oggetto di un recente ampliamento nell’ambito di applicazione delle stesse. In secondo luogo, le normative impongono un coordinamento a livello europeo al fine di scambiare informazioni tra le autorità nazionali e operare un controllo uniforme delle operazioni.

Tali caratteristiche permettono alla disciplina dell’Export control di essere oggetto di particolare attenzione rispetto a una futura evoluzione che completi lo strumento del Golden power. Questo permetterebbe un maggior controllo delle operazioni nell’attuale contesto di tensioni economiche globali. Alcune questioni sorgono, però, immaginando un’evoluzione simile a quella avuta dalla disciplina Golden power: è possibile un ampliamento del controllo sulle esportazioni di beni ulteriori rispetto a quelli già coperti dalla normativa, soprattutto in considerazione del fatto che il riferimento a concetti flessibili come “interesse nazionale” e “strategicità” non appare così marcato? Come si concilierebbe tale ampliamento con le libertà fondamentali previste nei Trattati? In conclusione, nonostante i punti di contatto tra le normative, la struttura delle due discipline sembra piuttosto diversa. Sembra ragionevole ritenere che gli elenchi di beni e attività previsti nella normativa del controllo delle esportazioni rispondano ad esigenze di tassatività nel controllo, seppur con necessari margini di flessibilità, mentre il controllo settoriale e l’ancoraggio a concetti suscettibili di interpretazione ampia della disciplina Golden power sembrano rispondere ad un’esigenza di controllo diffuso, difficilmente replicabile nella disciplina dell’Export control.

4. Capacity Italy. Uno strumento concreto di supporto agli enti territoriali nell’attuazione dei progetti del PNRR di Samuele Marcucci

Per l’attuazione degli interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza gli Enti Locali sono senz’altro il livello di amministrazione più sotto pressione. Il volume degli investimenti affidati a questi enti e le rigorose scadenze per la loro attuazione vanno in netto contrasto con l’impoverimento di personale e di professionalità subito nell’ultimo decennio. Infatti, il blocco del turnover che si è protratto per tutto il secondo decennio del nuovo secolo –ed è stato rimosso soltanto con la legge n. 56 del 19 giugno 2019– ha ridotto in modo molto significativo il numero dei dipendenti pubblici: questi attualmente assommano complessivamente a 3,2 milioni, che corrispondono ad una percentuale inferiore a quella dei principali paesi europei in rapporto sia all’insieme dei lavoratori occupati che al numero dei residenti. La situazione risulta ugualmente insoddisfacente dal punto di vista dell’età media dei dipendenti (superiore ai 50 anni) oltre che per quanto attiene alla preparazione e alla qualità professionale dei lavoratori pubblici, specie se si tiene conto delle competenze richieste dall’utilizzazione delle nuove tecnologie. Risulta infatti che solo il 3,4 % dei dipendenti pubblici in Italia ha conseguito una specializzazione post-laurea, mentre i titolari di laurea triennale o specialistica rappresentano il 28 % del totale.

Per far fronte a questa situazione, nella prospettiva dell’attuazione del PNRR, il Governo ha tentato di incrementare la capacità amministrativa di Regioni ed Enti Locali seguendo diverse strade: per un verso ha aumentato le possibilità di procedere ad assunzioni per le amministrazioni locali e ha semplificato e accelerato le procedure concorsuali, in particolare con i dd.ll. 44/2021 e 80/2021 nei quali sono previste norme che consentono, ad esempio, la possibilità di assumere personale altamente specializzato attingendo ad appositi elenchi istituiti presso il Portale del Reclutamento o la possibilità di inserire nelle procedure concorsuali una riserva fino al 40% per chi avesse collaborato a tempo determinato in attività legate al PNRR; per altro verso ha adottato piani estensivi di formazione e piani di formazione-lavoro, ad esempio prevedendo la possibilità alle amministrazioni di attivare specifici progetti rivolti ai giovani per l’acquisizione, attraverso contratti di apprendistato, di competenze di base e trasversali, nonché per l’orientamento professionale da parte di diplomati e di studenti universitari.

