Lab-IP

Le misure amministrative nella lotta al terrorismo

LAURA TROTTA

22/03/2019

Le istanze securitarie conseguenti alla minaccia terroristica, dilagante a livello globale, hanno inevitabilmente portato all’aumento dell’adozione,tra le altre, di misure di prevenzione personali e patrimoniali aventi natura amministrativa. Questo perché l’idea di combattere tale fenomeno facendo ricorso a strumenti diversi da quelli predisposti dal diritto penale è certamente allettante, sia per le agenzie governative che per il legislatore stesso, in quanto essi consentono di evitare le lungaggini e le numerose garanzie proprie del diritto e del procedimento penale. Ciò ha portato alla luce, inevitabilmente, lo spinoso problema del bilanciamento tra diritti procedurali spettanti agli individui ed esigenze di sicurezza collettiva volte alla prevenzione del fenomeno in esame. Le misure preventive amministrative utilizzate nella lotta al terrorismo possono essere genericamente definite come “restrictive measures aimed at preventing terrorism within the territory of a state, decided upon and ordered by the executive (or with its close involvement), and subject to limited judicial
review”.
Esse si collocano in una sorta di “linea d’ombra”, tra procedimenti amministrativi e penali, in quanto ledono i diritti dei soggetti ad esse sottoposti pur non potendo essere considerate quali sanzioni penali in senso stretto. Sono infatti adottate dalle autorità di sicurezza, (e non dall’autorità giudiziaria), nei confronti di persone ritenute potenzialmente pericolose. Esse sono sì misure di sicurezza amministrative, ma comportano ugualmente effetti punitivi gravosi dal momento che incidono nella sfera giuridica dei soggetti nei confronti dei quali sono disposte, ed in alcuni casi comportano inevitabili ripercussioni anche relativamente ai diritti umani. Per questo motivo, la loro adozione deve essere limitata e circoscritta al ricorrere di specifiche condizioni. Conditio sine qua non per la loro adozione è, anzitutto, l’accertamento della pericolosità del soggetto. Pericolosità che è però solo potenziale, valutata sulla base di un giudizio prognostico, dal momento che non vi è ancora stata la commissione di un reato. Devono, inoltre, essere valutate alla luce degli artt. 5, 7 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), nonché degli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (CDFUE), affinché possano ritenersi legittimamente disposte.

Numerose sono le tipologie di misure restrittive amministrative utilizzate
nella lotta al terrorismo. A titolo esemplificativo, si pensi alle seguenti: il
congelamento dei beni nelle black lists antiterrorismo; il divieto di
avvicinamento ad alcuni luoghi (nei Paesi Bassi); la perdita della cittadinanza (Dutch Passport Act nei Paesi Bassi); l’ordine di segnalazione degli spostamenti; il divieto di ingresso nel paese (Gran Bretagna) o di lasciare il paese a seguito della revoca dei documenti di viaggio (Francia, legge 13 novembre 2014); la vigilanza continua del soggetto “pericoloso” grazie ad un braccialetto elettronico (Germania); il Bayerisches Polizeigesetz (legge 24 luglio 2017), che permette di disporre la detenzione preventiva in Baviera a seguito dell’accertamento di un“pericolo imminente”. Caratteristica comune a tutte è che sono adottate prima ancora ed a prescindere dalla commissione di un reato. Inoltre, nella maggior parte dei casi, non è prevista né è possibile l’instaurazione del contraddittorio tra le parti, e l’autorità non giudiziaria che provvede a disporle basa la sua decisione su informazioni o documenti di intelligence, il cui contenuto è spesso ignoto al soggetto cui si riferiscono. Risulta chiaro che è molto facile cadere percorrendo un terreno tanto dissestato, in quanto la loro adozione comporta un’evidente restrizione delle garanzie del soggetto cui si applicano, sia a livello di contraddittorio che relativamente alla possibilità di revisione delle misure stesse. Inoltre, non è raro che alcune di tali misure comportino una sproporzionata limitazione delle libertà, con conseguente violazione dei diritti umani garantiti a ciascun individuo. Il già labile confine che divide tali misure amministrative dalle sanzioni penali, in alcuni casi, sembrerebbe perfino scomparire, fino a far ritenere tali misure, nella sostanza, equiparabili (quanto agli effetti) a vere e proprie sanzioni penali. Il rischio è dietro l’angolo: come riassunto dall’Ufficio OSCE per le Istituzioni Democratiche ed i Diritti Umani (ODIHR), “measures to combat terrorism that violate international human rights standards are counter-productive. They undermine the rule of law and the credibility of public authorities, as well as their ability to counter the threat posed by terrorism”. Per tale motivo è fondamentale tenere in considerazione, quando si ricorre alla loro applicazione, che “the balancing framework of international human rights is critical; interference with a person’s rights must be legitimate, necessary and proportionate. The failure of states to respect those rights and to apply the rule of law […] is one of the factors contributing to increased radicalization.”

Come risolvere tali delicate problematiche? Soccorrono, a tal fine, i c.d.
Engel criteria, che permettono di qualificare come penale (nonostante il diverso nomen iuris) anche il caso “amministrativo”, qualora esso sia penale nella sostanza. La CEDU ha, infatti, elaborato tali criteri al fine di predisporre una nozione di sanzione penale autonoma e super partes rispetto a quella propria dei vari Stati membri, nozione strettamente legata alla sussistenza di tre criteri (Engel criteria): la qualificazione giuridica data all’illecito dal diritto interno; il carattere punitivo e non meramente risarcitorio o ripristinatorio della sanzione irrogata; l’entità e la gravità della sanzione stessa. Si tratta di criteri non cumulativi, ma alternativi e fungibili tra loro. Ciò ha consentito di riconoscere la natura sostanzialmente penale, ai sensi degli artt. 6 e 7 CEDU, a molte sanzioni tradizionalmente considerate come amministrative, con la conseguente applicabilità ai provvedimenti amministrativi aventi carattere sanzionatorio di una serie di garanzie normalmente confinate all’ambito penalistico. Si può affermare che la Corte di Strasburgo abbia reciso il legame intercorrente tra l’applicabilità delle garanzie penalistiche, previste dalla CEDU, ed il nomen iuris dato agli illeciti amministrativi negli ordinamenti nazionali. Oltre a ciò, l’art. 6 CEDU deve ritenersi applicabile in toto anche ad un’ampia serie di procedure amministrative: procedimenti disciplinari penitenziari; reati stradali; leggi doganali; pene imposte dai tribunali aventi competenze finanziarie.
Sinteticamente, gli Stati membri sono liberi di scegliere di ricorrere a
misure amministrative o penali, purché la qualificazione formale delle prime non celi l’indebito aggiramento delle garanzie previste da gli artt. 6 e 7 CEDU.

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