Lab-IP

Un interessante caso di ricorso contro il parere della commissione per la revisione cinematografica

di Alessia Maria Fruscione

17/02/17

La legge 21 aprile 1962, n.161 condiziona la proiezione dei film al pubblico al rilascio di un ‘nulla osta’, concesso solo al termine della visione effettiva del film da parte delle autorità competenti, ossia le speciali Commissioni (di primo e secondo grado) istituite presso il Ministero dei  beni e delle  attività culturali e del turismo.

Il giudizio di ‘primo grado’ – obbligatorio per ogni lavoro – può essere seguito da un ‘appello’, nell’ambito del quale si avrà la valutazione di eventuali ricorsi di produttori o distributori dell’opera cinematografica aventi a oggetto la decisione di primo grado. Le Commissioni possono stabilire l’entità del divieto da attribuire al film – 14 o 18 anni – o anche emettere un divieto totale alla proiezione dello stesso, se giudicato offensivo della morale o del buon costume nel suo complesso o in relazione a singole scene/sequenze.

Di recente si è presentato un caso con uno sviluppo piuttosto articolato e interessante: un’ impresa produttrice cinematografica italiana ha sottoposto la copia campione di un film – dalla medesima prodotto – per ottenere il nulla osta alla proiezione in pubblico da parte della Commissione di revisione. La trama ha ad oggetto le disavventure di un gruppo di ragazzi che entrano di nascosto in una villetta ritenuta disabitata: il proprietario però rientra inaspettatamente, e, resosi conto della presenza degli intrusi, li imprigiona nell’ immobile, sottoponendo alcuni di loro a cruenti atti punitivi e di tortura…

La Commissione di primo grado, nell’esercizio del suo potere discrezionale, dopo aver visionato e valutato il film, ha deliberato per l’apposizione del divieto di visione ai minori di anni 14 motivandone le ragioni. A seguito di tale provvedimento la società ha predisposto una “II edizione”, con taglio di alcune delle scene maggiormente atte a suscitare turbamento in un pubblico minorile; nonostante tali tagli, la medesima Commissione si è pronuncia per la conferma del divieto.

La società ha proposto allora appello, teso ad ottenere anche un nulla osta senza limiti di visione, e la Commissione investita del giudizio di ‘secondo grado’ ha confermato il divieto per le medesime motivazioni espresse in primo grado, cui viene fatto rinvio, in base al meccanismo di motivazione per relationem, di cui art. 3, legge 7 agosto 1990, n. 241.

A questo punto la società ha promosso un contenzioso innanzi al TAR per il Lazio al fine di ottenere l’annullamento delle decisioni della Commissione, chiedendo inoltre la misura cautelare sospensiva degli effetti del provvedimento amministrativo contestato. Il TAR per il Lazio non ha accolto la sospensiva e ha condannato la società al pagamento di 4.000 euro a titolo di rimborso per le spese processuali. Nel successivo giudizio di merito non ha accolto alcuna delle censure avanzate dalla ricorrente.

Quest’ultima ha proposto ricorso contro la sentenza del TAR al Consiglio di Stato, il quale,  a sorpresa, senza entrare nel merito delle rimostranze eccepite dalla società, ha annullato il parere emesso dalla Commissione di II grado per “difetto di motivazione”  (difetto in realtà non sussistente dal momento che era stata delineata una motivazione per relationem)  in tal modo però annullando tutti i provvedimenti emessi in primo e secondo grado dalla Commissione. Così, pur avendo dalla sua un pronunciato sostanzialmente favorevole, la società si è trovata ad avere un film senza la possibilità di essere proiettato in sala, essendo sprovvisto ope iudicis del nulla osta richiesto dalla legge. La società dovrà pertanto presentare ex novo domanda di revisione per il proprio film, con nessuna certezza che la Commissione che lo visionerà, nell’esercizio del suo potere discrezionale, emetta un parere che non preveda l’apposizione di divieti, quindi con possibili ulteriori ricorsi giudiziali in futuro.

La revisione cinematografica è, in ogni caso, destinata a venir meno, dal momento che  la nuova legge cinema (legge 14 novembre 2016, n.220) contenente la ‘’Disciplina del cinema e dell’audiovisivo’’ ha abolito le Commissioni ministeriali per la revisione cinematografica a favore di un sistema, proprio sostanzialmente di tutti i paesi occidentali,  nel quale sono gli stessi produttori e distributori a classificare le loro opere, per restringerne eventualmente la visione. Lo Stato sarà chiamato a intervenire e applicare sanzioni solo in caso di abusi.

Adesso si attendono i decreti attuativi in modo da rendere operativa la nuova legge.

FacebooktwitterredditpinterestlinkedintumblrmailFacebooktwitterredditpinterestlinkedintumblrmail