Queste linee di intervento però, per quanto mirate ed efficaci, hanno dei tempi di entrata a regime sicuramente più estesi di quelli necessari all’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Perciò, come strumento immediato di supporto concreto agli Enti Locali impegnati nell’attuazione dei progetti affidati loro, è stata creata un’unica piattaforma di supporto e assistenza tecnica denominata Capacity Italy. La realizzazione di questa piattaforma è stata resa possibile dalla partnership di tre importanti soggetti: Cassa Depositi e Prestiti, società per azioni a controllo pubblico con azionista di maggioranza il Ministero dell’Economia e delle Finanze che opera all’interno del sistema economico italiano su attività strategiche per lo sviluppo del Paese; Invitalia, Agenzia nazionale per lo sviluppo di proprietà del Ministero dell’Economia che ha come mission la crescita economica del Paese, puntando sui settori strategici per lo sviluppo e l’occupazione; MedioCredito Centrale, istituzione finanziaria con socio unico Invitalia Spa, che ha la missione di concorrere allo sviluppo del sistema economico e l’accrescimento della competitività del Paese, in particolare del Mezzogiorno.
Tali soggetti opereranno in collaborazione con il Nucleo PNRR Stato-Regioni presso il Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie con l’obiettivo di rendere più efficace l’assistenza tecnico-operativa fornita agli Enti Locali tramite le diverse centinaia di professionisti capaci di prestare servizi in task force multidisciplinari, integrando competenze giuridiche, economiche, tecniche e informatiche.

Per la startup del progetto sono stati previsti 40 milioni di euro di finanziamento iniziale, da integrare con il ricorso al Technical Support Instrument, il programma dell’UE che fornisce competenze tecniche agli Stati membri per la progettazione e l’attuazione delle riforme, e con quota parte delle risorse del PNRR (350 milioni di euro) destinate ai progetti di capacity building di competenza del Dipartimento della Funzione Pubblica. La piattaforma si propone di garantire un accesso semplice alle Amministrazioni, con la presa in carico dei bisogni e con la tempestività di risposta alle amministrazioni territoriali tramite il Portale Italia Domani. In particolare, l’assistenza tecnica è offerta sia con interventi standardizzati che personalizzati ed è rivolta: alla redazione dei bandi da parte delle amministrazioni centrali; alla diffusione della conoscenza dei progetti e dei relativi bandi da parte dei destinatari e alla sollecitazione della partecipazione da parte degli enti locali; a fornire supporto agli enti regionali e locali per la presentazione delle domande e dei progetti; a fornire supporto per la realizzazione dei progetti di investimento da parte degli enti aggiudicatari.


Tramite questo strumento si prevede quindi che, in attesa dell’effettivo incremento della capacità amministrativa delle Regioni e degli Enti Locali, questi possano beneficiare di un supporto tecnico qualificato e tempestivo nel completamento dei progetti del PNNR dei quali sono soggetti attuatori.

5. Amministrazione condivisa a Bologna di Beatrice Tabacco

L’amministrazione condivisa può rappresentare il prossimo passo nel percorso per la gestione dei beni e risorse pubbliche. Molti comuni d’Italia stanno iniziando ad affrontare la questione, tra questi il Comune di Bologna che ha recentemente sottoscritto il “nuovo Patto per l’amministrazione condivisa tra il Comune di Bologna, Terzo Settore e reti civiche cittadine”.

Il percorso che ha portato alla sottoscrizione del patto è iniziato nel febbraio del 2022 ed è stato l’espressione della collaborazione tra il comune, il Forum del Terzo Settore e la cittadinanza attiva: sono state coinvolte più di 500 cittadine e cittadini, sia rappresentanti di soggetti organizzati, sia cittadini attivi singolarmente.

