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IL CONTROLLO DELLA CORTE DEI CONTI SUL P.N.R.R E LE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA QUOTATE

26/06/2023

A cura di Elena Valenti

Nel complesso ed articolato sistema delle attribuzioni della Corte dei conti deve essere ora annoverata la funzione di controllo assegnata nell’ambito della disciplina della governance del PNRR.

Il legislatore nel dettare la governance del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha fatto riferimento al generale strumento del controllo successivo sulla gestione aggiungendo tuttavia alcune ulteriori disposizioni. Il decreto-legge n. 77 del 2021, infatti, prevede un articolato sistema di controllo, audit, anticorruzione e trasparenza in cui è decisivo il controllo sulla gestione svolto dalla Corte dei conti, incaricata delle valutazioni di economicità, efficienza ed efficacia circa l’acquisizione e l’impiego delle risorse finanziarie provenienti dai fondi del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza. Tale controllo si svolge in cooperazione e coordinamento con la Corte dei conti europea. La Corte dei conti è anche chiamata a riferire al Parlamento con una frequenza almeno semestrale sullo stato di attuazione del PNRR. Lo stesso decreto-legge n. 77 del 2021, peraltro, ha ribadito che gli atti, i contratti ed i provvedimenti di spesa adottati dalle amministrazioni per l’attuazione degli interventi del PNRR sono sottoposti ai controlli ordinari di legalità e ai controlli amministrativo contabili previsti dalla legislazione nazionale applicabile. In estrema sintesi, si può dire che nell’ambito della realizzazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza saranno sostanzialmente coinvolte tutte le funzioni di controllo della Corte dei conti previste dalla Costituzione, con riguardo sia al controllo preventivo e successivo.

A questi si aggiunge il controllo concomitante. L’obiettivo di tale controllo è quello di intervenire durante l’attuazione di un piano, programma o progetto, esercitando una azione acceleratoria e propulsiva dell’azione amministrativa e assicurando al contempo un corretto impiego delle risorse pubbliche

In data 31 marzo 2022 le sezioni riunite della Corte dei Conti hanno pubblicato la prima Relazione sullo stato di attuazione del Piano di Ripresa e Resilienza, all’interno della quale si sottolinea che il biennio 2021- 2022 «ha rappresentato un banco di prova interessante per esaminare la capacità del settore delle costruzioni di raggiungere livelli produttivi più elevati, e le dinamiche dei mercati internazionali segnalano come il comparto si approssimi alla saturazione della capacità produttiva, necessitando esso stesso di investimenti e allargamento della base produttiva per tenere il passo degli obiettivi ambiziosi del Piano».

Al fine di raggiungere gli obiettivi previsti dal Piano il legislatore ha previsto diverse semplificazioni tra le quali è utile mettere in evidenza la deroga prevista per i procedimenti di affidamento dei contratti, artt. 1 e 2 del d.l. n. 76/2020, la deroga alle competenze ordinarie previste dalla legge per la gestione di determinati procedimenti fa al fine di una maggior centralizzazione delle decisioni (si pensi alle figure dei comitati istituiti ad hoc), e infine il regime di favore previsto in tema di  responsabilità amministrativa per danno erariale. L’elemento acceleratorio è stato rinvenuto, come è largamente noto, sul presupposto che la prospettiva di una responsabilità collegata alla propria condotta, posta in essere in violazione di norme, costituisca un “freno” all’agente nell’operare in applicazione della normativa di favore. Il meccanismo su cui si fonda la tenuta del regime di favore, volto al raggiungimento degli obiettivi previsti dal Piano, è individuato dal legislatore nell’incremento del sistema dei controlli.

Ciò risulta non solo dalle previsioni che introducono nuove fattispecie che legittimano l’avocazione, o controlli di tipo sostitutivo, con i quali si intende ovviare ad una disfunzione del sistema quale l’inerzia dell’agente a cui spetta di provvedere (si pensi alla legittimazione dei commissari ad acta individuati dalla Cabina di regia di cui all’art. 2 del d.l. n. 77/2021) ma, soprattutto, dall’introduzione del controllo concomitante.

Il controllo concomitante si fonda sulla verifica costante “in tempo reale” del raggiungimento degli obiettivi prefissati. Tale forma di controllo risulta essere una novità per l’amministrazione.

La scelta del legislatore risulta dunque volta a rafforzare il controllo della Corte dei conti nella fase attuativa del piano.

In estrema sintesi può essere affermato che il legislatore nazionale ha inteso disegnare le attribuzioni della Corte dei conti in tema di attuazione del PNRR, alla stregua di un trait d’union tra “apparato amministrativo” e Parlamento, onde assicurare il fluido ed aggiornato monitoraggio dell’azione di Governo.

Il controllo concomitante non è esente da rischi. Esso, inserendosi nella fase attuativa del piano, potrebbe rallentare l’esecuzione degli interventi e rappresenterebbe una duplicazione del controllo della Commissione Europea,

I controlli della Corte dei conti devono rimanere ancorati a quanto disciplinato dal decreto-legge sulla governance del PNRR, che prevede una forma di controllo non in corso d’opera, bensì successiva, al fine di evitare una duplicazione e un conseguente rallentamento della fase attuativa.

Il controllo concomitante coincide con una cogestione che va ben al di là delle competenze che la Costituzione per il tramite dell’art. 100 attribuisce alla Corte dei conti.

Tali problemi hanno quindi comportato che il controllo concomitante sia ora oggetto di revisione per il tramite del decreto-legge del 5 giugno 2023 n. 44 rubricato “Potenziamento delle amministrazioni pubbliche” il quale introduce misure volte nel complesso a garantire il rafforzamento delle amministrazioni pubbliche.

