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L’AFFIDAMENTO DIRETTO È UNA PROCEDURA DI GARA?

A cura di Gaia Mazzei

14/06/2021

L’affidamento diretto disciplinato dall’art. 36, comma 2, lett. a) del D.lgs. n. 50/2016 è una delle modalità di individuazione del contraente a cui fanno maggiormente ricorso le amministrazioni per gli affidamenti al di sotto della soglia comunitaria.

L’istituto trova applicazione negli affidamenti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore a 40.000 euro ed è contraddistinto dalla mancanza di step procedurali predeterminati e affini alle altre procedure previste dal Codice.

Un notevole incentivo al suo ricorso è originato anche dall’ulteriore semplificazione dell’istituto operata dell’art. 1, comma 2, lett. a) e b) del D.L. Semplificazioni. Nello specifico, con l’obiettivo di incoraggiare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici e per fronteggiare le ricadute economiche negative causate dall’emergenza sanitaria, l’art. 1 precisa che, per gli appalti la cui determina a contrarre, o atto equivalente, è adottata entro il 31 dicembre 2021, si può procedere ad affidamento diretto dei lavori per importo inferiore a 150.000 euro e per servizi e forniture, inclusi i servizi di ingegneria e architettura e l’attività di progettazione, per importi inferiori a 75.000 euro.

La dubbia semplicità che qualifica questa modalità di affidamento ha, di fatto, portato le stazioni appaltanti ad utilizzare una sequela di cautele aggiuntive non espressamente richieste dalla legge: è il caso, ad esempio, della richiesta dei preventivi a più operatori o della descrizione del criterio di aggiudicazione. Le critiche a questa modalità operativa, ritenuta contrastante alla ratio legis dell’affidamento diretto, trovano la propria origine nella risposta ad un quesito fondante, ovvero se l’affidamento diretto possa essere considerato una procedura di gara. Una risposta autorevole sulla questione è stata di recente fornita dalla sentenza n. 3287/2021 del Consiglio di Stato. Nel caso risolto dai giudici di Palazzo Spada, una stazione appaltante aveva intrapreso una procedura ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. a) del D.L. n. 76/2020, richiedendo ad alcuni operatori economici un preventivo per l’acquisto di scope e palette per l’immondizia; nell’avviso, la stazione appaltante aveva precisato che si sarebbe comunque riservata di avviare possibili negoziazioni con uno o più operatori economici interpellati ritenuti idonei all’esecuzione della prestazione richiesta, senza alcun vincolo sulla scelta finale. In un momento successivo alla ricezione dei preventivi, e in seguito alla richiesta agli operatori economici di fornire le schede tecniche e dei campioni dei prodotti richiesti, la stazione appaltante aveva deciso di procedere con l’aggiudicazione, alla società che aveva offerto il prezzo più basso, di solo una parte delle attrezzature segnalate nella richiesta di preventivo, affidando a successive indagini di mercato l’acquisto, in particolare, delle palette.

Una delle società invitate proponeva ricorso al TAR Liguria, lamentando l’illegittimità dell’aggiudicazione per violazione della lex specialis di gara, ritenendo che il prodotto offerto dall’aggiudicatario non rispondesse alle specifiche tecniche richieste dalla stazione appaltante, e per violazione della par condicio, avendo la stazione appaltante proceduto all’acquisito solo di una parte dei beni inizialmente indicati nell’avviso. I giudici, nell’accogliere il ricorso della ricorrente, hanno valutato l’affidamento diretto oggetto del contenzioso come una vera e propria procedura di gara, specialmente per il fatto che la stazione appaltante aveva indicato le peculiarità dei prodotti, aveva fissato un disciplinare di gara e aveva predeterminato il criterio di aggiudicazione. Il Consiglio di Stato, riformando la sentenza del TAR Liguria, ha invece sostenuto che la semplice procedimentalizzazione dell’affidamento diretto, mediante l’acquisizione di una molteplicità di preventivi e l’indicazione dei criteri per la selezione degli operatori, non muta l’affidamento diretto in una procedura di gara, né autorizza i soggetti che non siano stati selezionati a contestare le valutazioni poste in essere dall’Amministrazione in relazione alla conformità dei prodotti offerti alle proprie esigenze. Ripercorrendo i tratti fondamentali dell’istituto, i giudici hanno rammentato che l’affidamento diretto previsto dal D.L. Semplificazioni, come quello in esame, non prevede specificatamente la consultazione di più operatori economici, e che lo stesso art. 36 del Codice dei contratti pubblici, nella sua formulazione attuale, dispone la consultazione di cinque operatori economici unicamente nell’ipotesi di cui alla lettera b), ovvero per gli affidamenti diretti di appalti di servizi e forniture di importo compreso tra 40.000 euro e la soglia comunitaria, o 150.000 euro per i lavori.In merito, poi, alla stessa motivazione dell’affidamento, i giudici hanno sottolineato che sia l’art. 32, comma 2, del Codice, che l’art. 1, comma 3, del D.L. Semplificazioni, richiedono solamente che la stazione appaltante motivi in relazione alla scelta dell’affidatario, indicando sinteticamente nella determina a contrarre, o in un atto equivalente, l’oggetto dell’affidamento, l’importo, il fornitore, le ragioni della scelta del fornitore, il possesso da parte sua dei requisiti di carattere generale, nonché il possesso dei requisiti tecnico-professionali, ove richiesti. In definitiva, il Consiglio di Stato ha ritenuto che per le peculiarità del procedimento di acquisto posto in essere nel caso concreto dalla stazione appaltante, ovvero un affidamento sotto soglia, ancora più semplificato rispetto a quello previsto dall’art. 36 del Codice, la stazione appaltante era libera di individuare il prodotto più corrispondente alle proprie esigenze, senza la necessità di passare per delle attività procedimentali determinate, fermo restando l’obbligo di motivazione. La pronuncia analizzata si inserisce, in realtà, in un solco segnato già dal MIT, in risposta ai quesiti nn. 753 e 764 del 10 dicembre 2020, che, interessandosi delle procedure derogatorie di cui al D.L. n. 76/2020, ha avuto modo di evidenziare che l’affidamento diretto non ipotizza una specifica motivazione, né lo svolgimento di indagini di mercato, né l’obbligo di richiedere preventivi, poiché la finalità dell’istituto è quella di addivenire ad affidamenti in tempi rapidi per appalti di valore esiguo, con procedure snelle. In conformità, peraltro, con le medesime Linee Guida ANAC n. 4, il MIT ha sottolineato che, per gli appalti di modesto importo, la facoltà concessa alle stazioni appaltanti di confrontare più offerte, non costituisce un obbligo, ma è comunque una best practice. L’eventuale richiesta di preventivi e le modalità mediante cui addivenire all’individuazione del contraente diretto rientrano nella discrezionalità della stazione appaltante: il limite sarebbe rappresentato, secondo il MIT, dal rispetto della necessità che tali attività non pregiudichino la celerità propria dell’istituto, specialmente in considerazione della ratio delle norme derogatorie di cui al D.L. Semplificazioni, e dal rispetto dell’art. 30 del Codice dei contratti pubblici, ovvero dei principi generali di non discriminazione e trasparenza. Indipendentemente dalla rilevanza della pronuncia esaminata e degli spunti provenienti dal MIT, è comunque sempre indispensabile rammentare l’imprescindibilità dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 3, l. n. 241/1990, che si concretizza nell’esplicitazione delle ragioni della scelta del fornitore ai sensi dell’art. 32, comma 2, D.lgs. n. 50/2016.

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