La partecipazione al percorso è stata organizzata in assemblee pubbliche, laboratori e focus group tematici concentrati sugli elementi di novità rispetto al regolamento del 2014, il quale rappresenta una delle prime sperimentazioni a livello nazionale. Per assicurare la trasparenza del percorso e la massima partecipazione è stato realizzato uno spazio digitale per aggiornare e raccogliere le osservazioni sul documento del Patto.

Il lavoro realizzato dal Comune e dal Forum del Terzo è stato supportato da un Comitato scientifico di garanzia, animato principalmente dall’Università di Bologna, dell’Università di Tor Vergata, dall’ANCI Emilia Romagna e dall’AICCON, il cui coinvolgimento dimostra il lato sperimentale dell’Amministrazione condivisa. Il processo è ancora si suoi inizi e per ottenere risultati più efficaci e duraturi nel tempo è fondamentale studiare e tutelare i suoi processi, a partire dalla fase embrionale per arrivare alla messa in atto delle politiche approvate. Tutto questo è possibile solo grazie ad un Comitato scientifico che ne garantisce i processi.

Il documento approvato rappresenta una risorsa per dare risposte e creare sviluppo nella fase post-pandemica. Dopo un periodo caratterizzato dalla distanza sociale e dalla difficile ripartenza, una maggiore collaborazione, alla pari tra amministrazione e cittadinanza attiva, ha la possibilità di dare vita a nuove sinergie.

La formazione di un osservatorio permanente di confronto sull’amministrazione condivisa è tra le principali novità introdotte. L’osservatorio è formato dagli Stati generali dell’amministrazione condivisa e dal Comitato di impulso e monitoraggio. Con il nuovo regolamento è possibile sottoscrivere tre tipologie di impegni condivisi: gli impegni di processo, gli impegni di attuazione e gli impegni trasversali.

La programmazione e la progettazione condivisa saranno riconosciuti come strumenti primari con la modifica dello statuto del Comune di Bologna. Il ruolo riconosciuto a questi strumenti dimostra l’intenzione di ridurre la logica competitiva in favore di una più ampia collaborazione civica.

Tramite la realizzazione di un’unica cornice normativa tutti gli strumenti a disposizione dell’amministrazione condivisa saranno raccolti insieme ai soggetti e le forme di sostegno previste dall’Amministrazione comunale.

Il nuovo regolamento prevedrà l’iscrizione nell’elenco delle forme associative anche i gruppi informali, così permettendo la partecipazione di un più ampio novero di soggetti e riconoscerebbe, in aggiunta, il valore dei soggetti meno strutturati.

La valutazione e il monitoraggio dei risultati e degli impatti saranno qualificati come parte della progettazione territoriale. Sarà previsto anche un sistema strutturato di raccolta e condivisione dei dati per indirizzare le politiche pubbliche.

Verrà effettuato il riordino e il rafforzamento dell’uso di immobili e spazi pubblici, i quali sarebbero distinti nell’utilizzo: uso occasionale, uso transitorio e uso stabile. Si prevede dunque una maggiore apertura nei confronti dei soggetti informali.

In ultimo, tra le novità ci sarà la definizione e l’allargamento delle forme di sostegno a favore della collaborazione civica.

Il nuovo Patto per l’amministrazione condivisa entrerà in vigore con la delibera di Giunta e contestualmente verrà avviato l’iter per l’adozione del nuovo Regolamento sulle forme di collaborazione per lo svolgimento di attività di interesse generale e per la cura e la rigenerazione e dei beni comuni urbani.  

6. L’accesso civico non si applica alle società pubbliche quotate: il caso Rai di Elena Valenti

La pronuncia del Consiglio di Stato, sezione sesta, 21 settembre 2022, sent. n. 7896, trae origine dal ricorso al Tar di una giornalista dipendente della Rai, per l’annullamento del diniego dell’istanza ostensiva da quest’ultima promossa su atti relativi a nomine ed avanzamenti di carriera che hanno interessato taluni giornalisti Rai.