Il decreto prevede la cancellazione del «controllo concomitante» della Corte dei conti sugli atti delle pubbliche amministrazioni con l’esclusione dal perimetro dei piani, programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale, di quelli previsti o finanziati dal PNRR e di quelli del Piano nazionale per gli investimenti complementari.

Non è da escludere un possibile ricorso della Corte dei conti alla Consulta per sollevare l’illegittimità costituzionale del provvedimento.

A questo punto, occorre chiedersi se il ruolo delle società partecipate quotate nell’ambito dei processi di attuazione del PNRR si coordini con le funzioni di controllo che l’ordinamento ha conferito alla Corte dei conti in tema di attuazione del PNRR.

Dall’art. 9 del decreto-legge del 31 maggio 2021, n. 77 si desume che le società a partecipazione pubblica riconducibili alla tipologia di “società quotate” alla stregua dell’art. 2, comma 1 del TUSP possono essere coinvolte nella attuazione degli interventi previsti dal piano, in qualità di collaboratori esterni, ai sensi dell’art 9. comma 1.

La norma non è puntuale nel definire le modalità di individuazione dell’«attuatore» esterno se non nel caso in cui sia indicato dallo stesso PNRR, facendo riferimento generico a “le modalità previste dalla normativa nazionale ed europea vigente”.

Tuttavia, una serie di disposizioni contenute nel decreto-legge n.77/2021 rende evidente che il riferimento è nelle linee generali dell’attività amministrativa che rinvengono la loro sede fondamentale nella l. 7 agosto 1990, n. 241 il cui art. 1, co. 1 ter, vincola i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative ad assicurare “il rispetto dei criteri e dei principi di cui al comma 1, con un livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni”.

Dal che deve anche desumersi che vincoli operativi dei soggetti attuatori terzi nell’ambito del PNRR sono fisiologicamente riconducibili alle generali regole di garanzia desumibili dalla legge nazionale n. 241 del 1990 e dalla normativa europea vigente e non anche da norme del TUSP, non espressamente applicabili alle società quotate.

Le regole generali di tale controllo, tracciate nel medesimo art. 9, ai commi 3, 3 bis, e 4, testualmente dispongono che gli atti, i contratti ed i provvedimenti di spesa adottati dalle amministrazioni per l’attuazione degli interventi del PNRR sono sottoposti ai controlli ordinari di legalità e ai controlli amministrativo-contabili previsti dalla legislazione nazionale applicabile. I controlli di cui al comma 3 sono espletati anche nei  casi di cui all’articolo 50, comma 3,  ovvero  nei casi di esecuzione anticipata di cui all’articolo 32, commi 8  e  13, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.  Le amministrazioni di cui al comma 1 assicurano la completa tracciabilità delle operazioni e la tenuta di un’apposita codificazione contabile per l’utilizzo delle risorse del PNRR secondo le indicazioni fornite dal Ministero dell’economia e delle finanze. Conservano tutti gli atti e la relativa documentazione giustificativa su supporti informatici adeguati e li rendono disponibili per le attività di controllo e di audit.

Sembra chiaro, dunque, che soggetti passivi del controllo della Corte dei conti sono sempre le amministrazioni competenti per l’attuazione del Piano – istituzionalmente o in quanto da questo individuate – e non anche i soggetti terzi eventualmente coinvolti nel processo attuativo, previa apposita convenzione.

Le disposizioni del T.U.S.P e quelle del PNRR operano in ambiti differenti, senza che la tipologia di controllo della Corte interferisca sul regime contemplato dal Testo Unico, per la tipologia delle partecipate quotate.

A tali conclusioni deve pervenirsi, sebbene si registri una qualche tendenza dottrinale a ritenere che il T.U. abbia mantenuto in vigore l’ibrida sopravvivenza, nella esternalizzazione, di una propaggine dell’«amministrazione pubblica» in aperto contrasto con gli obiettivi del Testo unico.

Invero a parte la disposizione dell’art. 1, co. 3, T.U. che chiaramente individua, nella società a partecipazione pubblica, un soggetto giuridico “terzo”, del tutto distinto dal socio pubblico partecipante e a riflessione ulteriore induce l’esame del comma 5 del medesimo art. 1, in correlazione con la tipologia che lo stesso art. 1, co, 4, lett. a) esclude del tutto dall’ambito di applicazione del Testo Unico.

Ciò implica, infatti l’individuazione, nelle “quotate”, di un genus del tutto differente, in cui è proprio la particolare situazione nel mercato a indurre la disciplina di favore contenuta nel Testo Unico (che mal si concilierebbe con la sopravvivenza del controllo della Corte dei conti, oltre la soglia del momento genetico della quotazione o dell’acquisto di partecipazioni in società quotate, che comporti l’acquisto dello status di socio).

Per finire, un ruolo non indifferente (per escludere, in capo alle quotate, la sopravvivenza si disposizioni legislative o statutarie incompatibili con la regolamentazione) deve essere riconosciuto alla disposizione che, nel Testo Unico individua le Amministrazioni pubbliche facendo riferimento alle “amministrazioni indicate all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del  2001, i loro consorzi o associazioni per qualsiasi fine istituiti, gli enti pubblici economici e le autorità di sistema portuale”. La norma, infatti, sembra escludere in radice una qualche residuale coincidenza, nelle società a partecipazione pubblica quotate, delle connotazioni pubblicistiche degli organismi dai quali, in ipotesi, hanno tratto origine.

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