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Software e App mediche: quando diventano medical devices secondo la Corte di Giustizia

Elisa Rosso

 

 

 

26 febbraio 2018

 

Con sentenza del 7 dicembre 2017, la Corte di Giustizia europea ha stabilito che un software costituisce di per sé un dispositivo medico qualora sia specificatamente destinato dal fabbricante ad essere impiegato a fini medico-diagnostici. Il software può essere ritenuto dispositivo medico anche senza impiego “sull’uomo”.

Tale pronuncia amplia notevolmente l’ambito di applicazione della attuale Direttiva Dispositivi Medici (93/42/CEE) e del successivo Regolamento UE Dispostivi Medici 2017/745 (che abrogherà definitivamente la Direttiva 93/42/CEE a decorrere dal 26 maggio 2020), ed è destinata ad impattare fortemente sul mercato dei software e delle App mediche.

 

Nel caso di specie, l’associazione francese Snitem (Syndicat national de l’industrie des technologies médicales) – che raggruppa imprese operanti nel settore dei dispositivi medici – chiedeva alla Corte di meglio delineare l’ambito di applicazione della direttiva e definire i criteri per qualificare un software quale “dispositivo medico”, a fronte dell’esistenza nell’ordinamento francese di un decreto (il n. 2014-1359) che disciplinava la materia dei software di supporto alla prescrizione e distribuzione medica prescrivendone l’obbligo di certificazione.

 

Nel dettaglio, la questione era “se la direttiva 93/42 debba essere interpretata nel senso che un software […] che abbia almeno una funzionalità che consenta l’utilizzo dei dati personali di un paziente al fine di aiutare il suo medico nella predisposizione della sua prescrizione, in particolare rilevando le controindicazioni, le interazioni con altri medicinali e le posologie eccessive, costituisca dispositivo medico anche qualora lo stesso non agisca nel o sul corpo umano”.

L’articolo 1, paragrafo 2, lettera a) della citata direttiva, prevede che un software costituisca dispositivo medico quando è stato destinato dal fabbricante ad essere impiegato sull’uomo per fini di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia, di una lesione o di un handicap. Ai sensi di tale direttiva, pertanto, per essere qualificato come dispositivo medico un software deve soddisfare due condizioni cumulative, attinenti, rispettivamente, alla finalità perseguita e all’azione prodotta: per essere “dispositivo medico” non è sufficiente che il software venga utilizzato in ambito medico, ma è necessario che esso sia stato destinato dal fabbricante ad essere utilizzato per finalità mediche.

 

La Corte ha assunto una interpretazione ampia della normativa in esame, rilevando che “un software che procede al controllo incrociato dei dati personali del paziente con i medicinali che il medico intende prescrivere e che è, quindi, utilizzato a fini di prevenzione, di controllo, di terapia o di attenuazione di una malattia”, persegue uno scopo specificamente medico. Tale circostanza lo rende, di conseguenza, un dispositivo medico ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 93/42.

Ciò non avviene, invece, nel caso di un software che, pur destinato a essere utilizzato in un contesto medico, ha tuttavia l’unico scopo di archiviare, memorizzare e trasmettere dati, come un software che memorizzi i dati sanitari del paziente, un software la cui funzione si limiti a indicare al medico curante il nome del medicinale generico associato a quello che intende prescrivere o, ancora, un software destinato a segnalare le controindicazioni menzionate dal fabbricante di tale medicinale nelle istruzioni per l’uso.

 

Quanto, in secondo luogo, alla condizione che attiene all’azione prodotta dal dispositivo nel o sul corpo umano, appurata la sussistenza delle finalità mediche, i Giudici della Corte hanno stabilito che per qualificare un software come dispositivo medico bisogna concentrarsi sullo scopo del suo utilizzo e non sul modo in cui può concretizzarsi l’effetto che è in grado di produrre sul o nel corpo umano.

In conclusione, dovrebbe considerarsi medical device quel software adibito dal fabbricante a creare o modificare le informazioni mediche raccolte, mediante processi di calcolo o comparazione dei dati registrati con determinati riferimenti, al fine di fornire informazioni su quel paziente – si pensi ad un’App che permetta di monitorare costantemente il livello di glucosio nel sangue, elaborando automaticamente le informazioni e fornendo responsi in tempo reale al paziente in cura.

Al contrario, non dovrebbero essere considerati dispositivi medici i software che non effettuino alcuna azione sui dati o la cui azione sia comunque limitata alla memorizzazione, all’archivio o alla compressione senza perdita dei dati: vale a dire, ad esempio, quei software che hanno una mera funzione di biblioteca numerica e che consentono di trovare informazioni proveniente da metadati, senza modificarli o interpretarli.

Sul punto, la Corte ha richiamato il considerando 6 della direttiva 2007/24, modificativa della direttiva 93/42, che specifica che un software è di per sé un dispositivo medico quando è specificamente destinato dal fabbricante ad essere impiegato per una o più delle finalità mediche definite. Pertanto, anche se utilizzato in un contesto sanitario, il software generico non è di per sé stesso un dispositivo medico.

 

Inoltre – continuano i  Giudici – negare a un dispositivo che non agisce direttamente nel o sul corpo umano la qualità di dispositivo medico porterebbe in pratica a escludere dal campo di applicazione della direttiva 93/42 i software che sono specificamente destinati dal fabbricante a essere utilizzati per uno o più scopi medici ricompresi nella definizione di dispositivo medico, mentre con la direttiva 2007/47 il legislatore dell’Unione ha inteso proprio far rientrare tali software in detta definizione, sia che agiscano sia che non agiscano direttamente nel o sul corpo umano.

 

È pertanto irrilevante, ai fini della qualificazione di dispositivo medico, il fatto che i software agiscano direttamente o non agiscano direttamente sul o nel corpo umano, essendo fondamentale che essi siano stati destinati dal fabbricante ad essere impiegati per uno o più delle finalità mediche stabilite.

 

Da tale interpretazione deriva che un software che, tra le altre funzionalità, consenta l’utilizzo di dati sensibili del paziente per finalità di cura, di diagnosi e di riabilitazione, costituisce, quanto a tali funzionalità, un dispositivo medico ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 93/42, e ciò anche qualora detto software non agisca direttamente nel o sul corpo umano. Di conseguenza, e in quanto dispositivo medico, tale software – ai sensi dell’art. 17, paragrafo 1, della Direttiva Dispositivi Medici – deve obbligatoriamente recare la marcatura CE di conformità al momento della sua immissione in commercio.

 

L’applicazione della pronuncia della Quarta Sezione della Corte di Giustizia è destinata ad avere un fortissimo impatto sul mercato dei software e degli applicativi medici: tutte le App mediche e i software aventi finalità medico-diagnostiche dovranno essere oggi marcati CE come medical device ai sensi della direttiva 93/42/CEE, e domani come dispositivo medico di classe IIa a norma del Regolamento 2017/745, indipendentemente dal fatto che siano utilizzati nel o sul corpo umano.

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