L’istanza veniva formulata invocando, nel medesimo gravame, sia l’accesso documentale di cui alla legge n. 241/1990, che quello civico, con riferimento, sia alla comunicazione formale, obbligatoria e preventiva, fatta dal direttore del telegiornale al competente comitato di redazione, sia ai documenti contenenti le ragioni e i riferimenti, normativi e contrattuali, circa la scelta delle risorse interne da destinare alle promozioni, nonché con riferimento alle schede di valutazione di tutti i giornalisti sottoposti a scrutinio.

La Rai opera sul mercato in veste privatistica di società per azioni. Pur agendo mediante atti di diritto privato, conserva elementi di natura pubblicistica, che sono ravvisabili sia nella prevista nomina di numerosi componenti del consiglio di amministrazione, non già da parte del socio pubblico, ma da un organo ad essa esterno quale la Commissione parlamentare di vigilanza, sia nell’indisponibilità dello scopo da perseguire prefissato a livello normativo.

È inoltre una società a partecipazione pubblica ed è la concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo, sicché è da considerarsi certa la sua riconducibilità di pieno diritto all’ambito di applicazione della normativa sul diritto di accesso, ai sensi dell’ art. 23 della legge n. 241 del 1990 che, non a caso, menziona tra i soggetti passivi del diritto di accesso, accanto alle pubbliche amministrazioni e agli enti pubblici, anche i «gestori di pubblici servizi», nel cui novero va certamente collocata la RAI.

Il Tar, con sent. n. 11977/2020, accoglie il ricorso, ravvisando la sussistenza di un interesse all’accesso qualificato, connotato dai requisiti della personalità, concretezza ed attualità, riscontrando la fondatezza della pretesa ostensiva, in quanto la discrezionalità delle scelte direttoriali non avrebbe potuto impedire agli interessati di verificare la corretta applicazione nei propri confronti delle regole che disciplinano, a monte, la formazione delle graduatorie.

Il diritto di accesso viene tuttavia riconosciuto, ai sensi dell’art. 22, l. n. 241/1990, unicamente con riferimento agli atti effettivamente formati e detenuti dalla RAI, essendo ontologicamente impossibile che esso sia effettuato rispetto ad atti non documentati.

Secondo la scienza giuridica e la giurisprudenza, l’amministrazione può e deve consentire l’accesso unicamente a documenti già esistenti e che siano in suo possesso, in quanto, alla luce del principio ad impossibilia nemo tenetur,  l’istanza di accesso ai documenti amministrativi deve riferirsi a ben specifici documenti e non può comportare la necessità di un’attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta: l’ostensione degli atti non costituisce uno strumento di controllo generalizzato sull’operato della pubblica amministrazione nei cui confronti l’accesso viene esercitato, con la conseguenza che l’onere della prova anche dell’esistenza dei documenti, rispetto ai quali si intende esercitare il diritto di accesso, incombe sulla parte che agisce in giudizio, mentre spetta all’amministrazione destinataria dell’accesso indicare, sotto la propria responsabilità, quali sono gli atti inesistenti che non è in grado di esibire.

Il Consiglio di Stato è chiamato a pronunciarsi sulla vicenda, in seguito al ricorso proposto avverso la sentenza di primo grado del Tar dalla Rai S.p.A., la quale ritiene insussistente l’interesse specifico all’accesso agli atti, che si manifesterebbe come inammissibile forma di controllo generalizzato sull’attività della società stessa, nonché sulle scelte discrezionali di linea editoriale, e asserisce l’inesistenza dei documenti cui si richiede l’accesso.

I giudici di Palazzo Spada accolgono il ricorso proposto dalla Rai.

Secondo questi ultimi, una volta che la parte resistente abbia dichiarato, assumendone la responsabilità, da un lato, quali siano i documenti inesistenti, per i quali vi è, dunque, un’oggettiva e assoluta impossibilità di provvedere alla relativa ostensione,  dall’altro, le ragioni sottese alla loro mancata formazione, nella specie riguardanti l’asserita informalità delle procedure selettive in parola e la supposta assenza di un obbligo di forma scritta, il giudice deve prendere atto dell’inesistenza (allegata e giustificata) dei documenti richiesti, pervenendo al rigetto della pretesa ostensiva per carenza del suo oggetto, «salvo che dagli atti di causa emergano elementi istruttori volti a minare la veridicità di quanto dichiarato dalla resistente, circostanza nella specie da escludere».

Con specifico riferimento all’accesso c.d. difensivo, inoltre, è stato osservato che la parte istante è tenuta all’adempimento di un onere di allegazione e di prova aggravato, dovendo specificare le finalità dell’accesso nell’istanza di ostensione, nonché dimostrare la necessità o la stretta indispensabilità per i dati sensibili e giudiziari, la corrispondenza e il collegamento tra la situazione che si assume protetta ed il documento di cui si invoca la conoscenza.

L’istanza di accesso risultava, dunque, funzionale, anziché ad una verifica esplorativa dei profili di carriera di propri colleghi ad una disamina del modus procedendi osservato dalla RAI nel conferimento dei contestati incarichi, formalmente impugnati con la stessa istanza del 12 giugno 2019.

Per i giudici di Palazzo Spada, restava dunque da esaminare la residuale ammissibilità o meno dell’istituto dell’accesso civico generalizzato nei confronti di Rai S.p.a.

L’ art. 2 – bis del d. lgs n. 33/2013, c.d. «accesso civico», disponendo che la disciplina dell’accesso civico generalizzato si applica, in quanto compatibile, oltre che alle pubbliche amministrazioni, anche agli enti pubblici e società in controllo pubblico, esclude espressamente l’applicabilità alle società pubbliche quotate, tra le quali rientra, con certezza, la società assegnataria del servizio pubblico,

Più precisamente, RAI è quotata sul mercato per il tramite di Rai Way, controllata facente parte del gruppo RAI, che gestisce la diffusione del segnale radiotelevisivo.

Con sent. n. 7896/2022, Il Consiglio di Stato, sezione sesta, ha chiarito che si tratta di una disciplina che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. p), d. lgs. n. 175/2016, è inapplicabile alle società a partecipazione pubblica quotate che emettono azioni quotate in mercati regolamentati e che hanno emesso, alla data del 31 dicembre 2015, strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati, per espressa disposizione normativa.

Il legislatore, nel disporre l’esclusione per le società quotate, opera un bilanciamento tra la salvaguardia degli interessi pubblici, sottesi alla normativa sulla trasparenza (e anticorruzione), e la tutela degli investitori dei mercati finanziari, stante l’operatività, nel settore delle società quotate, di un sistema specifico e autonomo di obblighi, controlli e sanzioni. La disposizione prevista dall’art. 2, comma 1, d. lgs. 175/2016, risponde all’esigenza di scongiurare possibili interferenze nel mercato finanziario rispetto al flusso informativo generato dall’esercizio dell’accesso civico generalizzato.

7. Caro bollette. L’Antitrust alza il muro di Carlo Garau

Il 28 ottobre l’AGCM ha adottato quattro provvedimenti cautelari nei confronti delle quattro società Iren, Iberdrola, E.ON e Dolomiti, fornitrici di energia elettrica e gas naturale sul mercato libero, responsabili del mancato rispetto del divieto posto dall’art. 3 del D.L. 115/2022 (c.d. “Aiuti-bis”).

La norma in questione, adottata per tutelare i clienti dai rincari energetici, sospende fino al 30 aprile 2023 l’efficacia di ogni clausola contrattuale che consenta al soggetto fornitore di energia la modifica unilaterale delle condizioni generali del contratto relative al prezzo ancorché sia riconosciuto il diritto di recesso alla controparte. Il secondo comma dello stesso articolo, inoltre, prevede in via retroattiva, per lo stesso periodo di tempo, l’inefficacia dei preavvisi comunicati prima dell’entrata in vigore del decreto salvo che le modifiche contrattuali non siano già perfezionate.

I provvedimenti adottati dall’Autorità dispongono la sospensione delle condotte, segnalate dai consumatori, ritenute in contrasto con la previsione normativa di cui all’articolo 3.

In particolare, i provvedimenti adottati nei confronti di Iberdola e E.ON. fanno riferimento a condotte analoghe da parte delle imprese fornitrici in questione. Entrambe hanno comunicato ai propri clienti l’intento di avvalersi della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi del 1467 del Cod. Civ., prospettando in alcuni casi agli stessi la possibilità di sottoscrivere nuove condizioni contrattuali sostitutive di quelle originali. L’autorità ha ritenuto che questa condotta, seppur non qualificata come modifica unilaterale del contratto, rientri pienamente nell’ambito oggettivo dell’articolo 3. In sostanza, la prevista e minacciata risoluzione del contratto, afferma il provvedimento, condiziona in modo indebito il consumatore inducendolo ad accettare nuove condizioni contrattuali. La condotta posta in essere dalle società risulta essere in contrasto sia con la disciplina contrattuale che con la regolazione dell’ARERA in materia di termini per la modifica unilaterale del contratto che per l’esercizio del recesso che richiedono un termine rispettivamente di tre e di sei mesi. Inoltre, viene sottolineato, la risoluzione per eccessiva onerosità non può operare in via automatica ma solo dopo una pronuncia costitutiva da parte dell’autorità giudiziale, come chiarito anche dal Comunicato congiunto AGCM-ARERA del 13 ottobre.

Diversi, invece i motivi di contrasto con la disciplina alla base della pronuncia indirizzata a Dolomiti, la quale aveva ritenuto valide e perfezionate le comunicazioni di modifica unilaterale del prezzo di fornitura inviate prima dell’entrata in vigore del decreto sulla base di un’interpretazione che distingue il momento perfezionativo, rappresentato dalla mera ricezione da parte del destinatario della modifica della modifica unilaterale prevista, da quello in cui si producono gli effetti della variazione contrattuale. Tale lettura è stata ribaltata dall’Autorità che ha ritenuto, invece, applicabile il secondo comma dell’articolo 3, distinguendo il momento della ricezione della comunicazione da quello del perfezionamento della modifica che si realizza solo allo spirare del termine entro cui il destinatario può scegliere se accettare le condizioni ovvero recedere dal contratto.

Iren, invece, aveva indebitamente comunicato a propri clienti lo scadere delle condizioni economiche in base a una disposizione delle condizioni generali del contratto. Anche in questo caso, l’Autorità nega che la mancata qualificazione di tale comunicazione come modifica unilaterale ne escluda l’appartenenza all’ambito applicativo del divieto di cui all’articolo 3. Infatti, proprio in virtù dell’eccezionalità del momento il legislatore è intervenuto adottando misure in deroga al principio di libertà contrattuale esprimendo un favor verso l’esigenza di tutela del consumatore. Pertanto, ogni variazione unilaterale delle condizioni economiche di fornitura rientra nel divieto in questione, salvi i casi in cui le nuove condizioni di offerta siano specificamente e puntualmente individuate nei contratti e, quindi, espressamente già conosciute e accettate dai consumatori risolvendosi in evoluzioni automatiche del contratto in essere.

Intanto, sono altre 25 le società nei confronti delle quali l’AGCM ha indirizzato la proprio lente che dovranno rispondere alla richiesta di informazioni in merito alle condotte adottate oltre il 10 agosto.

Sembra, tuttavia, lecito chiedersi, anche alla luce dell’interpretazione data alla norma molto vicina all’intenzione del legislatore e affatto restrittiva, se tale intervento normativo sia sufficiente a tenere adeguato conto delle esigenze di sostenibilità economica delle imprese fornitrici di energia nel mercato libero chiamate a far fronte all’incremento dei costi di approvvigionamento delle commodity e, in virtù degli effetti retroattivi del secondo comma, a ripianificare le proprie strategie di mercato.

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